1) Il Commissario straordinario per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, ha affermato l’importanza di garantire l’accesso ai vaccini a tutte le persone migranti prive di documenti: qual è l’andamento generale della campagna vaccinale per queste ultime?
È difficile rispondere a questa domanda visto che non ci sono dati certi, ma soltanto stime, rispetto alla popolazione che vive senza documenti in Italia e, di conseguenza, è difficile stabilire il tasso di vaccinazione di questo gruppo. Non mi risulta che le Regioni, che hanno competenza in materia di sanità, o il Ministero della Salute, pubblichino dati disaggregati sull’andamento della campagna di vaccinazione tra persone che possiedono tessera STP, ENI o codice fiscale provvisorio, che viene richiesto alle persone irregolari per accedere al vaccino. Un dato parziale che era stato condiviso a settembre riguardava il numero di Green Pass rilasciati/scaricati da possessori di tessere STP: il dato era di circa 18.000 Green Pass, a fronte di una popolazione stimata di circa 500mila persone (stima tratta dal Rapporto ISMU sulle Migrazioni 2020).
Di certo, l’Italia, così come la stragrande maggioranza dei Paesi europei, si è attivata con mesi di ritardo dal lancio della campagna nazionale di vaccinazione, per promuovere l’accesso al vaccino per le persone senza documenti. E data la competenza regionale in materia sanitaria, la situazione varia molto da regione a regione, con soluzioni e iniziative attivate appunto su iniziativa regionale, senza uniformità a livello nazionale.
2. Quali sono le maggiori criticità che una persona senza documenti riscontra quando si tratta di accesso ai servizi sanitari?
Tra le criticità, possiamo elencare la barriera linguistica, che include la mancanza di informazioni in diverse lingue e la carenza di mediatori linguistico-culturali presso le varie strutture; difficoltà amministrative e burocratiche, ad esempio per il rilascio delle tessere STP/ENI; limitate capacità economiche che impediscono di pagare le cure. E ovviamente la paura di essere segnalati alle autorità ed essere quindi deportati.
Altre criticità riguardano il fatto che i possessori di tessera STP/ENI possono accedere solo ad alcuni servizi, come ad esempio le cure urgenti ed essenziali, restando esclusi da tutta una serie di servizi; le regole vengono applicate in modo non uniforme sul territorio nazionale e talvolta il personale amministrativo che lavora presso strutture sanitarie non sa nemmeno che i migranti senza documenti hanno diritto ad accedere ad alcuni servizi. Il risultato è che i migranti senza documenti raramente accedono ai servizi sanitari anche quando ne avrebbero diritto e così, spesso, condizioni perfettamente curabili, o che possono essere prevenute, non vengono trattate. A causa della risposta tardiva a tali condizioni, le conseguenze possono essere negative per la salute dell’individuo, con un impatto anche a livello di costi per il sistema sanitario.
3. Crede che l’impegno del terzo settore possa bastare per colmare i vuoti di tali criticità o pensa che sia necessario un cambiamento a livello burocratico e legislativo?
Come spesso succede, durante la pandemia il terzo settore è intervenuto a colmare le lacune di quelli che dovrebbero essere servizi pubblici, forniti dallo Stato, e accessibili a tutti. Evidentemente, non si può pensare che il terzo settore si sostituisca al servizio pubblico. Dovrebbe avere un ruolo complementare, la sua esperienza dovrebbe essere valorizzata, e dovrebbe essere coinvolto regolarmente in co-progettazione con il settore pubblico.
Rispetto al tema dell’accesso ai vaccini e, più in generale, alla sanità pubblica per migranti, la legge c’è: l’accesso alla salute è riconosciuto dalla nostra Costituzione come diritto universale riconosciuto a tutte le persone, indipendentemente dal loro status giuridico sul territorio, e la legge vieta la segnalazione da parte del personale sanitario di pazienti senza documenti. Anche rispetto all’accesso al vaccino, il piano di vaccinazione nazionale è inclusivo, sulla carta.
Il problema si riscontra poi nella pratica. È necessario raggiungere queste persone, che spesso vivono isolate, nella paura di essere deportate: in questo senso, servirebbero servizi di prossimità, sull’esempio del lavoro che svolgono sul campo le organizzazioni della società civile, coinvolgendo in modo sistematico i leader di comunità e le organizzazioni di migranti.
4. Esistono esempi virtuosi – di associazioni o regioni – in Italia di campagne vaccinali a buon fine?
Esistono molte esperienze positive a livello locale e regionale, accomunate dal coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni di migranti che hanno svolto un ruolo fondamentale in termini di informazione, sensibilizzazione e accompagnamento alla registrazione e vaccinazione.
A Foggia, INTERSOS ha aiutato l’ASL locale a vaccinare circa 5.000 persone straniere che vivono nei ghetti della Capitanata.
A Torino, Rainbow for Africa ha attivato delle unità mobili di vaccinazione per raggiungere migranti senza documenti e i senza fissa dimora.
La Campania è stata una delle prime regioni, lo scorso giugno, a modificare il proprio portale per prenotare il vaccino di modo da permettere di farlo anche ai possessori di tessere STP, ENI e codici fiscali temporanei. Questo è avvenuto grazie alla pressione di organizzazioni locali, che lavorano in particolare nell’area di Castel Volturno: si tratta di Emergency, del CSA ex Canapificio di Caserta e della Rete Castel Volturno Solidale. In quest’area, le associazioni si sono attivate coinvolgendo direttamente organizzazioni di migranti e rifugiati, come i Kalifoo Ground, assieme ai leader del Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta, che hanno attivato una campagna “porta a porta” per raggiungere tutta la popolazione migrante presente su questo territorio. Il successo di questa campagna è dimostrato dal numero dei Green Pass che a settembre risultavano rilasciati a persone con tessera STP: su 18.000 in totale, 11.000 sono stati emessi dalla sola regione Campania, principalmente nell’area di Castel Volturno.
5. Cosa si potrebbe fare per migliorare l’accesso al sistema sanitario per tutte le persone, a prescindere dal loro status?
Idealmente, il sistema sanitario non dovrebbe distinguere le persone in base al loro status giuridico, ma dovrebbe essere inclusivo e garantire accesso ai propri servizi a tutte le persone, senza distinzioni e discriminazioni. Non dovrebbe esistere un sistema dedicato, legato a determinate tessere, per persone straniere prive di documenti. E questo sistema dovrebbe poi essere accompagnato da un rafforzamento dei servizi di mediazione linguistico-culturale, dalla regolare produzione e distribuzione di informazioni in diverse lingue che tenga conto dei vari background culturali e religiosi, nonché dallo sviluppo di servizi di prossimità, per raggiungere effettivamente queste persone, informarle, assicurarle rispetto all’esistenza di firewalls (tutele da controlli da parte della polizia, inclusa la protezione dei dati personali) e indirizzarle ai servizi esistenti.