Per affrontare quel fenomeno epocale che sono le migrazioni l’approccio emergenzialista non basta.
È con questa consapevolezza che, all’inizio del 2000, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) ha siglato un protocollo con il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR), con il quale si sono gettate le basi – poi formalizzate con la legge 189/2002 – per la creazione di un Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), sostenuto dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA).
Si tratta del primo sistema pubblico italiano per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, costituito da una rete di enti locali che si impegnano nella realizzazione di progetti di “accoglienza integrata” (e cioè che superano la mera distribuzione di vitto e alloggio, garantendo invece la costruzione di veri e propri percorsi individuali di inserimento dei profughi). Un coraggioso esperimento di accoglienza diffusa e strutturata che, nel corso degli anni, si è progressivamente imposto come best practice unica in Europa, nonché come esempio prezioso per dimostrare che le migrazioni internazionali possono essere gestite, piuttosto che subite.
In occasione della presentazione dell’Atlante SPRAR 2015, lo scorso 13 luglio a Roma, ecco un po’ di numeri e dati per misurare l’impatto di questa innovativa rete di accoglienza e solidarietà che trova il suo cuore pulsante nei comuni italiani.
La rete SPRAR: quasi 27.000 profughi accolti in oltre 1200 comuni (soprattutto del Sud)
Il sistema di accoglienza SPRAR è cresciuto in maniera esponenziale nel corso dell’ultimo decennio: se all’inizio, nel 2003, i posti disponibili erano 1.365, la capienza si era già quasi decuplicata nel 2013 e oggi – i dati sono di giugno 2016 – il sistema garantisce accoglienza a 26.700 richiedenti asilo e rifugiati in 674 progetti (di cui 109 dedicati a minori non accompagnati e 45 a persone con disagio mentale o disabilita). Gli enti locali coinvolti sono 574, tra cui 29 province e 12 unioni di comuni, per un totale di circa 1200 comuni coinvolti.
I professionisti impiegati nei progetti SPRAR – tra operatori d’accoglienza, socio-sanitari e legali, mediatori e assistenti sociali, insegnanti ed educatori – sono oltre 8.000: “un piccolo esercito pacifico”, come lo ha chiamato Maria Silvia Olivieri del Servizio Centrale Sprar, che fa dell’accoglienza la sua battaglia quotidiana.
Se la crescita è notevole, la domanda resta però maggiore dell’offerta: l’adesione degli enti locali al programma è infatti completamente volontaria, e spesso i bandi di assegnazione dei posti (e dei relativi fondi) del Ministero non trovano risposta. Come è successo con l’ultimo: 10.000 posti banditi, solo 4.000 assegnati.
Per questo il Ministero sta adesso lavorando per inserire incentivi economici per i Comuni che aderiranno alle rete – a cui si aggiungerebbe anche la rassicurazione che, qualora si partecipi a un progetto SPRAR non si avranno grandi centri prefettizi sul territorio – e rivoluzionare lo stesso sistema di adesione: non più bandi biennali, ma bensì un sistema di accreditamento permanente che permetterà ai comuni di presentare progetti e unirsi alla rete in qualsiasi momento.
Per quanto concerne la diffusione territoriale, non se ne può non notare l’irregolarità: il Lazio detiene il record assoluto di presenze (quasi 5.000 posti – di cui metà a Roma – rappresentanti il 22% del totale nazionale), seguito a stretto giro dalla Sicilia (dove gli accolti rappresentano il 20% del totale nazionale). La Sicilia è inoltre la regione che accoglie il più alto numero di minori non accompagnati (quasi 500).
Le uniche altre regioni ad avere un tasso di presenze superiore al 6% sono Sicilia e Calabria. La Lombardia (con il suo 5%) è la prima tra le regioni settentrionali, mentre Sardegna e Trentino Alto Adige (rispettivamente allo 0,5% e 0,6%) occupano gli ultimi posti della classifica. In Valle d’Aosta non sono invece attivi progetti SPRAR.
“Identikit” dei profughi accolti: chi sono e da dove vengono
Chi sono i profughi accolti nello SPRAR?
Soprattutto giovani maschi adulti, arrivati in Italia da soli e spesso in condizione di grande vulnerabilità.
L’’88% dei beneficiari sono infatti di sesso maschile, di cui quasi la metà (e cioè il 49%) tra i 18 ed i 25 anni e un altro 35% sotto i trentacinque anni. Le donne sono significativamente di meno (solo 3.556, pari al 12%). Tra di loro, molte bambine: il 18% dei beneficiari di sesso femminile ha infatti meno di 10 anni.
Per quanto concerne la situazione familiare, la stragrande maggioranza – quasi 26.000 persone (rappresentanti l’87% del totale) – è stata accolta singolarmente e sono invece nemmeno 4.000 a fare parte di nuclei familiari.
Importante poi notare che quasi un quinto dei beneficiari (e cioè più del 18%) ha caratteristiche di vulnerabilità: molte (il 7%) sono le persone con disabilità, disagio mentale o con necessità di assistenza domiciliare, sanitaria specialistica e prolungata. Poi ci sono le vittime di tortura e violenza (quasi 1.500 beneficiari, rappresentanti circa il 6% del totale) e di tratta (circa 500).
Da dove vengono e come sono arrivati?
Per quel che riguarda le nazionalità, al primo posto c’è la Nigeria (oltre il 15%), seguita da Pakistan e Gambia (entrambi con valori percentuali superiori al 12%) e Mali ed Afghanistan (entrambi oltre il 10%). Significativa anche la presenza di persone provenienti da Senegal e Somalia (rispettivamente poco sopra e poco sotto il 5%) ma anche da Eritrea, Ghana e Bangladesh. Un appunto specifico relativamente alle donne: qui la nazionalità nigeriana è quella di gran lunga prevalente (sono oltre il 37% delle accolte).
Per quanto concerne invece le modalità d’ingresso dei beneficiari in Italia, la schiacciante maggioranza (oltre il 75%) dei beneficiari accolti nel 2015 è arrivata via mare. Ad essere giunti a seguito di attraversamento di una frontiera terrestre o aeroportuale sono rispettivamente l’11% e il 6%. Da non dimenticare nemmeno i “rientri Dublino”: quasi 1.000 persone, rinviate in Italia prevalentemente da Svezia, Svizzera, Norvegia e Germania.
Qual è il titolo di soggiorno dei beneficiari in Italia? La maggioranza (e cioè il 58%) è richiedente protezione internazionale; ad essere riconosciuti come rifugiati sono relativamente in pochi (il 10%), risultando invece più rappresentati i beneficiari di protezione umanitaria (il 19%) e di protezione sussidiaria (il 13%).
Questi dati sono destinati però a cambiare in seguito all’avvio dei programmi di resettlement del governo in collaborazione con le maggiori organizzazioni internazionali, che porteranno all’inserimento in progetti di accoglienza SPRAR di numerose famiglie di rifugiati (soprattutto siriani).
L’accoglienza su misura
Strutture a misura d’uomo: i beneficiari sono stati distribuiti in oltre 2.500 strutture, ognuna ospitante una media di 8 persone. Gli alloggi sono rappresentati principalmente da appartamenti inseriti nel tessuto di città e paesi: le strutture di questo tipo – oltre 2.000, più dell’82% del totale – sono infatti ritenute più idonee a garantire un’accoglienza realmente completa e integrata dei grandi centri (come sono invece CAS, CARA e Hotspot).
In crescita il sistema parallelo di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: con l’ultimo bando si è ulteriormente ampliato il numero di posti disponibili in questi progetti specifici, che sono adesso più di 1.800.
I minori accolti sono quasi tutti di sesso maschile (letteralmente: si parla del 99,8%) e prossimi al compimento della maggiore età. Vengono soprattutto dal Gambia, ma anche da Senegal, Mali, Nigeria, Egitto, Bangladesh e Afghanistan. Anche qui la metà è ancora in fase di richiesta di protezione internazionale, mentre tra coloro a cui è stata già accordata schiacciante è la maggioranza dei beneficiari di protezione umanitaria (il 34%) rispetto ai beneficiari di protezione sussidiaria (il 4%) ed i rifugiati (il 3%).
Un modello da rafforzare e diffondere
In altre parole? Lo SPRAR è oggi la punta di diamante dell’accoglienza in Italia. Una rete di accoglienza e solidarietà che potrebbe essere l’alternativa migliore ad approcci emergenzialisti e poco incisivi: il modello SPRAR va infatti oltre allarmismi e misure straordinarie, garantendo la messa a punto di un vero e proprio sistema di integrazione a misura d’uomo.
Insomma: altro che “accoglienza straordinaria”, altro che “approccio hotspot”, la strategia su cui bisogna investire è quella dell’accoglienza integrata.
Se oggi la stragrande maggioranza degli accolti in Italia (parliamo di 100.000 persone su un totale di 135.000 beneficiari) è ancora ospitata nei CAS – che garantiscono solo vitto e alloggio in tendopoli o strutture improvvisate – per il futuro c’è da auspicarsi una decisa inversione di rotta, che punti tutto sulla messa a sistema di un’accoglienza capillare ed olistica basato sulla sussidiarietà sociale.
Per un futuro di vera integrazione, fatta dal basso verso l’alto.