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Chi è il campione del mondo? La storia di Kofi sulla rotta Balcanica

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4 ottobre 2024 - Alessia Manzi
Kofi viene dal Ghana e vorrebbe raggiungere Milano o la Francia. La sua storia è una di quelle che si può incontrate in Bosnia Herzegovina, la rotta migratoria che molte persone provano a percorrere per raggiungere l'Europa. Ma i memorandum siglati dall'EU per chiudere le frontiere rendono anche questo passaggio rischioso, come testimonia il cimitero di Bihac, città al confine con la Croazia, dove si moltiplicano le croci "no-name", dei senza nome.

“Chi è il campione del mondo?” *Kofi viene dal Ghana e come un mantra ripete questa frase mentre corre su un campo da calcio racchiuso fra i palazzi di via Marsala Tita, nel cuore di Sarajevo. Qui minori non accompagnati, richiedenti asilo e rifugiati si stringono la mano prima che l’arbitro fischi e inizi il match. Al 90° minuto Kofi centra la rete segnando un goal. “Questo è il nostro Daily Center dove organizziamo workshop, corsi di lingua inglese e bosniaca, laboratori” spiega Sanela Klepić, fondatrice di Intergreat, NGO che dal 2021 si occupa di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Bosnia. “Alla prima accoglienza segue un percorso di inclusione affinché i singoli diventino autonomi e abbiano un documento”, continua Klepić. Intanto i ragazzi sono appena rientrati dal centro sportivo e nel salone di questo appartamento a pochi metri dalla Baščaršija – quartiere ottomano della capitale – cominciano a suonare la darabouka.
“Si pensa al Ghana come ad un Paese ricco dell’Africa, ma non è così. Io sono fuggito per avere una vita migliore in Europa. Aspetto un documento in Bosnia, ma il mio sogno è vivere a Milano o in Francia” dice Kofi, seduto su un divano vicino al gruppo di ragazzi che suona. “La Bosnia è un punto di passaggio prima di continuare il viaggio verso l’Europa. Dopo il memorandum siglato dall’UE con Austria, Ungheria e Serbia per chiudere le frontiere” – dichiara Klepić- “le rotte sono cambiate e in Bosnia i numeri degli arrivi sono tornati a crescere”.

Bosnia Herzegovina: qualche dato sull’immigrazione

L’ultimo report pubblicato dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM) fa riferimento al mese di agosto, quando sul territorio bosniaco sono stati registrati 2.783 migranti in movimento. A marzo di quest’anno il Ministero della Sicurezza della Bosnia Herzegovina ha pubblicato il dossier annuale Migrant Profile, che si basa sul 2023 e raccoglie i dati generali sulla migrazione nel Paese. Secondo questo documento, lo scorso anno sono giunte in Bosnia 34.409 migranti in posizione irregolare: su questi, in 31.793 hanno mostrato la volontà di presentare domanda d’asilo. Tuttavia, solo 147 migranti hanno proseguito nell’iter di richiesta. “Le migrazioni riguardano principalmente uomini soli, ma ci sono state molte famiglie dall’Afghanistan. Oggi incontriamo ancora famiglie curde con cittadinanza turca che arrivano qui in modo regolare: poi tentano di raggiungere la Croazia senza un visto, e il loro status cambia” dichiara Klepić.
Nel 2023 la Bosnia Herzegovina (BIH) ha rilasciato 21.261 visti a cittadini prevalentemente provenienti da Arabia Saudita (8.300), Giordania (2.203), India (1.389); sono aumentati i visti rilasciati anche a chi arriva da Cina (639), Nepal (353) e Filippine (1.221). Per 13.481 migranti è stato possibile richiedere una residenza temporanea per ricongiungimento familiare (soprattutto matrimonio o convivenza con cittadini della BIH), istruzione, lavoro e motivi umanitari. I documenti hanno largamente interessato cittadini provenienti dalla Turchia (2.862) e dalla Serbia (1.859). Il 78.35% delle residenze temporanee sono state cancellate per cittadini turchi, serbi e indiani che nel frattempo hanno cambiato status (cittadinanza) o hanno violato alcune norme (come l’attraversamento irregolare delle frontiere). Di conseguenza ci sono state 2.582 espulsioni notificate a cittadini turchi, afghani, cinesi e pakistani.

La frontiera

“Dieci giorni fa sono stato respinto per la quinta volta alla frontiera croata. Era buio quando la polizia mi ha spruzzato uno spray in faccia che mi ha paralizzato. I miei amici sono stati pestati per un’ora finché un poliziotto croato mi ha tirato dell’acqua in faccia e ci ha rimandati in Bosnia attraverso il bosco”. Hilal (nome di fantasia a tutela della sua sicurezza personale) viene dalla Siria ed è ospite di Borici, il campo per famiglie alle porte di Bihac, a venti chilometri dalla Croazia. “Con me ci sono due dei miei fratelli ancora minorenni. I trafficanti mi hanno chiesto 1.500 euro per Zagabria e 500 euro per la Slovenia. Prima o poi passeremo la frontiera e arriveremo in Germania, Inshallah” dice Hilal alzando gli occhi al cielo. “Non ci sono solo denti e ossa rotte. Chi resta intrappolato qui ha ferite che non si possono curare” spiega Luna L.- volontaria di una NGO sanitaria (l’organizzazione preferisce restare nell’anonimato) – seduta su una panchina nel parco di Bihac. “Se solo in Europa si capisse cosa sia un respingimento e quali conseguenze provoca, forse la gente resterebbe sconvolta da ciò che accade” continua Luna mentre in una calda domenica estiva i chioschi affacciati sul fiume Una, che segna la frontiera occidentale fra Bosnia e Croazia, iniziano a riempirsi di turisti. Per il Migrant Profile, nel 2023 ci sono stati 13.643 respingimenti lungo le frontiere croata e serba: 7.533 persone sono state respinte tentando di entrare in Croazia. Il 58% dei respingimenti ha riguardato cittadini turchi, afghani e pakistani; mentre vede un aumento fra chi arriva da Nepal, Cina, Marocco e Siria. “Dovrebbero esistere vie sicure e non le frontiere per impedire che le persone vivano tutto questo” conclude l’attivista.

Morire senza nome alle porte dell’Europa

Nel cimitero di Bihac non esistono differenze. Su questa alta collina che sovrasta la cittadina bosniaca, fra i martiri caduti nella Guerra dei Balcani degli anni ‘90, tra simboli musulmani e cristiani, riposa anche una dozzina di No Name: i migranti morti lungo la Rotta Balcanica.
N1, 2 e 3 riposano insieme così come sono morti insieme all’interno di una fattoria a venti chilometri dalla Croazia. “Avevano acceso un fuoco per scaldarsi ed è scoppiato un incendio” spiega Asim Karabegovic, attivista di Bihac che da anni supporta i migranti in cammino verso l’Europa. “Come per gli altri, non sappiamo chi siano. Spesso le famiglie non hanno i mezzi necessari per avviare le ricerche dei loro cari scomparsi. Ci sono corpi fermi da mesi in obitorio” continua ‘Baba Asim’, come lo hanno ribattezzato i migranti. “Qualche lapide ha un nome fittizio, magari riportato su un cartellino che la persona aveva addosso al momento del ritrovamento. Solo lui ha un’identità” dice Karabegovic indicando una tomba in pietra bianca su cui è inciso un nome: Abdulahmed Noori. “Suo fratello vive in Germania e si è occupato della sepoltura. Però anche gli altri avranno una lastra entro metà ottobre, per cui all’ente gestore del cimitero sono stati versati 9.500 euro” dice Karabegovic riferendosi alla somma raccolta da SoS Balkan Route; associazione austriaca che dal 2019 supporta migranti e attivisti in Bosnia ed ha già sistemato altre tombe per i migranti sepolti sulla frontiera serbo-bosniaca, dove si muore annegando nel fiume Drina. “Capita che qualche parente mi contatti perché vede dai social cosa faccio, ma nella maggior dei casi nessuno reclama i morti sul confine” dice Nihad Suljic, un altro attivista di Sos Balkan Route che vive nei pressi del medesimo confine. “Cerco ancora un neonato di due mesi sparito sei anni fa. Il fiume non lo ha mai restituito” commenta il giovane al telefono. “Come può un bambino di nove mesi essere un irregolare? Sono morte 11 persone nel naufragio dello scorso 22 agosto. Se hai un passaporto afghano o siriano, l’Europa non ti accetta. Tutto questo avviene per colpa delle politiche europee” conclude Suljic. L’ultimo monitoraggio dell’IOM, ai 377 morti registrati negli ultimi dieci anni, ne ha aggiunti ancora altri: oggi, sulla Rotta Balcanica, ci sono stati 394 esseri umani morti. Molti di loro non hanno ancora un nome.

 

Credit. Immagini di Alessia Manzi.
In copertina: Kofi si concentra guardando la rete, dove a fare da portiere c’è uno dei volontari di una delle associazioni che si occupano di minori non accompagnati presenti a Sarajevo. Pochi  attimi dopo, Kofi segnerà un goal.

Nell’articolo: Cimitero di Bihac, Bosnia. Le lapidi verdi, in legno, indicano una dozzina di migranti No Name; deceduti lungo la frontiera bosniaco-croata con identità sconosciuta.

Etichettato con:Bihać, Bosnia, Croazia, rotta balcanica, Serbia

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