Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Così recita l’articolo 1 della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, sottoscritta sessant’anni fa da più di 140 paesi.
Quell’articolo e quella carta che sono stati per decenni uno dei cardini del diritto internazionale, oggi scricchiolano sotto la spinta enorme delle nuove migrazioni ma anche sotto il peso della mancanza di risposte europee. Il 28 dicembre 2015 il primo ministro danese Lars Løkke Rasmussen ha chiesto una revisione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Una richiesta che era stata già fatta in diversi paesi europei nei mesi scorsi, uno fra tutti il caso di Bart De Wever, presidente del partito N-La, formazione della destra belga.
«C’è un momento in cui è necessario discutere se modificare le regole del gioco». Così ha dichiarato Rasmussen in un’intervista con la tv danese. Riferendosi proprio alla Convenzione del ’51, il premier ha aggiunto «Ed è chiaro che se l’Europa non riesce a controllare e governare il fenomeno, è necessario iniziare la discussione».
Secondo Rasmussen sarebbero due i punti da rivedere: da una parte c’è la questione Turchia come ponte di passaggio in Europa e dall’altra i ricongiungimenti familiari dei rifugiati approdati in Ue.
La presa di posizione danese non mette solo in discussione tutto il sistema dell’accoglienza umanitaria, ma ha anche un grande significato simbolico. La Danimarca è stata infatti il primo paese a sottoscrivere l’accordo che regola lo status di rifugiato il 4 dicembre 1952. Come a dire, “se i primi iniziano a sfilarsi”.
«L’aumento del numero degli arrivi dei rifugiati in Europa non è un fenomeno transitorio di breve durata» commenta Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. «La Convenzione di Ginevra è una delle più importanti convenzioni internazionali che ha segnato lo sviluppo della nostra attuale civiltà» .
Con l’annuncio danese, e gli altri che si aggiungeranno, non è la Convenzione a essere in discussione – spiega Schiavone – piuttosto, alcuni Stati europei vorrebbero è “comprimere” il diritto alla protezione internazionale previsto oggi dalle norme europee. «Ed è molto pericoloso ma soprattutto indica una profonda miopia politica: l’Europa nel prossimo futuro avrà più rifugiati di quanti ne ha avuti finora in ragione della situazione globale del pianeta (e specie di aree geograficamente molto vicine all’Europa) caratterizzate da un aumento drammatico di conflitti e violazioni dei diritti umani fondamentali».
L’Arabia Saudita e gli altri stati che non aderiscono alla Convenzione
Nel complesso, i paesi che aderiscono alla Convezione sullo status di rifugiato (e/o al Protocollo del 1967 che ha aggiornato l’accordo alla mutata situazione geopolitica) sono 148. Tra di essi però non compaiono – per varie ragioni – alcuni stati fondamentali per lo scacchiere internazionale attuale. Come si vede dalla mappa qui sopra, non hanno aderito né l’India né l’Uzbekistan, l’Indonesia o il Pakistan, né stati mediorientali (come il Libano o la Giordania) che pure ospitano milioni di profughi in campi allestiti sul loro territorio nazionale.
Poi c’è il caso dei paesi della penisola arabica. Prendiamo quello dell’Arabia Saudita. All’articolo 42 della Costituzione si legge: «Lo stato garantirà asilo politico se così è richiesto dall’interesse pubblico». Dunque non è un diritto individuale accordato ai singoli indipendentemente dalla cittadinanza di provenienza, piuttosto è una protezione accordata dallo stato – in questo caso quello saudita – solo se viene riconosciuta una qualche “convenienza”. Non è un caso dunque che nei mesi scorsi i ricchi paesi della penisola arabica sono stati accusati di non aver accolto rifugiati provenienti da un paese musulmano come la Siria (o l’Iraq o l’Afghanistan).