Erano 17.987 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane al 15 giugno 2023, pari al 31,3% del totale della popolazione detenuta. Erano oltre il 37% quindici anni fa. Tale percentuale è stata in sostanziale calo continuo da allora a oggi.
Vi è tuttavia un’altra percentuale in calo sostanziale che ci fornisce un’informazione ancor più rilevante di questa: è quella che riguarda il tasso di detenzione degli stranieri, ovvero il numero di detenuti stranieri sul totale degli stranieri presenti sul territorio nazionale. Se all’inizio del Millennio gli stranieri in carcere costituivano l’1,1% degli stranieri censiti in Italia, tale percentuale si attesta oggi sullo 0,3%, quasi quattro volte di meno. Un calo nettissimo, che vede tali percentuali addirittura gonfiate dal fatto di non tener conto degli stranieri irregolarmente presenti in Italia, stimati all’inizio del 2021 attorno alle 519.000 unità. Tutto ciò testimonia con dati di fatto quanto sia artificioso e ingiustificato qualsiasi allarme lanciato nel dibattito politico volto a costruire la categoria dell’immigrato pericoloso e delinquente.
Il continente maggiormente rappresentato tra la popolazione detenuta straniera è quello africano, un dato che ritroviamo costante nel tempo, seguito da quello europeo. Al 30 giugno 2023 i detenuti marocchini nelle carceri italiane erano 3.699, il 20,6% del totale dei detenuti stranieri, di gran lunga la comunità più numerosa. Guardando ancora a paesi africani, seguono la Tunisia (con 1.818 detenuti, pari al 10,1% dei detenuti stranieri), la Nigeria (1.195, il 6,6%) e l’Egitto (681, ovvero il 3.8% degli stranieri in carcere). Sopra a queste cifre troviamo soltanto la Romania, con 2.083 persone detenute (l’11,6% degli stranieri in carcere) e l’Albania, con 1.876 detenuti (pari al 10,4%).
Per poter essere significative, tali percentuali vanno ovviamente parametrate ai numeri delle presenze sul territorio italiano. Sono in questo senso paradigmatici proprio i casi delle comunità immigrate rumena e albanese, che ci mostrano come il processo di integrazione nel tessuto sociale porti alla netta riduzione dei percorsi di illegalità. Se in occasione del censimento del 2001 i rumeni in Italia erano meno di 100.000, dieci anni dopo sfioravano il milione di presenze. Alla fine del 2002, anno della liberalizzazione dei visti turistici in Romania che ha accresciuto il fenomeno migratorio, il tasso di detenzione dei rumeni in Italia era dell’1%. Alla fine del 2010, esso era sceso fino allo 0,4%. Se facciamo un salto in avanti di altri dieci anni, durante i quali si è decisamente consolidato il processo di integrazione della comunità rumena in Italia, troviamo che alla fine del 2020 – con una presenza di rumeni sul territorio di poco superiore al milione di unità, che li rende la prima collettività straniera nel paese – il tasso di detenzione si è ulteriormente dimezzato, risultando pari allo 0,2%.
Qualcosa di simile è accaduto alla comunità albanese, che a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso ha visto consistenti flussi migratori verso l’Italia. Se all’inizio del nuovo Millennio il tasso di detenzione si attestava intorno all’1,6%, alla fine del 2010 era calato fino allo 0,6% e dieci anni dopo aveva raggiunto lo 0,4%.
I reati che portano in carcere le persone straniere sono tendenzialmente meno gravi di quelli attribuiti agli italiani detenuti, come emerge chiaramente dalla lunghezza delle pene inflitte. Alla fine del 2022, il 28,6% dei detenuti stranieri stava scontando una pena inferiore ai tre anni – per la quale avrebbe potuto potenzialmente accedere a una misura alternativa al carcere – contro il 20,3% dell’analoga percentuale calcolata sull’intera popolazione detenuta. Il 5,7% stava addirittura scontando una condanna inferiore a un anno (contro il 3,6% calcolato sul totale dei detenuti). Viceversa, se guardiamo a condanne a pene temporanee oltre i dieci anni vediamo che esse riguardano il 23,7% dei detenuti in generale e il 14,5% dei soli detenuti stranieri. L’ergastolo riguarda invece il 4,6% dei detenuti e l’1% dei soli stranieri.
I reati più rappresentati sono quelli contro il patrimonio (il 26,1% dei reati ascritti a detenuti stranieri, contro il 23,9% dei reati ascritti alla totalità dei detenuti), quelli contro la persona (il 22,2% per gli stranieri e il 18,2% in generale) e le violazioni della normativa sulle droghe (il 17% per gli stranieri e il 14,4% in generale). Seguono i reati contro la pubblica amministrazione, che pesano per il 10,1% nel caso di detenuti stranieri contro il 6,9% complessivo, probabilmente a causa delle fattispecie di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, sovrautilizzate nel caso di persone straniere. La legge sulle armi vede invece una netta sotto-rappresentazione dei detenuti stranieri (1,9% dei reati loro ascritti, contro il 6,8% complessivo), così come l’associazione di stampo mafioso (0,8% contro 6,8% complessivo).
Uno sguardo all’area penale esterna ci dice che gli stranieri usufruiscono in maniera inferiore di alternative al carcere rispetto agli italiani. Se infatti, come abbiamo visto, al 15 giugno 2023 gli stranieri detenuti erano il 31,1% della popolazione carceraria, alla stessa data essi rappresentavano il 19,3% delle persone in carico agli Uffici di Esecuzione Penale Esterna. Al contrario di quanto accade in carcere, il continente qui più rappresentato è quello europeo (42,8% del totale, contro il 36,2% del continente africano), capace probabilmente di garantire qualche rete sociale in più sul territorio.
Il primo articolo della serie, sulla sovra-rappresentazione dei ragazzi stranieri in carcere, è a questo link. Mentre il terzo, sulle donne straniere detenute, è qui.
La foto di copertina è di Inside carceri, webdoc di Antigone e Next New Media.