Cosa rimarrà del 2015, l’anno in cui sono arrivati in Europa un milione di profughi? I volti e le foto, i momenti storici e tragici sono innumerevoli per un anno che rimarrà nella storia dell’Europa e del Mediterraneo. I numeri del 2015 dei rifugiati erano impensabili solo un anno fa. L’Europa ha oscillato, i suoi leader hanno preso strade diverse,oscillando tra chiusure, aperture e di nuovo chiusure nei confronti dei migranti, che per raggiungere il continente sceglievano sempre nuove rotte, forzati dai muri alzati dalla politica. Eppure, in questo lungo anno, ci sono stati giorni che hanno segnato e segneranno in maniera indelebile la storia delle migrazioni e la storia stessa dell’idea di Europa unita.
Qui di seguito abbiamo scelto 5 di queste giornate storiche (e tragiche).
L’Europa e rifugiati
Il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia cola a picco un barcone carico di migranti che cercano di raggiungere l’Italia. I morti accertati sono 58, i superstiti recuperati 28 e il numero dei dispersi è compreso tra i 700 e i 900.
«Il mio dolore è che ci sono voluti altri 900 morti per far sì che l’Europa, si rendesse conto che la questione degli immigrati debba essere assunta da tutta Europa e non solo da Lampedusa, dalla Sicilia o dall’Italia». Sono queste le parole che avrebbe pronunciato qualche settimana dopo Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri. L’Europa pare inizi a prendere sul serio l’esodo dei migranti.
È il 15 ottobre quando i capi di stato e di governo dell’Unione Europea approvano la lista di priorità indicate dalla Commissione Europea nell’Agenda sulle migrazioni. L’Agenda fissa una serie di azioni comuni per far fronte al flusso crescente di profughi verso l’Ue e alle difficoltà generate dal Regolamento di Dublino, per il quale il paese in cui fare domanda d’asilo dev’essere per ogni richiedente quello di primo ingresso, che significa in larga maggioranza Italia e Grecia.
Le principali misure adottate a livello europeo sono state quindi due: un piano per la “relocation” di 160mila richiedenti asilo “con chiaro bisogno di protezione internazionale” (in clear need of international protection) da Italia e Grecia agli altri paesi dell’Ue, e un piano d’azione sui rimpatri. A distanza di due mesi, i due piani – ricollocazione e rimpatri – sembrano però già destinati al fallimento.
Secondo i dati della Commissione, al 7 dicembre sono 160 (su 160mila previste nel piano) le persone effettivamente ricollocate dall’Italia (130) e dalla Grecia (30) verso altri paesi. Questo è dovuto in parte al criterio restrittivo imposto dalla Commissione secondo cui a poter essere ricollocate sono solo le nazionalità che – in base agli ultimi dati Eurostat del 10 dicembre – mostrano un tasso di riconoscimento della protezione internazionale superiore al 75% (e per gli arrivi in Italia questo attualmente vale solo per gli eritrei), ma più ancora sembra contare, secondo le testimonianza degli osservatori sul terreno, l’indisponibilità degli stessi profughi, sia in Grecia sia in Italia, a farsi inserire nel programma di relocation, che non garantisce la destinazione desiderata e rischia di durare alcuni mesi, a fronte invece della possibilità di raggiungere la propria destinazione affidandosi ai passeur.
Per quanto riguarda i rimpatri, i dati (aggiornati all’8 dicembre) mostrano numeri relativamente piccoli, a fronte del numero crescente di cosiddetti “respingimenti differiti”, emessi in Sicilia dalle Questure delle città di sbarco, che – dopo un primo screening destinato a distinguere chi ha i requisiti per l’asilo da chi non ne ha, in base alla sola nazionalità – impongono ai migranti considerati “economici” di lasciare il paese con mezzi propri, entro 7 giorni, dall’aeroporto di Fiumicino.
Nasce la rotta balcanica
Il 20 agosto la Macedonia dichiara lo stato d’emergenza perché la pressione delle migliaia di rifugiati che attraversano il confine greco è divenuta insostenibile. Dopo alcuni giorni di scontri tra polizia e profughi sul confine nord con la Grecia, la repubblica ex jugoslava è costretta a lasciar transitare decine di migliaia di persone in viaggio verso l’Europa del benessere. La rotta balcanica è ormai aperta e a fine anno ci saranno passate, secondo l’Unhcr, circa 800mila persone. Sull’isola di Lesbo, primo ponte del lungo tragitto verso la Mitteleuropa e oltre, ci saranno stati a fine anno circa 500mila sbarchi.
Ora per arrivare in Europa non c’è più solo la via italiana. Soprattutto siriani, afghani e iracheni, risalgono lungo il Danubio, l’Austria e soprattutto la Germania sono la meta finale. Alla fine del mese, Vienna e Berlino aprono le frontiere ai profughi. Striscioni con Flüchtlinge willkommen (benvenuti profughi) e Inno alla gioia di Beethoven per accogliere i migranti stremati, e Angela Merkel si presenta a braccia aperte ai siriani. È il 25 agosto e sembra l’inizio di una nuova stagione per i rifugiati e per la politica europea.
Poi, in meno di due mesi la storia prende un’altro corso. Il 17 ottobre l’Ungheria di Orban chiude le porte e alza i muri. Prima con la Serbia e poi con la Croazia. E – come si vede dal grafico qui sotto – s’interrompe il flusso verso Budapest e s’impennano gli ingressi in Slovenia. I rifugiati fanno paura e li si chiude fuori.
La rotta balcanica è un gioco di rubinetti aperti e chiusi in cui l’acqua, ossia le decine di migliaia di profughi.
L’anno dei bambini
Certo, il 2015 dei rifugiati sarà ricordato anche per Alan Kurdi, il bambino curdo-siriano annegato e spinto dal mare il 2 settembre sulla spiaggia di Bodrum in Turchia.
Ma Alan è solo un simbolo adottato da un’ondata mediatica planetaria di una tragedia che ha toccato migliaia di bambini come lui. A mesi di distanza da quella morte, ancora a decine continuano a perdere la vita in quel breve tratto di mare che separa la Turchia dalla Grecia come in tutti i viaggi dei migranti che dalla sponda sud attraversano il Mediterraneo.
In un rapporto uscito nei primi giorni di dicembre, Iom e Unicef stimano che i bambini rifugiati partiti da Siria e Afghanistan, dalla Nigeria o dall’Eritrea, siano un quinto di tutti i rifugiati in viaggio nel 2015, vale a dire più di 200 mila, un quarto se ci si limita ai siriani. Da settembre, tra i morti nel tentativo di raggiungere la Grecia via mare il 30 per cento sarebbero minori, perlopiù figli di profughi che scappano dalla guerra in Siria. Ripetiamolo: uno su tre dei morti è un bambino o un adolescente.
Sul suolo italiano, su 150 mila arrivi nel 2015, circa il 10% sarebbero bambini.
Al numero di arrivi corrisponde una percentuale analoga di richieste d’asilo. A settembre, circa il 27% dei richiedenti protezione era un minore, la Siria svetta con oltre 54 mila domande seguita dall’Afghanistan con con quasi 38 mila. In Germania, nei primi nove mesi dell’anno le richieste d’asilo di minori sono 82.520, più di 45 mila in Ungheria, quasi 28 mila in Svezia. In Italia, i bambini richiedenti asilo nel 2015 sono 3845, circa il 5% di coloro che hanno presentato la domanda.
Twitter: @alessandrolanni