Fra tutti i luoghi di frontiera che abbiamo mappato in questi mesi, quello dove la situazione è più difficile resta Ventimiglia, dove secondo i volontari che li assistono, sono oltre 500 i migranti in transito ancora presenti, e dove continuano a ripetersi incidenti mortali alla frontiera. Due in meno di un mese: il primo il 28 dicembre 2017, quando il corpo senza vita di un giovane è stato trovato sull’A8 all’altezza del comune francese di Roquebrune. Il secondo il 14 gennaio 2018, con la morte di un uomo folgorato sul tetto di un treno, nei pressi della stazione ferroviaria di Mentone a poca distanza dal confine italiano. Il convoglio era partito da Ventimiglia. Miglior sorte è toccata a un giovane rimasto gravemente ferito dopo essere caduto nella notte tra il 25 e il 26 gennaio, mentre cercava di entrare in Francia vicino al confine di Ponte San Luigi. Stando a quanto raccontato dal quotidiano francese Nice Matin, l’uomo sarebbe fuggito da un prefabbricato installato nel parcheggio del posto di frontiera dove sono detenuti i migranti in attesa di essere rispediti in Italia.
“Alla frontiera italo-francese continua a essere in vigore il blocco di Schengen, introdotto a partire dal 2015, mentre in città i numeri delle presenze hanno subito forti oscillazioni nelle ultime settimane”, racconta Daniela Zitarosa dell’Ong Intersos, che aggiunge: “attualmente in città stimiamo che ci siano tra le 250 e le 300 accolte nel campo gestito dalla Croce Rossa al Parco Roja, mentre altri 200 sono i migranti accampati lungo il fiume, in particolare vicino al cavalcavia nel quartiere delle Gianchette”.
Proprio qui si trova la chiesa di S. Antonio, dove all’interno del progetto “Ventimiglia CONfine solidale”, i volontari guidati da don Rito Alvarez avevano garantito accoglienza per oltre un anno, dal 31 maggio 2016 al 14 agosto 2017, ai soggetti più fragili: donne, famiglie e minori stranieri non accompagnati. “Purtroppo”, continua l’operatrice di Intersos, “si tratta delle stesse categorie che oggi, nonostante il campo sia stato aperto anche a loro, restano accampate, senza adeguata accoglienza, sotto il viadotto”. Si tratta per lo più di eritrei, che rifiutano di spostarsi per timore di essere identificati dalla polizia all’ingresso del campo. Ed è proprio il “sorpasso” rispetto ai sudanesi da parte degli eritrei, di cui molti giovanissimi, a rappresentare una delle principali novità degli ultimi mesi. Secondo i dati diffusi dalla Caritas di Sanremo e Ventimiglia, nei primi 15 giorni di gennaio 2018 sono stati registrati oltre 600 migranti in transito: il 52 per cento proviene dall’Eritrea e il 10 per cento sono donne. Il 31 per cento sono minori di 18 anni e, di questi, sette avevano meno di 10 anni. I dati di febbraio registrano un rafforzamento di queste tendenze.
“La permanenza dei migranti in città continua a oscillare dai pochi giorni a qualche mese, segno di una frontiera che continua a essere permeabile, e di una sempre maggior mobilità interna all’Italia”, conclude Daniela Zitarosa, “capita di incontrare migranti che arrivano a Ventimiglia già con l’idea di proseguire il loro viaggio verso il valico di Bardonecchia. Si tratta soprattutto di persone provenienti da paesi francofoni come Costa d’Avorio e Guinea”.
Bardonecchia che, negli ultimi mesi, ha rappresentato la grande novità nei flussi migratori dall’Italia verso l’Europa. Al valico alpino sono cresciuti i numeri, così come i rischi di chi si avventura tra le montagne nel tentativo di arrivare in Francia.
Como: numeri stabili
Restano stabili e in calo rispetto all’estate scorsa le presenze e i numeri a Como e ai valichi verso la Svizzera. Nel 2017 a Como ci si aspettava una pressione migratoria pari se non superiore a quella del 2016, quando sui giardini della stazione di Como San Giovanni stavano centinaia di migranti respinti alla frontiera con la Svizzera. I dati fornitici dalle Guardie di Confine svizzere, invece, smentiscono la previsione: nel resoconto annuale, diffuso nei primi giorni del 2018, si parla di 27.300 ingressi illegali in tutta la Confederazione contro i 48.838 del 2016 e i 31.038 del 2015. Il Ticino rimane il principale punto di ingresso: in un anno sono state fermate per aver tentato di attraversare in modo irregolare 10.735 persone, con un picco di 1.337 a luglio. Per quando riguarda la nazionalità, si tratta perlopiù di cittadini provenienti dalla Guinea Bissau, Gambia, Nigeria, Somalia e Costa d’Avorio.
In lieve calo anche il numero dei migranti ospitati nel campo per migranti in transito di via Regina Teodolinda a Como. Rispetto a una capienza di 400 posti, al 26 gennaio 2018 le presenze erano 197, di cui 19 persone provenienti da sbarchi (il campo viene utilizzato dalla Prefettura come hub). Due le novità principali registrate negli ultimi mesi: diminuisce molto il numero dei minori stranieri non accompagnati (una trentina, a dispetto dei quasi 100 dei periodi di maggior affluenza tra fine 2016 e inizio 2017) e arrivano sempre più migranti provenienti dalla Rotta balcanica. Sempre più uomini e famiglie arrivano a Como da Gorizia perché sanno che al campo di via Regina viene data la possibilità (a chi non l’ha già fatto) di accedere all’iter per la richiesta di protezione internazionale.
Critica, seppur con numeri inferiori all’inverno scorso, resta la situazione dei migranti rimasti fuori dal sistema dell’accoglienza. “Registriamo un numero alto, attorno alle ottanta persone”, spiega il direttore della Caritas Roberto Bernasconi con i dati a sua disposizione, “si tratta di persone magari in uscita dai Cas che provano a oltrepassare il confine, appoggiandosi anche ai passatori”. Una parziale risposta, a dicembre, è stata l’apertura, da parte della stessa Caritas in collaborazione con alcune associazioni di volontariato, di tre nuovi tendoni nel chiostro del Centro pastorale Cardinal Ferrari, adiacente al tradizionale dormitorio invernale per senza fissa dimora della città. Qui hanno trovato riparo una cinquantina di migranti rimasti per mesi accampati nell’androne, oggi recintato da reti metalliche, sotto l’autosilo Val Mulini.
Sempre al confine italo-svizzero, bisogna registrare una nuova tragedia: il 20 gennaio un uomo di origini marocchine è stato ucciso in territorio elvetico, a pochi chilometri dalla frontiera, mentre camminava in compagnia di un altro uomo lungo la ferrovia.
Gorizia e Bolzano
Gli arrivi a Como di migranti provenienti dalla Rotta balcanica confermano un flusso che ha il suo perno a Gorizia. Secondo un recente rapporto stilato da Intersos, la città è interessata da un flusso in entrata sia dalla Rotta balcanica sia dal Nord Europa. Gli ingressi sono stati costanti a partire dal 2015, con un numero di arrivi che varia dalle 5 alle 20 unità giornaliere. Il flusso è composto principalmente da persone che vengono da Afghanistan e Pakistan e, in minima parte, da uomini iracheni, quasi tutti fra i 25 e i40 anni, con la presenza sporadica di qualche nucleo familiare.
È stabile anche la situazione lungo la direttrice del Brennero, dove proseguono i controlli della polizia nei pressi principali stazioni ferroviarie a partire da Verona.
Lo spiega Federica Dalla Pria, coordinatrice di Antenne Migranti: “da novembre i controlli sono diminuiti anche se rimangono ancora, in misura minore, quelli sui binari a opera della Polizia ferroviaria. Per quanto riguarda le persone in transito, il numero delle persone al Brennero è stabile, ma abbiamo registrato un aumento di cittadini marocchini, avvenuto in particolare a ottobre. Nei mesi successivi, invece, gli arrivi sono stati contraddistinti da persone dell’Africa subsahariana che arrivano dalla Rotta balcanica”. Proprio Antenne Migranti, la rete che monitora la direttrice verso l’Austria, a fine gennaio ha presentato il rapporto “Lungo la rotta del Brennero”, frutto della collaborazione con l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e la Fondazione Alexander Langer. Punto di osservazione privilegiato proprio la stazione del Brennero: secondo Antenne Migranti, “fino a luglio 2017 arrivavano in media tra dieci e venti migranti al giorno. Le persone con un qualche tipo di permesso di soggiorno, ma prive di titolo di viaggio valido per l’espatrio, vengono fatte scendere e sono invitate a prendere un treno verso sud. Chi è privo di qualsiasi documento e permesso di soggiorno viene solitamente accompagnato al Commissariato per essere identificato, foto -segnalato e invitato a presentarsi alla Questura di Bolzano per regolarizzare la propria posizione”.
Da fine febbraio 2017 la polizia effettua i controlli anche sui treni regionali provenienti dall’Austria, con procedure sommarie di respingimento immediato per quanti tentano di fare ingresso in Italia.
Secondo il Ministero dell’Interno, il Trentino Alto Adige-Suedtirol accoglie il 2 per cento dei migranti accolti a livello nazionale. Sono 1.650 persone nei centri (dato del giugno 2017) e altre 146 “fuori quota”, vale a dire “arrivate in modo autonomo in Provincia, spesso attraverso le frontiere terrestri”.
Dalla fine della scorsa estate sono stati intensificati i controlli anche sui treni merci. “Appena passato il confine, a Brennersee”, spiega Dalla Pria, “c’è il binario speciale, costato moltissimo, in cui vengono fatti i controlli dei treni merci. Questo perché a dicembre sono state rintracciate parecchie persone di origine africana, tra cui molti minori, nascosti sui treni merci in Austria, al confine con la Germania ma anche a Verona, Domegliara e Trento”. I controlli non hanno però evitato che, da ottobre a oggi, tre migranti morissero nel tentativo di passare la frontiera a bordo di un treno. Tra loro anche un uomo trovato dai poliziotti della Polfer al Brennero, carbonizzato da una scarica elettrica sul tetto di un container, la Vigilia di Natale.
In copertina: migranti alla stazione San Giovanni di Como, in attesa di nascondersi sui treni verso la Svizzera con cui sperano di passare il confine (fotografia di Andrea Butti)