L’8 giugno scorso i ministri degli affari interni dei 27 Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo che è stato definito “storico” su due regolamenti cardine del Patto sulla migrazione l’asilo proposto dalla Commissione europea nel settembre 2020: il regolamento per il management dell’asilo e della migrazione e il regolamento sulle procedure di asilo.
La generale impalcatura legislativa e volontà politica è quella di modificare solo in minima parte le ormai obsolete regole di Dublino per cui è sempre lo Stato di primo arrivo di una persona migrante a dover analizzare la sua richiesta di asilo. L’accordo, votato a maggioranza qualificata in seno al Consiglio dell’UE, così com’è andrebbe a ridurre gli standard di protezione internazionale. Resta da vedere se riuscirà a raggiungere gli altri obiettivi di scoraggiare gli arrivi, velocizzare i rimpatri verso i Paesi di origine o ridurre i cosiddetti movimenti secondari dei migranti tra Stati Ue. Ora il Consiglio e Parlamento UE hanno avviato la fase negoziale (i cosiddetti Triloghi) e si sono impegnati a trasformare i due regolamenti in norma cogente entro giugno 2024, ovvero prima della fine della legislatura.
Esternalizzazione verso “Paesi terzi sicuri” e estensione delle procedure di frontiera
Un obiettivo di fondo della posizione negoziale degli Stati membri è trasferire la responsabilità a Paesi extraeuropei, anche se a fine 2022 secondo l’UNHCR il 76% dei rifugiati si trovava in Paesi a medio-basso reddito. I destinatari sono i Paesi dei Balcani occidentali e del Nord Africa, attraverso il concetto giuridico di “Paese terzo sicuro”. Tuttavia, le riforma proposta non aumenta la probabilità che questi Paesi accettino di ospitare persone rimpatriate dall’UE. Fonti diplomatiche raggiunte da Open Migration spiegano che “spetta agli Stati membri applicare il concetto di Paese terzo sicuro e determinare se esiste un collegamento sufficiente tra il richiedente e il Paese, sulla base del quale sarebbe ragionevole per un richiedente asilo recarsi in quel Paese”. È stata inoltre aggiunta una clausola di revisione, la quale prevede che un anno dopo l’entrata in vigore del regolamento sia possibile emendarlo con modifiche mirate proposte dalla Commissione europea. Come spiega però Catherine Wollard di ECRE (European Council for Refugees and Exiles) a Open Migration, la clausola include anche la creazione di “due elenchi di Paesi terzi sicuri, uno dagli Stati membri e uno comune a livello UE”. La possibilità eventuale di rivedere il principio è in ultima analisi considerata da Wollard “debole” a causa della “scarsa inclinazione della Commissione UE ad agire contro gli Stati membri per violazione del diritto comunitario o della Corte di giustizia UE a fare giurisprudenza su proposte legislative”; in secondo luogo – continua Wollard – “perché un Paese sia considerato ‘sicuro’ è necessario che abbia solo una ‘protezione effettiva’ e non una protezione stabilita dalla Convenzione sui rifugiati del 1951”.
All’interno dei confini dell’UE, inoltre, gli Stati UE vogliono che le procedure di frontiera – che servono a valutare rapidamente alle frontiere esterne dell’UE se le domande di asilo sono infondate o inammissibili – diventino obbligatorie per le persone provenienti da Paesi terzi in cui il tasso di protezione internazionale è pari o inferiore al 20%, quando il richiedente rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, o ha indotto in errore le autorità presentando informazioni false od omettendo informazioni.
La procedura di frontiera si applicherebbe inoltre quando un richiedente asilo presenta domanda a un valico della frontiera esterna a seguito di un fermo collegato all’attraversamento illegale della frontiera esterna e a seguito dello sbarco dopo un’operazione di ricerca e soccorso.
Questa novità del regolamento – spiega ancora Woollard di ECRE – potrebbe però portare a “un numero maggiore di persone che rimarrà bloccato alle frontiere in situazioni simili al modello delle isole greche”.
Gli Stati UE hanno concordato un numero minimo di 30mila persone all’anno che dovranno essere sottoposte a una procedura di frontiera – poche se consideriamo le 966 mila richieste di asilo totali in UE nel 2022. La capacità adeguata individuale degli Stati membri sarà stabilita utilizzando una formula basata sulla capacità adeguata complessiva e sul numero di ingressi “irregolari”. “Le persone la cui domanda di asilo viene respinta nelle procedure di frontiera saranno automaticamente incanalate in procedure di rimpatrio forzato/deportazioni. Potranno tornare nel loro paese volontariamente solo se ne faranno richiesta, e avranno solo 15 giorni per organizzare il loro rientro”, spiega PICUM (Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants)
I Paesi del centro e del nord Europa come Austria, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e la stessa Svezia che detiene la presidenza del Consiglio, hanno insistito su questo cambiamento prima di accettare la cosiddetta solidarietà, per ridurre drasticamente i cosiddetti “movimenti secondari” dei richiedenti asilo. “Le garanzie come l’accesso all’assistenza legale o all’appello sono ridotte. Non ci saranno quasi più esenzioni per le persone vulnerabili, le famiglie o i bambini, e un numero maggiore di procedure sarà gestito in detenzione”, avverte ECRE.
Piccole modifiche sul concetto di responsabilità
Il periodo di responsabilità del Paese di arrivo per un richiedente viene esteso. Passa da uno a due anni per le persone che entrano alle frontiera esterne via terra, ma sarà ridotto a 15 mesi dopo un respingimento nella procedura di frontiera (per incentivare gli Stati a utilizzare la procedura di frontiera). Viene invece mantenuto a un anno per le persone salvate in mare.
Sono stati respinti i miglioramenti alle norme sulla responsabilità (rispetto a Dublino) proposti inizialmente dalla Commissione europea, tra cui una definizione di famiglia più ampia per consentire l’unificazione familiare con fratelli e sorelle.
Solidarietà obbligatoria, ma flessibile: grande sconfitta per i Paesi del sud Europa
Per compensare i Paesi alle frontiere esterne UE in situazioni di “pressione migratoria” è stato introdotto il concetto di solidarietà obbligatoria, ma flessibile. Questo significa che tutti i Paesi devono contribuire, ma possono scegliere cosa offrire: ricollocazione e assunzione di responsabilità per le persone che arrivano da un altro Paese UE; sviluppo di capacità e altro sostegno; o un contributo finanziario. È stato respinto, invece, un meccanismo per la ricerca e salvataggio in mare coordinato a livello UE.
L’obiettivo dei ricollocamenti tra Stati membri è fissato a 30 000 persone (non da confondere con gli altri 30 mila delle procedure di frontiera). Però per i Paesi che non vorranno accogliere migranti dagli Stati di primo arrivo sono previste “compensazioni”: l’equivalente finanziario è fissato a 20 000 euro per persona non ricollocata. Questi contributi economici verranno fatti confluire in un fondo UE per le capacità di accoglienza per la gestione della procedure di frontiera (le infrastrutture, ma soprattutto inviando personale e mezzi, come camion ed elicotteri). Questa è una sconfitta dei Paesi del sud Europa – Italia compresa – dove come sottolinea ECRE “i ricollocamenti non sono prioritari”.
I prossimi passi
L’avvicendamento della presidenza del Consiglio tra Svezia e Spagna non dovrebbe portare a grandi cambiamenti nell’immediato in quanto l’accordo tra Stati è già chiuso e anche per il fatto che la Spagna avrà le elezioni anticipate il 23 luglio dove l’attuale Primo Ministro socialista Sanchez parte sfavorito. La stessa Commissione europea, con una lettera mandata dalla sua presidente Ursula von der Leyen ai capi di stato e governo dell’Ue in vista del vertice del 29 e 30 giugno ha messo l’accento sulla “gestione efficace dei confini esterni che deve restare la priorità”.
Ora sono iniziati i negoziati tra il Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo. I punti chiave di dibattito saranno il concetto di “responsabilità”, l’esenzione dei bambini dalle procedure di frontiera, la nozione di “Paese terzo sicuro” e i ricollocamenti. Come avverte l’analista politico dell’European Policy Centre, Alberto-Horst Neidhardt, “Le due istituzioni europee (Parlamento e Consiglio, Ndr) cercheranno di difendere le loro posizioni, mentre la pressione per arrivare alla conclusione del Patto sarà sempre più forte prima della fine dell’attuale legislatura. Le complesse regole alla base del “nuovo” sistema potrebbero quindi preannunciare un periodo di ambiguità e di recriminazioni, riducendo ulteriormente la fiducia tra gli Stati membri”.
La foto di copertina è presa dal sito del ministero dell’Interno.