Rispetto al nuovo Patto europeo su asilo e immigrazione, approvato nei giorni scorsi a maggioranza qualificata al Consiglio degli Affari Interni della Ue riunitosi a Lussemburgo, i media nazionali si sono principalmente soffermati sull’aspetto meno importante: ha vinto o ha perso la Meloni? Non è molto interessante affidarsi a questo spettro interpretativo per commentare un accordo che tocca i nervi scoperti delle nostre affaticate democrazie. Rispetto alle anticipazioni sui contenuti del patto europeo, salutato enfaticamente come l’inizio di una nuova stagione unitaria e coesa (anche se non del tutto vista la contrarietà di Ungheria e Polonia e le astensioni di Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria), mi soffermo sulla parte relativa alla possibilità di rimandare le persone nell’ultimo Paese di transito non europeo attraversato, purché ritenuto sicuro. Pare che l’Italia abbia spinto affinché non vi siano regole uniformi su scala europea lasciando al singolo Paese la libertà di decidere se c’è una connessione tra il richiedente asilo e il Paese terzo dove lo si vorrebbe rimandare. Un Paese che dovrebbe essere definito sicuro sulla base di quanto previsto dal diritto internazionale.
In un percorso migratorio che, a causa delle chiusure occidentali, va ricordato non avviene mai passando direttamente dal Paese di residenza a quello di destinazione, gli Stati transitati sono a volte numerosi. Il penultimo Stato attraversato, prima dell’arrivo nello spazio dell’Europa dei ventisette, è un paese affacciato sul Mar Mediterraneo (la Tunisia ad esempio) oppure, nel caso della rotta balcanica, è la Turchia. Lasciare a Italia e Grecia la possibilità di decidere se c’è una connessione tra il richiedente asilo e il Paese extra-europeo di transito significa mettere in conto il rischio dei respingimenti di massa o comunque di allontanamenti burocratizzati in prossimità delle frontiere marine o terrestri. È questa una politica disumana nonché contraria allo spirito costituente europeo.
Disumana perché in questo modo costringiamo le persone a rifare il percorso migratorio all’incontrario nonché a subire trattamenti vergognosi nei Paesi di transito dove verrebbero rispediti. Contraria allo spirito costituente europeo in quanto si abdica a ogni progetto politico fondato sulla indivisibilità dei diritti umani. Questo tipo di policy produce una mercificazione dei corpi. Ad esempio Paesi di transito come Turchia o Tunisia venderanno sempre più a caro prezzo la loro condizione di luoghi di passaggio. Alzeranno il tiro, chiederanno sempre più soldi (non a caso il Patto europeo costituisce un fondo ad hoc che tutti i Governi dovrebbero alimentare), pretenderanno che gli europei si bendino gli occhi per non intromettersi nei loro affari interni (che sono anche violazioni dei diritti umani).
Si tratta di una politica che produrrà la crescita esponenziale di luoghi di detenzione nei Paesi di confine con l’Unione Europea, in barba a ogni ispirazione solidale nonché al principio di diritto secondo cui la privazione della libertà deve conseguire solo alla commissione di un crimine.
Infine, quando possiamo definire un Paese terzo sicuro? Sicuro per chi? Sicuro fino a quando? Pare che sarà definita una lista europea di Paesi sicuri. Qua si gioca la partita della credibilità della democrazia europea. I parametri dovrebbero essere formali e sostanziali: bisognerebbe verificare se vi è stata firma e ratifica delle convenzioni internazionali sul diritto umanitario e sui diritti umani, ma anche se vi è in quello stesso Stato il rispetto di fatto dei diritti umani, utilizzando a tal fine i rapporti degli organismi inter-governativi o non-governativi impegnati nello human rights fact-finding. Qualora ad esempio ci sia una giurisprudenza concordante della Corte europea dei Diritti Umani nel ritenere che in un Paese la tortura sia sistematica potremmo mai definire quel Paese sicuro? L’Argentina degli anni di Videla era sicuro per i militari, mortale per i dissidenti. Nel considerare un paese Sicuro si terrà conto della variabile politica e delle derive autocratiche?
Dunque, ha ragione Eve Geddie, direttrice dell’Ufficio dell’Unione europea di Amnesty International nel dire che il Patto, così come approvato andrà a ridurre “gli standard di protezione per le persone all’arrivo ai confini dell’Unione europea”.
La partita non è però finita qua. Ora la palla torna nel campo del Parlamento Europeo che in omaggio ai suoi padri nobili, come Altiero Spinelli, si spera imponga modifiche sostanziali al Patto su asilo e immigrazione, a partire da definizioni stringenti, giuridicamente fondate e universalmente concordate di Paese terzo e sicuro. In questo modo il Parlamento Europeo onorerebbe le istanze di unione e libertà con le quali si chiudeva il Manifesto di Ventotene per un’Europa federale. Ogni discrezionalità eccessiva nelle mani degli Stati sovrani è una sconfitta per le singole persone migranti, i quali non sono numeri, ma corpi e anime. Nella lotta tra dignità umana e sovranità speriamo il Parlamento Europeo faccia pendere la bilancia verso il primo dei due poli.
La foto di copertina è di Humberto Chávez su Unsplash