Dalla città di Irpen a Belaya Tserkov, da Belaya Tserkov a Leopoli, da Leopoli a Varsavia, da Varsavia a Città del Messico, da Città del Messico a Tijuana e da Tijuana a San Diego. Questo è il viaggio di Inna Zalutska e sua figlia Yevheniia Zalutska, per sfuggire alla guerra scoppiata in Ucraina. La madre e la figlia sono partite il primo giorno del bombardamento, il 24 febbraio, e sono arrivate nella “terra dei sogni” il 31 marzo, un viaggio di 36 giorni.
“Appena siamo arrivate all’aeroporto di Tijuana abbiamo incontrato dei volontari, sono lì con la bandiera ucraina, ti danno un numero di registrazione e ti portano al campo. Inizialmente il campo era aperto, in un’area verde, ci hanno dato da mangiare, sacchi a pelo. Abbiamo passato la notte lì e abbiamo dormito sotto la pioggia”, ha detto la 21enne Yevheniia Zalutska.
A chi le chiede perché abbia scelto gli USA e non la più vicina Europa, Yevheniia risponde che secondo lei in Europa a causa dell’alto numero di rifugiati dall’Ucraina le possibilità di sopravvivenza sono minori. Ma nell’immediato qualche difficoltà la si incontra anche qui.
Secondo i dati dell’US Border Patrol, oltre 1,6 milioni di persone hanno attraversato illegalmente il confine tra Stati Uniti e Messico durante il 2021, un numero quattro volte più alto rispetto all’anno precedente e anche il numero più alto mai registrato in termini assoluti.
Numeri alti, vissuti da sempre come un problema negli Usa, dove il tema dei migranti al confine con il Messico è da anni al centro delle varie campagne elettorali che si sono susseguite.
Al momento ci si attrezza come si può. Nella città di Tijuana è stato allestito un centro di accoglienza in un complesso sportivo della Zone Norte, lo stesso complesso sportivo che aveva ospitato una carovana di migranti del centroamerica nel novembre 2018.
“Il centro sportivo che stiamo utilizzando ora è sovraffollato, non c’è più spazio. So che si sta allestendo un altro campo, perché ogni giorno arrivano oltre 400 persone, solo ieri erano in fila oltre duemila” racconta David Stryzheus, uno dei volontari.
“Questa è la mia terza settimana di lavoro come volontario, i primi tre giorni non ho dormito affatto. All’inizio ho pensato che avrei aiutato solo questa famiglia, poi ho ricevuto un’altra chiamata, due, tre e altre dozzine”, conclude.
Il sogno di tutti è raggiungere gli Stati Uniti: “Ci siamo spostati in gruppi di circa 20 persone, abbiamo camminato per 4 ore. Abbiamo seguito i volontari e detto alle pattuglie al confine da dove venivamo anche se lo sapevano in anticipo”, ci spiega Inna.
Lei e la mamma ce l’hanno fatta e al momento si trovano a San Diego, ospiti di una donna originaria della Bielorussia – Ira Vouk – che grazie ai social network si è messa in contatto con loro per offrire un alloggio.
“Ci auguriamo che il governo ci permetta di lavorare il prima possibile per sopravvivere e creare un futuro qui” dice Inna che intanto ha aperto un crowfounding in cui ognuno può donare per aiutare lei e sua figlia a mantenersi negli Usa.
Per loro potrebbe essere più semplice forse. Il presidente Biden ha annunciato il mese scorso che gli Stati Uniti avrebbero accolto 100.000 rifugiati ucraini.
Anche se i dettagli non sono stati ancora resi noti, i rifugiati ucraini in arrivo dal Messico beneficeranno di un programma umanitario specifico e otterranno un permesso di soggiorno di un anno.
“Questo programma consentirà loro di richiedere un visto o un permesso di lavoro e gli fornirà anche un numero di previdenza sociale, sarà anche relativamente più facile ottenere un permesso di residenza permanente per gli Stati Uniti”, ci spiega l’avvocato James Root, attualmente al lavoro con i rifugiati ucraini.
Non solo visti, anche l’accesso agli Stati Uniti potrebbe essere più facile.
“Recentemente hanno concordato di aprire un altro varco d’ingresso che è la strada occidentale, e il processo per attraversare il confine sta diventando più semplice, è aperto solo agli ucraini” conferma Vouk.
PedWest, il passaggio pedonale all’estremità occidentale del varco di ingresso di San Ysidro, nonostante la forte pressione migratoria alla frontiera, era rimasto chiuso al traffico negli ultimi due anni. Un’ulteriore conferma del fatto che quando c’è la volontà di farlo, accogliere diventa possibile oltre che necessario.
In copertina: US-Mexico border in San Diego Bruno Sanchez-Andrade Nuño via Flickr.