Per molti anni il tema delle migrazioni è stato un argomento saliente nel discorso pubblico e politico all’interno dei Paesi dell’Unione Europea. Tuttavia, dal 2015-2016, quando un gran numero di rifugiati e richiedenti asilo – principalmente provenienti dalla Siria, per via della guerra – si è diretto verso i confini dell’UE, il fenomeno migratorio è stato sempre più raccontato e ricollegato a un contesto di “crisi”, sia dalle classi dirigenti che dai media. Partendo proprio da questi ultimi, i ricercatori dell’Università di Leuven, Stefan Mertens, David De Coninck e Leen d’Haenens, nell’ambito del progetto HumMingBird, attraverso due analisi comparatistiche effettuate su alcuni Paesi dell’UE – Italia, Spagna, Ungheria, Belgio, Svezia e Germania (Cross-country comparisons of the media impact on anti-immigrant attitudes e A report on legacy media coverage of migrants), hanno evidenziato come l’impatto dei media, dalla televisione alle testate giornalistiche digitali, e l’emergenzializzazione delle migrazioni possano contribuire alla nascita di razzismo e ostilità nei confronti delle persone migranti.
L’indagine è stata condotta attraverso un sondaggio online, raccogliendo dati quantitativi sugli atteggiamenti nei confronti di quelli che nella ricerca vengono definiti outgroup (immigrati, rifugiati), sulla fiducia nei media, sugli atteggiamenti dei governi nei confronti delle migrazioni, tra la popolazione adulta di età compresa tra i 25 e i 65 anni nei sei paesi europei sopra menzionati. In collaborazione con Bilendi, un’agenzia di sondaggi belga, i ricercatori hanno condotto interviste raggiungendo un set di dati di 9.079 persone intervistate (circa 1.500 per nazione).
Dalla ricerca condotta, risulta che l’Italia spicca tra i Paesi che generalmente consumano più notizie sui media di servizio pubblico rispetto a quelli di tabloid. In Ungheria e Spagna, invece, avviene il contrario.
I ricercatori hanno poi condotto un’analisi per comprendere il tipo di percezione che le persone sviluppano sulle migrazioni in base al tipo di informazione proveniente dal consumo dei media. Per quanto riguarda il consumo di notizie televisive, i coefficienti di correlazione mostrano che il consumo di notizie di servizio pubblico e le notizie locali sono associate a una minore minaccia realistica e simbolica, mentre il consumo di notizie che derivano da tabloid è associato a una maggiore minaccia percepita. Inoltre, i ricercatori hanno condotto un’analisi sulla ricorrenza delle parole “migrazione” e “integrazione” nei giornali di 6 Paesi. Secondo l’analisi, i giornali svedesi, per esempio, hanno dedicato molta attenzione al legame tra migrazione e integrazione e, anche se non è possibile dedurre il tono o l’inquadratura degli articoli, secondo i ricercatori, è possibile che, sebbene gli svedesi fossero considerati tra i più aperti verso gli outgroup, l’attenzione dei media su larga scala all’integrazione e alle migrazioni negli ultimi anni ha contribuito a un cambiamento di paradigma. In Spagna, invece, viene evidenziato nella ricerca, la percezione provocata dalle migrazioni è più bassa poiché basso era il tasso di frequenza con cui il collegamento migrazione-integrazione era impiegato dai mass media.
“Sebbene questi risultati non possano indicare in modo definitivo alcun nesso causale tra i contenuti dei media e percezioni delle minacce, sembra esserci una certa sovrapposizione per quanto riguarda l’importanza attribuita a questo tipo di copertura sulle migrazioni negli ultimi anni […]”, riportano i ricercatori.
In tutti questi giornali è stato analizzato come la presenza di determinate parole chiave – ad esempio “integrazione”; “criminalità”; “terrorismo”; “rifugiati” – a seconda di come vengono impiegate nel discorso, possano portare a delle conseguenze reali nella percezione che l’opinione pubblica ha delle migrazioni. Sul caso dell’opinione pubblica italiana, per esempio, i ricercatori hanno preso in considerazione alcune testate giornalistiche nazionali, posizionandole in una tabella (divisa in sinistra, centro e destra) per analizzare le parole utilizzate, calcolando la percentuale di copertura mediatica su alcune tematiche, per trattare di immigrazione. La Repubblica, La Stampa, Avvenire, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera sono stati inseriti nel gruppo di centro; Il Fatto Quotidiano nel gruppo di sinistra e il Giornale nel gruppo di destra.
Secondo la ricerca, maggiore è la minaccia percepita, più forte è l’atteggiamento negativo nei confronti delle persone straniere. Prendendo il caso della narrazione mediatica effettuata sui migranti e sulle persone straniere in generale, un ruolo fondamentale viene giocato dalla percezione che le persone hanno, nei confronti di queste ultime, quando si parla dell’impatto sull’economia e sulla cultura a livello interno. Ad esempio, nella ricerca viene evidenziato che Il Giornale chiama spesso in causa “islam” e “musulmani” – in maniera negativa – alimentando atteggiamenti ostili nei confronti di questa categoria. Inoltre, viene spiegato, Il Giornale è l’unico quotidiano dove l’esposizione ad esso non è correlata a punteggi più alti nell’atteggiamento positivo verso gli outgroup.
Se si pensa agli articoli di cronaca nera in cui gli elementi “criminalità” e “stranieri” vengono associati, la nazionalità, l’etnia o la provenienza della persona di chi ha commesso il reato vengono messe in risalto, come se fossero gli elementi principali. Il tenore dei commenti di chi legge, sulle più importanti testate giornalistiche online, cambia a seconda dell’origine della persona colpevole o presunta tale. L’Associazione Carta di Roma, proprio per evitare stereotipi, generalizzazioni e pregiudizi basati sull’origine della persona associata a un reato avvenuto, da sempre promuove l’attuazione del protocollo deontologico per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione nelle sue “Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma”.
“Evitare di ‘etnicizzare’ le notizie non significa censurare certe informazioni ma di selezionare, tra le varie caratteristiche proprie di una persona, solo quelle veramente pertinenti a capire cosa è successo”, ripete l’Associazione. Infatti, “mentre sarebbe utile alla comprensione della vicenda scrivere ‘cittadino albanese arrestato alla stazione: era ricercato dalla polizia di Tirana’, la designazione attraverso la nazionalità sarebbe superflua in un generico caso di cronaca nera come ‘albanese arrestato: non si era fermato a un posto di blocco’. In questo modo si suggerirebbe che la provenienza dall’Albania è rilevante per spiegare le azioni del soggetto e si favorirebbe l’associazione automatica del lettore tra nazionalità e fatto criminoso”.
Spesso si tende a criminalizzare un intero gruppo etnico, anziché analizzare il caso specifico, proprio perché si tratta di una minoranza ben visibile e identificabile, e quindi risulta essere più facile sfruttare le generalizzazioni per spiegare un evento. Questo meccanismo però non avviene per la maggioranza: se prendiamo ad esempio i casi di violenza sessuale in cui sono coinvolte persone italiane bianche, l’opinione pubblica non fa riferimento all’origine degli stupratori. Al contrario, nel caso in cui la protagonista sia una persona di altra nazionalità, allora il fatto criminoso in questione diventa rappresentazione di tutte le persone che fanno parte della medesima nazionalità, arrivando a dire che si tratta di una “cultura” che fa parte di determinati gruppi etnici. In realtà, in questi esempi, non c’è differenza nella sostanza: si tratta di due individui che hanno molto in comune, nonostante le origini diverse. Ritenere l’azione più o meno grave perché perpetrata dall’una o dall’altra persona, non cambia ciò che è accaduto, né lo pone sotto una luce diversa. In questo caso, il punto centrale rimane la violenza di genere, una questione sistemica che è comune a tutti, indipendentemente dalla provenienza. Tuttavia, il razzismo nasce anche laddove una testata giornalistica fa sì che ci sia una correlazione diretta tra un fatto avvenuto e la nazionalità, anche quando quest’ultima non è rilevante per la notizia in sé.
La narrazione delle migrazioni, in Italia e in Europa, oscilla quindi spesso tra due concetti principali: la criminalità e “l’emergenzializzazione” degli sbarchi, senza che per quest’ultimo elemento ci sia una visione d’insieme che punti a uno stravolgimento radicale delle attuali politiche migratorie. La narrazione distorta sulle migrazioni è già stata smentita dai numeri che continuano a calare dal 2015 a oggi: “Il continente che più sopporta il peso delle migrazioni è proprio l’Africa. Secondo una stima del World Migration Report nel solo 2020 guerre e carestie hanno trasformato 21 milioni di africani in profughi forzati. Ma la maggior parte di loro sono profughi interni, persone cioè che hanno cercato riparo in regioni meno fragili del loro stesso Paese. Magari con la speranza di poter ritornare, prima o poi, nelle loro case”, riporta Melting Pot. Inoltre, questa continua retorica emergenziale è sbagliata poiché distoglie dal reale problema di questo fenomeno, ossia la mancanza di politiche volte a garantire il diritto alla libertà di movimento – dalla questione dei visti, alle disuguaglianze dei passaporti (costantemente rese evidenti dal Global Passport Index) fino al contrasto delle violenti politiche repressive delle frontiere in cui, giornalmente, i diritti delle persone migranti vengono schiacciati a causa dei respingimenti sistematici.
Una corretta informazione sulle migrazioni non solo dovrebbe basarsi sui dati reali, contrastando toni allarmistici, ma anche su una decostruzione, in chiave antirazzista, di tutto quello che concerne la mobilità internazionale – dalle cause di tipo economico a quelle di tipo climatico o di conflitto. Infatti i ricercatori hanno evidenziato l’importanza di contrastare la disinformazione incoraggiando le istituzioni a comprendere l’impatto che le loro parole hanno sugli atteggiamenti delle persone, influenzate quindi anche dai media, nei confronti dei cittadini e delle cittadine immigrate. Al contrario, sostengono i ricercatori, sarebbe importante incentivare la partecipazione a iniziative culturali di tutti i gruppi sociali, indipendentemente dalla provenienza, con il fine di creare una maggiore coesione sociale.
Questo studio è stato prodotto all’interno di Humming Bird. Humming Bird è un progetto di Horizon 2020 che mira a migliorare la mappatura e la comprensione dei flussi migratori in evoluzione.