“Abbiamo intercettato diverse segnalazioni, un anno fa, rispetto ai tempi d’attesa per i richiedenti asilo presso la Questura di Ancona, che provano inutilmente ad accedere alla procedura di protezione internazionale. Molte persone hanno raccontato che, una volta prese le impronte digitali, le procedure non partivano. Siamo intervenuti una prima volta, in autunno, ma ora la situazione è molto peggiorata. Da più di un mese ci sono persone, provenienti per lo più da Afghanistan e Pakistan, costrette a vivere per strada, senza alloggio, mentre Questura e Prefettura si rimpallano le responsabilità”.
A raccontare quanto accade ad Ancona è Valentina Giuliodori, dell’Ambasciata dei Diritti Marche, un’associazione onlus che opera nel territorio, con uno sportello legale e un osservatorio contro le discriminazioni.
“La spiegazione ufficiale che ci è stata fornita”, racconta Giuliodori, “è che non si trovano alloggi, per la scarsa collaborazione degli enti locali della provincia di Ancona e per l’ostilità dei proprietari ad affittare per progetti sociali. Resta il problema, però, e non si capisce perché allo stesso tempo le istituzioni responsabili di questa soluzioni rilascino dichiarazioni alla stampa stigmatizzando chi vive per strada, ma non spiegando che è il sistema in capo a loro che ce le mette per strada le persone”.
L’Ambasciata dei Diritti ha fatto notare che questa situazione – si parla di almeno 90 persone – è una violazione palese del Decreto Legge del 18 agosto 2015, n. 142 nell’articolo 1 commi 2 e 3, che obbliga l’amministrazione ad adottare immediatamente misure di accoglienza di fronte alla manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale.
Una sentenza del TAR del Veneto è solo l’ultima di una lunga serie che ha stabilito come le questure non hanno alcun potere decisionale e che devono limitarsi ad applicare la legge nel minor tempo possibile.
A quel punto, sempre secondo l’ordinamento italiano, spetta alla Prefettura organizzare le strutture destinate all’ospitalità. Solo che, dopo decenni, siamo sempre di fronte alle stesse situazioni inadeguate di un sistema che continua a ragionare come se si trovasse di fronte a un’emergenza che non c’è. Manca solo la capacità e la volontà di gestire queste situazioni che, ad Ancona, durano almeno da dieci anni. Sembra complesso, ma basterebbe avere sempre una quantità di posti disponibili per non essere impreparati nei momenti di maggiore afflusso.
Come ha tenuto a sottolineare l’Ambasciata dei Diritti, la guerra in Ucraina non spiega questa situazione: solo una piccola parte dei profughi ucraini è entrato nel percorso di accoglienza governativo, preferendo l’ospitalità di amici o parenti, e per quelli che sono affidati alle istituzioni, il governo ha stanziato dei fondi aggiuntivi per integrare i posti nelle strutture per richiedenti asilo.
“La situazione potrebbe peggiorare con l’arrivo delle persone in seconda accoglienza, dopo gli sbarchi a Lampedusa”, spiega Giuliodori, ma anche quello non è il motivo della mancanza di posti letto, perché la situazione attuale origina dal taglio dei fondi del ministero dell’Interno per disincentivare gli arrivi. Una politica assurda, che ha già dimostrato spesso i suoi limiti, perché nei progetti migratori di ieri e di oggi non è mai stato un fattore né quello del rischio né quello delle condizioni di vita all’arrivo. Perché le condizioni di vita alla partenza sono comunque peggio.
“Quello che ad una prima lettura potrebbe sembrare un problema tecnico ed organizzativo è in realtà un dramma umano. Chi arriva e chiede asilo non ha nulla, né un posto dove dormire né dove mangiare, il fatto di non inserirlo in un percorso di accoglienza significa condannarlo a vivere per strada, tutto questo in aperta violazione delle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, ed agli stessi obblighi di legge”, ha fatto sapere l’Ambasciata in una nota. “Tra i ragazzi lasciati per strada vi sono anche dei casi di estrema vulnerabilità che li espongono a notevoli rischi. Per tutte queste ragioni la Questura deve far formalizzare nel più breve tempo possibile le richieste di protezione e la Prefettura deve trovare una soluzione immediata per tutti coloro che si sono fatti identificare come richiedenti asilo e vivono per strada. Vista la situazione emergenziale invitiamo chi di dovere a porre in essere fin da subito un centro o più centri di accoglienza degni”, conclude il documento.
Ancona è uno dei confini italiani meno raccontati. “Non abbiamo dati recenti, negli ultimi mesi non abbiamo ricevuto segnalazioni”, racconta Giuliodori. “Di solito riceviamo chiamate dai traghetti, prevalentemente in arrivo dalla Grecia. Al valico di frontiera opera un’altra associazione, ma non ha più personale all’interno della struttura del porto. Avevano uno sportello, prima, in appalto dalla Prefettura, ora vengono chiamati i mediatori se serve mentre noi aspettiamo fuori dal porto se c’è bisogno. L’osservatorio sul porto è nato nel 2009, lavoriamo sui dati costantemente, e ancora oggi arrivano soprattutto persone che – respinte più volte lungo la Rotta Balcanica – tornano in Grecia e scelgono la via del traghetto per l’Italia. I numeri sono molto diversi dal passato, con una forte presenza di minori non accompagnati in passato, quando erano ancora in piedi i campi di Patrasso e Igoumenitsa. Ora che la rotta, come sempre, è cambiata, sono meno, ma restano tanti, e in particolare afgani, pakistani, bengalesi e nuclei familiari con bimbi piccoli, siriani”.
Da tempo non si registrano, per fortuna, casi di persone morte nel tentativo di entrare in Italia, magari nascoste sotto un camion. Un giovane afgano è morto così, la notte di Natale del 2018, era successo ancora a giugno dello stesso anno. “Il maggior numero di morti è stato nel periodo 2011 – 2012, però resta la frontiera, e basta fermarsi a una stazione di benzina vicina alla Statale dopo il porto per sentirsi raccontare che un ragazzo è sbucato da un camion che faceva rifornimento e che gli è stato dato da bere”, racconta Giuliodori.
In copertina: il porto di Ancona visto dall’alto. Foto via Wikimedia Commons.