‘La pandemia di Rosarno’: questo il titolo del rapporto presentato la scorsa settimana da MEDU – Medici per i diritti umani – circa le condizioni di vita e lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria, in particolare nel territorio compreso tra i comuni di Rosarno, San Ferdinando, Drosi e Taurianova.
Un’analisi che è ormai alla sua settimana edizione: e già questo dovrebbe far riflettere circa la persistenza di criticità che continuano a rendere necessario il lavoro di Medu. È infatti dal 2014 che l’organizzazione è impegnata nella zona con una clinica mobile, che quest’anno ha raggiunto oltre duemila lavoratori nel periodo compreso tra novembre 2019 e maggio 2020.
Quest’anno, alle attività di prima assistenza sanitaria, orientamento all’accesso ai diritti fondamentali e supporto socio-legale, si è affiancato un intervento specifico legato al Covid-19, di informazione, prevenzione e sorveglianza attiva: un lavoro necessario “dal momento che gli insediamenti precari non sono stati raggiunti da nessuna iniziativa istituzionale di sistema per la prevenzione e il contenimento del virus”. Un’assenza grave, purtroppo in continuità con gli anni precedenti: la situazione presente nella Piana non è mai stata presa in carico dalle istituzioni, e questo non è cambiato nemmeno in concomitanza con la pandemia, che ha avuto un impatto peggiorativo sulle condizioni già molto gravi dei lavoratori.
I braccianti della Piana
“Emarginazione, promiscuità abitativa, carenza di servizi igienici, corrente, acqua potabile e riscaldamento, condizioni lavorative disumane, alimentazione scorretta o insufficiente”: questo è quanto rilevato da Medu, in una denuncia che si ripete di anno in anno.
Una situazione che grava su una popolazione composta in prevalenza da trentenni, maschi, provenienti dall’Africa subsahariana occidentale, in particolare Mali (49%), Senegal (12%), Ghana (9%), Gambia (9%). Il 63% di loro è in Italia da più di 4 anni, mentre una percentuale minore, ma molto significativa (12%), va oltre i dieci anni di residenza.
Riguardo la condizione giuridica, va evidenziato che solo il 10% delle persone che hanno fornito informazioni in merito si trova in stato di irregolarità, contro il 90% in possesso di titolo di soggiorno, per la maggior parte per richiesta asilo (28%) o protezione (13% protezione sussidiaria, 1% status di rifugiato, 14% protezione umanitaria, 10% casi speciali, 2% protezione speciale). Solo il 7% dei braccianti assistiti da Medu è in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il dato relativo alle persone che si trovano in fase di rinnovo o conversione della protezione umanitaria è del 25%: una percentuale che si lega all’eliminazione, conseguenza del primo decreto sicurezza, del titolo di soggiorno più diffuso tra i braccianti. Se l’abolizione della protezione umanitaria non ha ancora avuto come effetto un aumento delle persone in stato di irregolarità, occorre monitorare i tempi a venire: come sottolinea Medu, chi ha presentato richiesta di rinnovo o conversione della protezione umanitaria sta ancora attendendo l’esito della domanda, oppure ha già ricevuto un diniego, ricadendo così nel circuito della richiesta di asilo, “con possibilità molto residuali di un esito positivo”.
Alla domanda circa la propria condizione lavorativa, sono poche le persone che hanno risposto, evidenza forse dell’irregolarità della stessa. La percentuale dei braccianti con contratto è in aumento – erano il 17% nel 2014/2015, il 28% nel 2018, il 60% nel 2019, e il 66% quest’anno (con riferimento alle persone che hanno risposto in merito): ma solo il 10% dei contrattualizzati assistiti quest’anno da Medu riceve busta paga. Inoltre, di questo 10% la maggior parte si vede riconosciuti i contributi per sole 2/5 giornate al mese: un numero falsato e drasticamente inferiore alla realtà. Il 34% dei lavoratori non ha contratto.
Quello che si evince è l’ampia diffusione di ciò che viene definito ‘lavoro grigio’: una condizione che non consente ai lavoratori di accedere alla disoccupazione agricola, né di rinnovare o convertire il permesso di soggiorno. Di fatto, una realtà che costringe i lavoratori in un continuo stato di vulnerabilità.
È in questo terreno che non cessa di essere presente e capillare il sistema del caporalato, nonostante la legge contro tale fenomeno entrata in vigore tre anni fa e le misure adottate, tra cui l’aumento dei controlli dell’Ispettorato del lavoro o l’installazione di un’ulteriore tendopoli – provvedimento che, va sottolineato, è arrivato dopo lo sgombero del 6 marzo 2019, voluto dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, dell’insediamento di baracche nell’area industriale del comune di San Ferdinando, dove vivevano oltre 2mila persone. La tendopoli governativa creata in seguito si è caratterizzata per un numero di posti – peraltro riservati ai soli titolari di permesso di soggiorno – nettamente inferiore rispetto alle presenze sul territorio, cosa che ha causato la dispersione di centinaia di braccianti in insediamenti ancora più precari, e dunque il peggioramento delle condizioni di vita e lavoro.
L’emarginazione, la vulnerabilità, la precarietà abitativa descritta da Medu si riflettono sulla salute dei lavoratori. Il quadro tracciato evidenzia una preoccupante continuità con le patologie riscontrate nelle stagioni precedenti: il 22% delle persone assistite presenta patologie dell’apparato respiratorio, il 19% all’apparato osteo-articolare, il 15% problemi ascrivibili all’apparato digerente e il 9% malattie della cute.
Coronavirus: un’emergenza nell’emergenza
“L’arrivo della pandemia, che è stato un evento sanitario e sociale drammatico, avrebbe d’altra parte potuto rappresentare un’occasione di forte discontinuità per affrontare in modo nuovo e deciso la drammatica situazione dei braccianti della Piana di Gioia Tauro”: sono queste le parole con cui gli operatori di Medu denunciando invece come “la percezione dell’abbandono da parte delle istituzioni sia stato un tema molto ricorrente”.
Durante l’emergenza sanitaria le istituzioni hanno mantenuto la postura di sempre rispetto al tema dei braccianti della Piana di Gioia Tauro, caratterizzata da grave immobilismo e totale deresponsabilizzazione, dal livello locale a quello nazionale.
Sul piano comunale, parte della popolazione bracciantile, formalmente non residente nell’area, è stata esclusa dalla distribuzione di dispositivi di protezione. Il servizio sanitario regionale non ha svolto alcun intervento sul territorio, cosa che ha alimentato una pericolosa disinformazione, oltre a evidenziare l’assenza di un approccio a tutela della salute pubblica e collettiva. La scelta operata dalle istituzioni locali è stata quella di demandare tutto alle organizzazioni umanitarie.
A ciò si è associato l’obbligo di quarantena, in spazi come si è visto ridotti, caratterizzati da promiscuità e dalle forti criticità già evidenziate: una situazione che ha causato l’aumento del disagio psico-fisico.
Infine, le limitazioni alla mobilità hanno di fatto impedito ai braccianti di lavorare e quindi di avere un reddito, nonostante l’agricoltura fosse indicata dai decreti tra i settori produttivi ritenuti essenziali. Secondo la denuncia di Medu, diversi braccianti hanno ricevuto sanzioni amministrative mentre raggiungevano i luoghi di lavoro, e a molti le forze dell’ordine hanno chiesto di esibire il contratto di lavoro oltre all’autocertificazione, mettendo in atto vere e proprie prassi illegittime.
Il sostegno che non c’è e la regolarizzazione mancata
Alla perdita di reddito non si è affiancato un supporto istituzionale: proprio a causa del lavoro grigio diffuso, i lavoratori non possedevano infatti uno dei requisiti necessari per ricevere l’indennità Covid-19, ossia poter dimostrare almeno cinquanta giornate di lavoro nel 2019. Anche la misura di regolarizzazione prevista dal DL Rilancio non è andata nella direzione di tutela della salute e di contrasto al lavoro nero: a causa delle limitazioni e delle caratteristiche del provvedimento – criticità segnalate più volte da diverse associazioni, ma che il governo ha scelto di non prendere in considerazione – sono moltissime le persone escluse da questa possibilità di regolarizzazione.
Di fronte alla persistente situazione di sfruttamento dei braccianti della Piana di Gioia Tauro, e all’ennesima evidenza della mancanza di volontà politica nel cambiarla, Medu, insieme ad altre associazioni, ha elaborato alcune proposte concrete incentrate sui nodi maggiormente problematici osservati nell’area. Tra queste, si sollecita in particolare un approccio politico e amministrativo che favorisca l’inserimento abitativo nei centri urbani; l’introduzione di norme nuove e più stringenti per regolare il settore della Grande Distribuzione Organizzata e favorire la sostenibilità sociale; la sospensione dei dinieghi della protezione internazionale applicati durante l’emergenza coronavirus; l’estensione della possibilità di presentare domanda di regolarizzazione a tutti, con il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro a chi può dimostrare la sussistenza di un contratto regolare in corso, o di un permesso di soggiorno temporaneo per attesa occupazione convertibile.
Dal punto di vista sanitario, Medu indica come urgenti l’implementazione di attività informative sul diritto alla salute e le procedure di iscrizione al SSN, così come la ristrutturazione o messa in funzione di strutture specifiche, come poli odontoiatrici per indigenti e ambulatori per la presa in carico dei pazienti con disagio psichico.
Sul lavoro, si evidenzia la necessità di azioni strutturate che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta, con il potenziamento dei centri per l’impiego e delle attività di informazione sui diritti sul lavoro, oltre a un’intensificazione dei controlli dell’Ispettorato del Lavoro.
Ad oggi, le proposte avanzate non hanno trovato alcun riscontro istituzionale.
Foto di copertina via Medu – Medici per i diritti umani