Blessing Matthew arrivava dalla Nigeria, una giovane donna di 21 anni, migrante tra i migranti. Blessing è morta nel tentativo di attraversare il confine italo-francese, nell’alta Val Susa, nella notte tra il 6 e il 7 maggio 2018. Due giorni dopo, il corpo di Blessing viene ritrovato nel fiume Durance, all’altezza della diga di Prelles, un piccolo villaggio nel Comune di Saint-Martin-de-Queyrières, una decina di chilometri a valle di Briançon. A febbraio 2021, la procura francese ha archiviato il caso non rilevando nessun luogo a procedere contro nessuno. Ma un gruppo di persone non si è dato per vinto.
Con le loro indagini, hanno ricostruito cosa è accaduto quella notte che ha lasciato un segno profondo nell’immaginario della valle, colpita dalla morte assurda di una ragazza di vent’anni.
Blessing era partita dal rifugio autogestito di Clavière (oggi sgomberato dalla polizia italiana). Con almeno 20 persone ha tentato la traversata. In gruppo, in piena notte, per evitare i controlli della polizia, si muove in direzione di Briançon. Blessing cammina lentamente, ha male alla gamba, con lei restano solo due persone. Verso le 5 del mattino i tre arrivano all’ingresso di La Vachette, piccolo paese già oltre il confine, e vengono avvistati da alcuni agenti della squadra mobile di Drancy (che controllava la frontiera in collaborazione con la Paf, polizia di frontiera francese). Da questo momento in avanti, le dichiarazioni dei poliziotti e quella di Hervé divergono significativamente: lo ricostruisce proprio Il team di Border Forensics che ha portato sul luogo il testimone chiave.
Il 2 febbraio scorso, all’UrbanLab di Torino, è stata presentata la contro-inchiesta sulla morte di Blessing realizzata da Border Forensic . Una delle autrici del grande lavoro di indagine svolto sui fatti del 2018 è la geografa Cristina Del Biaggio, docente all’Université Grenoble Alpes e presso il laboratorio di ricerca Pacte.
“Conoscevo già i due fondatori di Border Forensic, anche perché faccio parte di un’associazione che si chiama Migreurop dove ho potuto conoscere Charles Heller, il co-fondatore dell’agenzia di investigazione creata nel 2020, e ho sempre ammirato il loro lavoro sul Mediterraneo. Loro volevano allargare il campo di indagine della loro metodologia, ad altri confini, anche le Alpi. Io lavoro a Grenoble dal 2017 e, quando hanno archiviato il caso di Blessing nel febbraio 2021, è stato naturale per me occuparmi del caso, avendo già lavorato sulla questione delle frontiere e delle migrazioni e sul “passaggio alpino” alla frontiera tra Val Susa e Briançon, Ero già in contatto con Michel Rousseau, co-fondatore dell’associazione Tous Migrants di Briançon, e sapendo che già pensavano di continuare la lotta nella ricerca della verità ho fatto da tramite fra Tous Migrants, che aveva bisogno di fornire nuove prove e nuovi modi per presentarle, e Border Forensics, che era appena nata”.
Il lavoro di Border Forensic applica e adatta la metodologia sviluppata del centro Forensic Architecture, nato all’Università Goldsmiths di Londra attorno alle analisi dell’architetto israeliano Eyal Weizman sulla violenza strutturale nella regione israelo-palestinese. Egli ha intuito come, per capire quel conflitto, si dovesse analizzare non solo la violenza fisica ma anche architettonica e infrastrutturale. Due ricercatori che hanno lavorato con lui sulle violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo per una decina di anni, Charles Heller e Lorenzo Pezzani, hanno poi dato vita a Border Forensics. La prima inchiesta svolta da Border Forensics è stata fatta proprio sul caso di Blessing, ma hanno anche continuato a lavorare sul Mediterreno pubblicando un’inchiesta sulla complicità fra l’agenzia europea Frontex e la guardia costiera libica. Prossimamente verrà pubblicato un rapporto sul deserto del Sahara, sempre legato alle violazioni dei diritti umani delle persone migranti.
“La giustizia francese, sul caso di Blessing, non ha mai aperto un’inchiesta vera e propria ed è questo il nodo della questione. Ha svolto indagini preliminari, ha ascoltato le testimonianze dei dodici gendarmi coinvolti nella vicenda, che sono militari e dipendono dal ministero della Difesa, dopo l’identificazione del corpo. Nessuno di loro ha mai ammesso di aver incontrato Blessing, hanno rilasciato dichiarazioni molto contraddittorie, nessuno ha fornito una versione logica e coerente dei movimenti di quel giorno”, racconta Del Biaggio. “La polizia giudiziaria, che ha condotto le audizioni, ha elaborato un rapporto per il Procuratore che avrebbe dovuto valutare se ci fossero gli estremi per aprire un’inchiesta.
Questa sintesi ha negato qualsiasi criticità nelle dichiarazioni dei gendarmi e la Procura di Gap e per finire quella di Grenoble nel febbraio 2021 ha archiviato per non luogo a procedere. L’associazione Tous Migrants, di Briançon, non si arresta e in collaborazione con una delle sorelle di Blessing, Christiana Obie, ha chiesto l’accesso agli atti costituendosi parte civile. Questa è stata una svolta, perché solo con un parente è possibile farlo e servirà anche in futuro come metodo di lavoro per far chiarezza su altri episodi di persone morte attraversando i confini. Tous Migrants ha lavorato dal 2018 al 2021, facendo un’analisi molto dettagliata del dossier penale. A quel punto ci siamo aggiunti al team e abbiamo ripreso gli elementi messi in evidenza da Tous Migrants, apportando le nostre competenze di ricercatori e ricercatrici.
All’inizio, non sapevamo come procedere, perché sia Forensic Architecture che Border Forensic, tradizionalmente, partono da un’analisi di tracce materiali, spesso immagini, satellitari o di archivio. Come dice Weizman nel suo libro-manifesto, ‘fino ad ora lo Stato ha rivendicato il doppio monopolio della violenza letale e della sua identificazione; l’approccio dell’architettura forense rovescia/ribalta la metodologia e gli strumenti dello Stato contro le violenze che lui stesso commette’. Le contro-inchieste svolte da Border Forensics cercano di mettere davanti alle loro responsabilità le autorità. Nel nostro caso però, dove son successi i fatti, non c’era nulla, neanche videocamere di sorveglianza e comunque a 3 anni dai fatti le immagini sarebbero ormai distrutte. Tous Migrants aveva le dichiarazioni dei gendarmi, da cui potevamo partire per decostruire la sintesi che ne era stata fatta nell’inchiesta giudiziaria e che sosteneva che queste dichiarazioni erano coerenti e che dimostravano come non avessero messo in pericolo la vita di Blessing”, racconta la geografa, ma questa mancanza di elementi tradizionali di indagine non ha fermato il gruppo di ricercatori.
“Abbiamo verificato queste dichiarazioni, in due fasi: prima cercando di ricostruire la cronologia dei fatti secondo la versione dei gendarmi, e poi andando sul posto per cartografare la zona e verificare la plausibilità di quanto dichiarato rispetto alla topografia e le condizioni di luce. E abbiamo constatato come le versioni dei gendarmi non concordano su nulla, a partire dalle condizioni di luminosità descritte. O dal fatto che il capo missione dichiara di essere arrivato a piedi in un punto chiave della vicenda, mentre i suoi colleghi dicono di esserci arrivati in auto. Non sappiamo perché ci siano queste contraddizioni, non abbiamo interrogato i protagonisti, ma ci sono e sono lampanti – spiega Del Biaggio – quindi il presupposto sul quale è stata archiviata l’inchiesta è sbagliato. Questo doveva portare a riaprire il caso, partendo proprio dagli elementi che abbiamo messo in evidenza e consegnato alla giustizia.
L’altro elemento che ha generato il nostro lavoro è quello di cercare i due testimoni oculari dei fatti. Quel giorno Blessing, dopo le separazioni dal gruppo originario, resta con due persone. Uno fino alla fine, mentre l’altro al ponte de La Vachette scappa e si nasconde. Erano stati chiamati i giorni successivi alla tragedia da Tous Migrants e dalla polizia, ma si erano perse le loro tracce. Noi li abbiamo rintracciati entrambi, uno non ha voluto collaborare, mentre Hervé, rimasto fino all’ultimo con Blessing, ha deciso di confidarci la sua versione dei fatti. Si trova in una situazione difficile in Francia, dopo un primo respingimento in Italia, ma ha parlato e abbiamo per la prima volta la sua versione, perché alla polizia che l’aveva contattato alcuni giorni dopo la scoperta del cadavere di Blessing non ha voluto parlare. Negli atti c’è una sua dichiarazione, ma lui nega di averla mai rilasciata. La versione che ci ha raccontato è perfettamente coerente e logica, e conforme alla topografia dei luoghi, come abbiamo potuto verificare portandolo sul posto, filmando, cartografando e ricostruendo in 3D la sua testimonianza.
Lui racconta che sono stati inseguiti con una macchina, quindi non a piedi come dice il capo plotone, e c’è stato un contatto fisico tra un gendarme e Blessing, che lui ha visto con i suoi occhi, dopo essersi nascosto in un boschetto, proprio sulla riva del fiume dove la ragazza è annegata. Come minimo, stando a questi elementi, ci sarebbe stata omissione di soccorso. Abbiamo capito finalmente dove è caduta, mentre nel dossier penale si evinceva che fosse sulla sponda sinistra del fiume, perché era lì che erano stati trovati una giacca, una borsetta e il foulard che sembra corrispondere esattamente a quello indossato da Blessing quella notte, e ritrovato a monte rispetto al punto di caduta. Per noi, non è mai passata da là. Questo punto è inquietante. Almeno come il lavoro che abbiamo fatto sul contesto di quel maggio 2018, un momento di grande tensione, con la visita al confine di Generazione Identitaria, movimento di estrema destra contro i migranti, con arresti alla contro-manifestazione organizzata due giorni dopo la manifestazione del gruppo di estrema destra e la decisione del ministro degli interni di portare rinforzi di gendarmeria nella zona. Questo ci ha permesso di ricostruire il ‘momento’, che era fatto di violenze e tensioni, molti inseguimenti, documentati. Adesso non è così, ma è importante ricostruire il quadro e la struttura della violenza per far capire che il caso di Blessing non è né una coincidenza né un caso isolato”.
Un lavoro enorme che ha fornito tutti gli elementi per l’apertura, finalmente, di un’inchiesta. Ma non è andata così. “Border Forensics lavora su tre aspetti: chiedere giustizia, ricostruire la verità, offrire una contro-narrazione a quella ufficiale”, spiega Del Biaggio. “A maggio 2022 abbiamo presentato il nostro lavoro, frutto della collaborazione di ricercatori in scienze sociali e tecnici, tra cui cartografi”, spiega la ricercatrice.
“Il Tribunale di Grenoble ha ricevuto tutto, ma ha impiegato solo dieci giorni a rispondere che ribadiva la posizione del febbraio 2021. A quel punto, abbiamo presentato ricorso alla Corte europea dei Diritti Umani, tramite l’avvocato Vincent Brengarth”. Il ricorso parte dall’aver dimostrato come nel caso di Blessing sia mancata un’indagine efficace e indipendente, come si sia ignorata la testimonianza di Hervé per confutare la posizione della Procura della Repubblica che rifiuta di riaprire l’indagine giudiziaria nonostante gli elementi prodotti e con una motivazione sommaria. Adesso la Francia dovrà rispondere alle domande della Corte, che ha ammesso le ragioni dei ricorrenti. Non si sa quanto ci vorrà, né come andrà a finire, ma Blessing ha ancora la possibilità di avere giustizia grazie al lavoro di queste persone.
“È la prima volta che in Francia un caso come questo viene affrontato dal punto di vista penale”, spiega Del Biaggio, “e Tous Migrants si sta impegnando sempre più nel denunciare il sistema della frontiera che, tra Italia e Francia, dal 2015, secondo le nostre ricostruzioni, è costato la vita ad almeno cento persone”. Che meritano giustizia mentre spesso non vengono neanche identificate.
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