La fila per l’ingresso in Serbia, all’aeroporto Nikola Tesla di Belgrado, è molto breve. A incolonnarsi sono quasi tutti cittadini tunisini, in arrivo con il volo diretto da Bucarest. Sul volo, solo un paio di persone non tunisine, per il resto decine di uomini, giovani, soli. “Motivo del viaggio?”. “Turismo”. “Quanti contanti ha con lei? In che valuta?”. Seguono frasi sussurrate, mazzette di banconote mostrate e rimesse in tasca in un baleno. “Prego, avanti il prossimo”, mentre il suono di un timbro liberatorio sul passaporto si diffonde nello stanzone silenzioso.
Questo accadeva a metà ottobre 2022 e potrebbe essere stato uno degli ultimi gruppi di tunisini entrati in Serbia. Perché poco più di un mese dopo, anche la Serbia chiede un visto d’ingresso alle persone di nazionalità tunisina, e poco prima alcuni tra loro avevano candidamente ammesso di aver colto al volo l’occasione – perché in Radio Migrante le informazioni girano veloci – per ‘tagliare’ la Balkan Route, risparmiando così settimane, mesi, anni. Anche se si trovavano in Romania, e non in Tunisia.
Perché tutto questo? Le relazioni speciali tra Tunisia e Serbia sono antiche e profumano di ‘paesi non allineati’ e movimenti post-coloniali. Nel 1965, infatti, i due paesi (uno dei quali all’epoca era la Jugoslavia del maresciallo Tito) avevano siglato un accordo che cancellava i visti tra i due paesi.
Per molto tempo, tanti tunisini hanno provato questa scorciatoia sul lungo cammino della Balkan Route, ma dal 20 novembre 2022 non sarà più possibile. Proprio nell’autunno scorso, all’ennesima tavola rotonda dell’Unione europea, Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea per gli affari interni, aveva duramente attaccato la Serbia – che ha lo status di paese candidato all’adesione e che gode di un regime senza visti per viaggiare nello spazio Shengen dal 2009– di revocare questa libertà di movimento se Belgrado non avesse fatto di più per bloccare gli “arrivi irregolari, e le domande di asilo, negli Stati membri dell’UE da parte di cittadini di India, Tunisia, Burundi e Cuba” che passavano dalla Serbia – ne avevamo parlato anche qui. Belgrado ha obbedito subito, anche perché sempre a ottobre scorso, anche Ylva Johansson, commissario europeo per gli affari interni, aveva annunciato che i cittadini serbi avrebbero potuto perdere i propri privilegi di viaggi senza visto nell’area Schengen se il paese non avesse cambiato la sua politica sui visti, chiudendo una delle poche porte che era rimasta aperta per un viaggio legale e sicuro.
Di quante persone parliamo? Secondo un’ottima inchiesta del consorzio di giornalismo investigativo tunisino Inkyfada “il numero di cittadini tunisini che entrano irregolarmente nell’UE e chiedono asilo è relativamente basso, anche se è aumentato negli ultimi anni: nei primi otto mesi di quest’anno, 87.000 attraversamenti illegali delle frontiere attraverso la rotta dei Balcani occidentali, di cui la Serbia è una parte, sono stati rilevati dall’Agenzia Frontex – tra cui 5777 cittadini tunisini. Questi numeri si confrontano con circa 62.000 attraversamenti irregolari delle frontiere nel 2021, tra cui 842 cittadini tunisini”.
Secondo Eurostat, nei primi otto mesi del 2022 sono state circa 830.000 le persone che hanno chiesto protezione internazionale nell’UE, tra cui 11.825 cittadini tunisini.
Neanche una parola, invece, sulla pratica assurda per la quale possono chiedere protezione internazionale in Serbia solo i cittadini di quegli stati che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, palese violazione degli standard internazionali, sempre pronti però a essere piegati alla politica di fermare i migranti. E a volte da questa ferrea volontà, viene piegata anche la realtà.
Non c’è un cantiere a Belgrado, un taxi, un supermercato dove non lavorino persone di una certa età. A tratti è impressionante: sembra di guardare un film distopico, dove la popolazione è invecchiata di colpo. Perché? Perché tutti i serbi che possono, emigrano.
Secondo i risultati preliminari dell’ultimo censimento della popolazione serba, con dati diffusi a dicembre 2022, la Serbia ha 6.690.887 abitanti, il 6,9% in meno rispetto al censimento del 2011.
I risultati finali del censimento saranno pubblicati a partire da aprile 2023, ma la situazione è drammatica, in Serbia come in tutta la regione dei Balcani Occidentali.
Stesso discorso, di invecchiamento generale della popolazione, che riguarda l’UE tutta. Nel secondo trimestre del 2022, ad esempio, il 3% dei posti di lavoro nell’UE era vacante secondo Eurostat. E guardando all’invecchiamento della popolazione in Europa, la necessità di lavoratori provenienti da altri paesi aumenterà ancora di più nei prossimi anni. Pertanto è anche nell’interesse dell’UE aumentare la mobilità legale.
Però le politiche UE restano le stesse: chiudere i confini, rendere sempre più pericolosi e costosi i viaggi illegali, che arricchiscono i trafficanti di esseri umani, pagare regimi illiberali per fermare i flussi.
In Serbia l’idea che per colpa dei migranti si perderanno i privilegi ottenuti, come appunto non aver bisogno di visti per viaggiare, è stata molto cavalcata dai media vicini al presidente Vucic e all’estrema destra. E non si sono fatti attendere i risultati. Infatti l’organizzazione Border violence monitoring network ha documentato in un nuovo report gli attacchi contro migranti e richiedenti asilo nel Paese. Non solo per mano di gruppi di estrema destra, ma anche da parte delle autorità e della polizia. Fin dentro l’aeroporto Nikola Tesla di Belgrado. Colpiti anche gli operatori di Ong e di organizzazioni solidali. Così come, per ribadire come le pressioni UE sui paesi che configurano la sua frontiera esterna generino violenza e senso di impunità da parte delle autorità, si sono incrementate fortemente le violazioni di diritti, in particolare dei minori non accompagnati. Il report di Save The Children – basato su una ricerca condotta in Bosnia-Erzegovina e in Serbia – sulla condizione dei minori lungo la Balkan Route, parla di “risultati sorprendenti perché dimostrano che la violenza nella vita di questi bambini è così presente da essere diventata normalizzata. I bambini sono esposti a tutti i tipi di violenza, in ogni momento: nei Paesi di origine, durante il viaggio, nei Paesi di transito. Un’esperienza migratoria che include un’esposizione multipla e prolungata alla violenza può avere effetti nocivi incomprensibili sullo sviluppo dei bambini. Ciò potrebbe compromettere la loro capacità di conoscere i Paesi di destinazione e di integrarsi efficacemente, nonché la loro capacità di contribuire alla vita culturale, sociale e politica dei Paesi di destinazione.”
Anche su questo, dall’UE, neanche una parola. Intanto, nei giardinetti attorno alla vecchia stazione ferroviaria di Belgrado e alla stazione dei bus internazionali, ci sono sempre dei gruppi di afgani. “Veniamo dalla Bulgaria”, dicono tutti, dopo aver vinto la tensione delle domande, che mettono sempre in soggezione i più deboli. Ragazzi, quasi tutti di etnia hazara, molto giovani. Il viaggio non si ferma e non si fermerà mai, dovrà sempre e solo inventarsi una nuova rotta.
In copertina: campo informale di rifugiati a Belgrado (foto: Frode Bjorshol, su licenza CC BY 2.0)