Quando si parla di diritto alla salute si tende a identificare quest’ultimo unicamente con l’accessibilità e la fornitura di servizi sanitari. Il diritto alla salute è stato a lungo considerato come la possibilità di poter accedere a un sistema efficace di assistenza medica. Basterebbe però concentrarci sulla relatività e sulla mutevolezza del concetto di salute per arrenderci al fatto che la salute non può in alcun modo prescindere dalla considerazione di tutte quelle determinanti che ne garantiscano la sua integrità ben prima che compaiano quelli che comunemente vengono identificati come fattori tradizionali di rischio.
Detto in altre parole, il diritto alla salute dovrebbe porre le condizioni necessarie affinché la salute possa essere preventivamente tutelata. Barriere linguistiche, e più genericamente di tipo sociale, però, impediscono nei fatti l’accesso a una corretta informazione minando gravemente prevenzione e accessibilità, trasformando il diritto alla salute in una vera e propria odissea.
È il caso di M., una donna nigeriana che vive da diversi anni in un’occupazione abitativa insieme alla madre (che soggiornava in Italia temporaneamente) e ai suoi figli. Al termine del soggiorno la madre di M. sarebbe dovuta ripartire per la Nigeria ma si trova costretta a rimandare la partenza a causa di un malessere improvviso. Entrambe quindi, inizialmente in possesso del relativo permesso di soggiorno, devono richiedere il suo rinnovo per poter continuare a soggiornare in Italia e poter accedere regolarmente alle cure per la madre.
Secondo quanto previsto da una circolare del ministero il permesso di soggiorno può essere richiesto anche senza essere in possesso di una residenza dimostrabile. Nonostante ciò alla Questura di Roma a entrambe è stato vietato il rinnovo perché non in possesso di una residenza certificabile né dell’iscrizione anagrafica. La residenza sinora indicata risultava infatti essere “fittizia”, questo requisito da solo sembra non risultare sufficiente per richiedere il rinnovo del permesso.
Un incontro di famiglia si è trasformato così per le due donne in un incubo burocratico con poche via d’uscita. Senza infatti la residenza non ci si può iscrivere all’anagrafe e rinnovare il permesso di soggiorno; senza il permesso di soggiorno si può accedere all’assistenza medica unicamente tramite la tessera STP (straniero temporaneamente presente) che garantisce prestazioni sanitarie solo in caso di “patologie gravi” e situazioni di elevata criticità. Senza essere in possesso di nessuna di queste prerogative risulta pressoché impossibile poter accedere a qualsiasi forma di tutela sociale, in primis la sanità. A peggiorare questa cornice è l’art.5 del decreto Renzi-Lupi del 2014 che stabilisce che chiunque abiti uno spazio occupato non può chiedere l’allaccio delle utenze, né richiedere la residenza.
La storia di M. e sua madre non è un caso isolato.
Un rapporto dell’OMS del 2022 dimostra come esista un profondo divario rispetto all’accessibilità delle informazioni tra cittadini e non. Questo rapporto evidenziava anche come migranti e rifugiati vengano spesso sistematicamente esclusi dalle indagini globali, determinando così un quadro che non contempla parte della popolazione residente sul territorio preso in esame. Tornando alle tematiche di questo articolo, secondo il rapporto, si riscontra anche una profonda disparità rispetto alla salute dei migranti se comparata a quella della popolazione del paese ospitante.
Sono migliaia le donne e gli uomini stranieri che come M. e sua madre, oggi vivono spazi occupati nel comune di Roma; tutte queste persone, nell’impossibilità di accedere al mercato immobiliare, vivono in spazi “invisibili”, i luoghi dell’anonimato giuridico; palazzi privati abbandonati da anni nonostante la grave crisi abitativa che colpisce la città e resi abitabili da milioni di famiglie, che come M. si trovano nell’impossibilità di regolarizzare la loro presenza; vittime di un sistema burocratico che scoraggia ogni volontà di risoluzione, queste persone risultano “irregolari”, sebbene la loro condizione di illegalità sia stata generata dal sistema che dovrebbe garantire la loro protezione.
Le profonde disuguaglianze in termini di accesso alle cure sono il risultato di specifiche politiche che vincolano il diritto alla salute all’obbligo di dimostrare una regolare residenza certificabile. “Cittadinanzattiva” ha lavorato a un’inchiesta svelando l’inadeguatezza di un sistema che viola il diritto di accesso alle cure. Cittadinanzattiva a questo proposito ha affermato come esista «una situazione di profonda disuguaglianza nell’accesso alle cure per i cittadini del nostro Paese: soltanto 11 Regioni adempienti, e di queste appena 8 in tutte e tre le aree dell’assistenza sanitaria, ossia la prevenzione, l’assistenza distrettuale o territoriale e quella ospedaliera».
Il quadro di questa situazione rappresenta l’esempio concreto di come la condizione di “illegalità” in cui si è costretti, è colma di quel potenziale di rischio capace di minacciare l’integrità della propria salute. Nonostante infatti la legge preveda la concessione della tessera STP cui si è fatto riferimento, le determinanti e i fattori di rischio del decorrere della malattia, non vengono in alcun modo contemplati. L’impossibilità di accedere all’allaccio della corrente, l’inadeguatezza di lavori a nero che non garantiscono tutele, barrire linguistiche, sociali e legali per l’accesso a una conoscenza di base che tuteli la prevenzione, sono tutti fattori che mettono a rischio chi non può beneficiare di uno status di legalità a causa dell’impossibilità di far validare la propria residenza.
In breve, i rischi nel poter incorrere in uno stato di malattia non sono “equamente distribuiti” ma colpiscono unicamente certe fasce della società. Sono tendenzialmente stranieri o senza fissa dimora, milioni di persone la cui invisibilità politica viene convertita nella negazione del diritto alla salute.
Foto di copertina: alcune case di Metropoliz. Sullo sfondo, murales di Canemorto e Emajons. Foto di Maurizio Franco.