Tanya (nome di fantasia) è rimasta a dormire da Natalia. Sembrano amiche da una vita e invece si sono conosciute da poche ore: la sua auto l’ha costretta a fermarsi a Dnipro un giorno in più, perché la spia del liquido di raffreddamento le ha messo una certa preoccupazione addosso. Rischiare di restare in panne, se si percorre mezza Ucraina in questo momento, non è quello che ci si augura. Così ha deciso di fare un controllo prima di rimettersi in viaggio. Un suo caro amico che fino all’anno scorso viveva a Kyiv e che ora si è stabilito qui, rilevando una fonderia riconvertita con la guerra alla produzione di placche per i giubbotti antiproiettile, le ha trovato un meccanico che può aiutarla.
“Mentre lui fa la revisione tu puoi restare a casa di sua sorella per la notte, e per spostarci useremo la mia macchina – l’ha rassicurata – in fondo si tratta solo di cambiare la tabella di marcia.”
Così Tanya, partita dalla capitale due giorni fa, ha trasferito a bordo di un’altra auto gli aiuti che sta portando al fronte di Kharkiv, e ha deciso di fare una tappa a Zaporizhia, dove un medico chirurgo che lavora in ospedale vuole vederla per parlare delle forniture di farmaci e di materiale di primo soccorso che continuano a scarseggiare.
A ogni persona che incontra, chiede di cosa abbia bisogno, e poi prova a fare del suo meglio per aiutare. È così dall’inizio della guerra: quando si doveva scegliere se restare o andare via, lei non ha avuto dubbi.
“Da quanto ho avuto modo di vedere ci sono state tre modalità di reazione alla guerra – racconta – chi non è riuscito a gestire la paura, perché magari aveva figli piccoli o comunque non riusciva a reggere uno stato di totale incertezza, è partito immediatamente; poi ci sono quelli che non riescono a realizzare davvero il pericolo in cui ci troviamo finché non è troppo tardi, e fino ad allora lo negano, lo mettono da parte e cercano di restare ancorati alle piccole certezze della quotidianità che sta andando in fumo. E così li vedi passeggiare in piazza, sorseggiare un caffè con le sirene antiaeree in sottofondo, apparentemente incuranti di quello che accade. Alla fine se ne vanno anche loro, ma la tragedia deve sfiorarli per fargli prendere una decisione del genere. Poi ci sono quelli che non se ne andranno mai, a costo della vita. E io sono una di loro.”
Tanya è una psicologa e quando la guerra è cominciata ha deciso di mandare i suoi tre figli a vivere all’estero dal padre, e di restare per mettersi a disposizione degli altri.
“Sono una persona razionale che riesce a mantenere la calma anche in situazioni di pericolo perché ho fatto alpinismo per una vita – spiega – ho buoni contatti e altrettanta volontà. E soprattutto amo profondamente questo paese, anche se a volte gli amici mi prendono in giro per il mio accento.”
Restare lontana dai bambini anche per lunghi periodi non è facile, ma ha deciso che fosse il modo migliore per proteggerli e per continuare a essere utile senza doversi occupare quotidianamente della loro sicurezza. “Di solito abbiamo visto le donne lasciare le proprie case con i più piccoli – spiega ridendo – ma io non sono mai stata una mamma tradizionale”.
In un villaggio rurale a nord di Kyiv, dove ha deciso di trasferirsi da qualche anno, la donna ha dato vita a un progetto visionario per i bambini, una scuola realizzata completamente in legno, paglia e materiali naturali, dove ci sono aule per lo studio, camere da letto, una sala musica, una palestra, spazi per la creatività e l’arte e una zona per lo yoga e la meditazione, oltre a un giardino, una piscina e un campo da calcetto.
La sfida è stata quella di mettere in piedi una struttura all’avanguardia in un luogo di campagna, per fare didattica in mezzo alla natura con attrezzature moderne. Chi non ha la possibilità di raggiungere la scuola con mezzi propri può usufruire di un servizio di trasporto dedicato, che parte da Brovary e raccoglie tutti i centri abitati sulla strada per Chernihiv.
“A scuola insegniamo che ognuno di noi deve lasciare una traccia – spiega Tanya – per questo abbiamo un albero delle buone azioni dove tutti i giorni i bambini segnano quello che hanno fatto di buono, senza competizione fra loro. Noi stiamo imparando da adulti, in tempo di guerra.”
Quando le truppe russe avanzavano verso Kyiv, l’istituto di Tanya, come tutte le altre scuole, è stato chiuso, e le lezioni sono andate avanti on line fino alla fine dell’anno. Lo spazio è diventato un centro di prima accoglienza per le famiglie dei villaggi vicini che scappavano dall’occupazione russa e non sapevano dove andare, finché i militari sono arrivati a pochissimi chilometri e restare diventava pericoloso.
Adesso l’edificio è tornato a ripopolarsi perché l’ultimo progetto avviato dalla giovane donna punta a ospitare, in piccoli gruppi e su turni di 12 giorni, circa 300 bambini sfollati provenienti dalle zone più colpite dalla guerra, per regalargli un momento di vacanza e di svago, lontano dalla distruzione e dalla paura dei bombardamenti. La raccolta fondi sta andando avanti e i primi ospiti sono arrivati in questi giorni.
Nel frattempo Tanya ha riparato l’auto, è riuscita ad andare a Charkiv, dove ha visitato gli anziani rimasti nel quartiere più a nord, ripetutamente colpito dall’artiglieria russa, e ha filmato i resti dei missili esplosi lungo le strade e contro i palazzi; ha preso contatti con i volontari che lì distribuiscono gli aiuti, e con i soldati che l’hanno accompagnata su quella prima linea.
“Tre giorni dopo ho saputo che c’è stato un attacco molto forte contro di loro, e alcuni dei militari che erano con me sono morti – dice – è questo l’orrore della guerra, stringere la mano a qualcuno senza sapere se da qui a domani sarà ancora vivo.”
Dopo la tappa a nord est è tornata nella regione di Kyiv, a incontrare i sopravvissuti di Borodyanka, alcuni dei quali fatti prigionieri dai russi durante l’occupazione. Nel mentre è riuscita a far arrivare un carico di farmaci a sud, agli ultimi sfollati di Mariupol.
Nella capitale, intanto, ha concluso il progetto di evacuazione di settanta fra bambini, adolescenti e qualche donna adulta in Bulgaria, in una struttura ricettiva di montagna che li ospiterà per tre mesi. “Psicologicamente avremmo tutti bisogno di staccare dal conflitto – ammette – e penso che per queste persone sia sano passare l’estate lontano da sirene, esplosioni e paura.”
È lei che li guida fino al binario del treno, quando la stazione centrale di Kyiv si spegne completamente per il coprifuoco, e lascia al buio i passeggeri in attesa.
Sui social Tanya racconta le sue tappe, pubblica gli aggiornamenti delle raccolte fondi, commenta quanto accade. “Il conflitto ha unito le persone qui – ma io ho anche tanti haters, che mi considerano una traditrice. Perché io mi sento ucraina, ma sono nata e cresciuta in Russia e ogni giorno ricevo minacce rivolte a me e alla mia famiglia. Persino mio padre che si trova dall’altra parte del confine non mi crede quando gli racconto la distruzione che incontro, così ho smesso di sentirlo.”
Ad ogni posto di blocco, quando le chiedono i documenti, mostra tutti i suoi permessi legati alla sua azione umanitaria con i civili, i militari, il personale medico. “Il passaporto cerco sempre di non farlo vedere se ai controlli si accontentano di tutte queste carte – ammette – perché dopo mi guardano con occhi diversi. Ma non posso cambiare la realtà, questo è il paese che ho scelto e che mi ha adottata, l’altro è il paese dal quale provengo. Se il mio documento è “sbagliato” di sicuro non è colpa mia.”
In copertina: il mercato di Charkiv distrutto dai missili russi. Foto di Ilaria Romano.