Negli ultimi tre anni, a fronte di oltre 300mila sbarchi, le domande d’asilo sono state meno della metà; su 100 richieste esaminate solo 10 terminano con la concessione dello status di rifugiato; le altre 90 o terminano con un diniego, o terminano con il riconoscimento di altre forme di protezione (cosiddetta “sussidiaria” e “umanitaria”). In breve, si può dire che la maggior parte delle persone sbarcate in Italia o non presentano alcuna domanda d’asilo, o la presentano e risultano non avere diritto ad alcun tipo di protezione. Stando ai dati ufficiali, si può stimare che, su 100 sbarcati, coloro che presentano domanda d’asilo e ottengono lo status di rifugiato sono circa il 6%.
Così scrive Luca Ricolfi sul Sole 24 Ore del 27 settembre 2015.
L’analisi
Rifugiato è una parola che viene utilizzata in senso lato e in senso stretto. In senso stretto, rifugiato è colui che è riconosciuto tale in base alla Convenzione di Ginevra del 1951. In senso lato, parliamo di rifugiati per parlare di tutti coloro che ricevono una forma di protezione per motivi di persecuzione, o per il grave danno che potrebbero subire se tornassero nel paese da cui fuggono, o per ragioni umanitarie. Da qui l’ambiguità su cui sembra voler giocare questo articolo.
I tipi di permessi riconosciuti dalle Commissioni territoriali per il diritto d’asilo sono tre:
1) il permesso di soggiorno per asilo politico che è riconosciuto in caso di persecuzione “per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”, ha durata quinquennale, è rinnovabile, convertibile in permesso per lavoro, e comporta un’ampia serie di diritti, dal ricongiungimento familiare al titolo di viaggio, al diritto di accesso al lavoro alle medesime condizioni dei cittadini italiani.
2) Gli stessi diritti e condizioni si applicano a chi riceve il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, riconosciuto quando non ci sono gli estremi per lo status di rifugiato, ma esistono fondati motivi di ritenere che il richiedente, se ritornasse nel Paese di origine o di dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. Il secondo tipo rappresenta quindi, in ogni caso, l’accoglimento della domanda di protezione internazionale.
3) Il terzo tipo è il permesso si soggiorno per protezione umanitaria, riconosciuto allo straniero al quale venga negata la protezione internazionale, ma verso cui si ritiene che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario – la durata è di due anni e i diritti connessi sono più limitati.
Se quindi in media solo 1 richiesta d’asilo su 10 negli ultimi anni è terminata con la concessione dello status di rifugiato (una quota che peraltro è andata diminuendo nei mesi più recenti, secondo che i dati provvisori del 2015) è però ben più consistente la percentuale di domande che ottengono un esito positivo secondo le tre opzioni appena descritte. Hanno avuto esito positivo il 61% delle domande nel 2013, il 60% nel 2014, il 45% nel 2015 (gennaio-ottobre).
La maggioranza delle persone sbarcate in Italia non fa domanda d’asilo in Italia: questo è vero. Ma è scorretto affermare o far intendere che questa maggioranza sia costituita di migranti economici (irregolari). Nel 2014 gli arrivi via mare sulle coste italiane sono stati circa 170mila e le domande d’asilo in Italia circa 65mila.
La differenza tra i due numeri è però presto spiegata se si considera che i due gruppi nazionali con più alto numero di arrivi nel 2014, ovvero Siria (42mila) ed Eritrea (34mila), hanno presentato domanda d’asilo in Italia in numeri irrisori (rispettivamente 505 e 480) cercando invece protezione in altri paesi dell’Ue. Nel 2015 si è verificata una situazione simile, con un numero di arrivi complessivi intorno alle 143mila unità (gennaio-ottobre 2015), e un totale di 69mila domande d’asilo. Tra queste ultime, solo 475 sono state presentate da profughi provenienti dall’Eritrea, che sono invece di gran lunga il gruppo più numeroso (il 27% del totale) tra coloro che arrivano via mare.
Chi ci dice che quella differenza tra numero di arrivi e numero di domande presentate in Italia sia a sua volta formata in larga parte da persone che hanno i requisiti per la protezione internazionale, che però chiedono ad altri paesi europei? Lo capiamo dai tassi di riconoscimento delle domande d’asilo nell’Ue, ovvero dalla percentuale di domande delle diverse nazionalità che ottengono esito positivo: secondo Eurostat questo tasso raggiunge il 98% per i siriani, l’87% per gli eritrei, e il 57% per esempio per i somali che sono il terzo gruppo nazionale in Italia per numero di arrivi nel 2015.
Guardando ai tassi di riconoscimento medio delle domande d’asilo per le diverse nazionalità, possiamo stimare, come fa l’Unhcr, al 59% la percentuale di persone arrivate in Italia attraverso il Mediterraneo che ha i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria o il permesso per motivi umanitari.
In sintesi: nel 2015 su 100 sbarcati circa 48 hanno fatto domanda d’asilo in Italia. Di questi stimiamo che in base ai dati sulle domande esaminate circa 22 riceveranno una forma di protezione. Ma nel complesso possiamo calcolare che 59 su 100 riceveranno protezione nell’Ue.
Il giudizio di Open Migration
La lettura dei dati di Ricolfi, e di tutti coloro che usano argomenti analoghi, non è scorretta ma tendenziosa, perché lascia intendere che solo lo status di rifugiato (minoranza tra gli esiti positivi delle domande d’asilo) sia da considerare un titolo di protezione valido, e ulteriormente – ignorando il fenomeno di richiedenti asilo che transitano dall’Italia verso altri paesi Ue – vorrebbe rappresentare la parte restante degli arrivi come immigrazione irregolare.
Twitter: @giorgiaseru