Costituiva una forma residuale di protezione prevista, prima del “Decreto Sicurezza”, dalla legislazione italiana per quanti non avevano diritto al riconoscimento dello status di rifugiato né della protezione sussidiaria ma non potevano essere allontanati dal territorio nazionale a causa di oggettive e gravi situazioni personali. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari veniva rilasciato dal questore a seguito di raccomandazione della Commissione Territoriale in caso di diniego, qualora ricorressero “seri motivi” di carattere umanitario: motivi di salute o di età, carestie e disastri ambientali o naturali, l’assenza di legami familiari nel Paese d’origine, l’essere vittima di situazioni di grave instabilità politica, di episodi di violenza o di insufficiente rispetto dei diritti umani.
Il permesso per motivi umanitari – per chi l’ha ottenuto prima delle recenti modifiche legislative – ha una durata di 2 anni, è rinnovabile, e può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro.
Il recente “Decreto Sicurezza”, convertito in L. 132/2018, ha abrogato tale forma di protezione sostituendola con il permesso di soggiorno per protezione speciale.
Tuttavia, con la sentenza n. the, la Corte di Cassazione ha stabilito che, per le domande di protezione internazionale presentate prima del 5 ottobre 2018, le Commissioni Territoriali debbano continuare a valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.