Con un numero di persone in movimento senza precedenti nella storia, la crisi globale dei rifugiati rappresenta oggi una delle maggiori sfide umanitarie dei nostri tempi.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che nel mondo esistano attualmente 65,3 milioni di persone in movimento, vale a dire 1 su 113, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che comprende rifugiati, richiedenti asilo e sfollati all’interno del proprio paese. Di questi, 21,3 milioni sono stati formalmente riconosciuti e classificati come rifugiati, oltre il 50 percento viene dalla Somalia, dall’Afghanistan e dalla Siria, e oltre il 51 percento ha meno di 18 anni.
I motivi dei loro spostamenti sono vari, così come tante sono le tipologie di persone costrette a lasciare la propria casa. Ma i media, la politica e purtroppo anche i membri della comunità tecnologica considerano i rifugiati come un blocco uniforme.
Molte persone — e spesso gli stessi politici — sembrano interpretare l’utilizzo che i rifugiati fanno della tecnologia in un’ottica luddista, ovvero come prova di autosufficienza, anziché del semplice ricorso a uno strumento di importanza vitale.
Ma se è vero che parte della comunità civic tech ha cominciato a riflettere su come rendersi utile, le risposte tecnologiche attuali considerano i rifugiati soltanto come vittime: troppo spesso non vengono presi in considerazione come individui, e le soluzioni sembrano ideate «per loro» anziché «insieme a loro». Ma trovare una soluzione è impossibile, se intorno al proverbiale tavolo non siedono tutte le parti in causa, e se al centro delle iniziative non ci sono gli interessi e il contributo dei rifugiati stessi.
Di qui a un anno è probabile che nel mondo appaiano altri milioni di rifugiati. Alcuni avranno trovato asilo o saranno tornati a casa, e tutti continueranno a sviluppare le loro personali innovazioni per garantire spostamenti sicuri e sostentamento alle proprie famiglie. Contemporaneamente, i membri delle comunità tecnologiche e dell’informazione continueranno a esplorare possibili soluzioni e manterranno il loro impegno a sostenere i rifugiati, oppure saremo passati ad altro? E che effetti avremo sortito?
La tecnologia civica può dare potere alle persone in movimento, ai migranti e ai rifugiati coinvolgendoli nell’ideazione e nell’applicazione di questi strumenti. Perché queste iniziative abbiano successo, occorre progettare tecnologie, fornire strumenti, utilizzare la storia delle comunità e disseminare le informazioni partendo dai diretti interessati, oltre a sostenerli attivamente e a rimanere in contatto con il territorio, vivendo le situazioni in prima persona.
La tecnologia ha un ruolo cruciale nel permettere a queste persone di condividere le loro esperienze e le loro storie.
L’attivismo basato sui dati e la pratica del racconto possono contribuire a dissipare i pregiudizi falsi e nocivi sulle persone in movimento, ridefinendo i racconti offerti dai mezzi di comunicazione di massa che inseriscono la crisi globale dei rifugiati in contesti non veritieri.
L’utilizzo di tecnologie narrative e di media interattivi e immersivi per fotografare e rappresentare le storie e le esperienze di vita dei rifugiati è un elemento essenziale per elaborare soluzioni condivise e offrire un sostegno efficace; ha il potere di consegnare gli strumenti di produzione direttamente ai rifugiati, affinché partecipino al processo sociale dell’ideazione collettiva e promuovano la propria causa in prima persona.
Il testo è una versione condensata e leggermente modificata di un articolo apparso originariamente su Civicist.
Traduzione di Matteo Colombo.
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