1. “Remigrazione” e razzismo in Germania
Una sezione locale del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) ha distribuito migliaia di biglietti aerei falsi a famiglie e persone immigrate che vivono in Germania per essere deportate nel loro “paese di origine sicuro”.
“La polizia sta indagando sull’episodio come possibile caso di incitamento all’odio, secondo l’emittente pubblica Swr. L’emittente ha anche riferito che biglietti falsi sono stati distribuiti in quartieri con un alto numero di [persone con background migratorio]”, riportano i giornalisti Sasha Schroeder e Chris Lunday su Politico. “Fuori da ogni regola della campagna elettorale ma anche dalla legge, almeno secondo la magistratura di Karlsruhe che ieri ha prontamente aperto il fascicolo giudiziario ipotizzando il reato di incitamento all’odio; mentre il borgomastro della città, Frank Mentrup, della Spd, mette in guardia da bollare il volantino razzista come una trovata di marketing politico più o meno goliardica”, scrive il giornalista Sebastiano Canetta su Il Manifesto.
E ancora: “la campagna, tuttavia, è in linea con le politiche dell’AfD sull’immigrazione, con la candidata cancelliera del partito Alice Weidel che ha apertamente abbracciato il termine “remigrazione” alla conferenza del partito nella città orientale di Riesa durante il fine settimana. Il termine “remigrazione” è una strategia vaga, largamente intesa come deportazione di massa di persone con un background migratorio”, si legge su Euronews.
2. Una tregua per Gaza
Israele e Hamas hanno trovato un accordo per la tregua a Gaza. Ma la situazione nella Striscia rimane devastante.
3. Il diritto di asilo è sempre più a rischio
Mentre gli ingressi via mare delle persone migranti in Italia sono tornati ai livelli del 2021, prima dell’insediamento del governo Meloni, dimostrando quindi che le migrazioni non sono un fenomeno emergenziale, ma strutturale, l’accesso al diritto di asilo è sempre più ridotto.
“[…]L’aspetto più interessante nei dati sulle nazionalità riguarda i cosiddetti “paesi sicuri”, ossia quella lista di nazioni, stilata dal governo, considerate non a rischio guerra, violenze e persecuzioni”, si legge su Openpolis. “Tre delle prime quattro nazioni di provenienza delle persone migranti nel 2024 sono considerate dal governo “sicure”: Bangladesh, Tunisia ed Egitto. Se a queste aggiungiamo il Gambia, parliamo di oltre 27mila persone tra le 66mila arrivate l’anno scorso: il 41% del totale […]. Basti pensare che il Bangladesh, di cui è originaria la maggioranza delle persone sbarcate in Italia, è definito un paese a “regime ibrido” (misto democrazia e autocrazia). È lo stesso governo italiano ad affermare che l’applicazione della legge avviene in un contesto caratterizzato da opacità, dove è particolarmente grave il fenomeno delle sparizioni forzate e delle esecuzioni extragiudiziali e dove è in corso la crisi dei rifugiati del gruppo etnico Rohingya”.
Diminuiscono quindi le garanzie di tutela per le persone migranti provenienti da paesi considerati “sicuri” in quanto per loro è prevista una procedura accelerata, che li destina più facilmente all’espulsione.
4. La storia di David Yambio: da bambino soldato ad attivista per le persone rifugiate
La vita di David Yambio è iniziata all’ombra del conflitto. Nato nel remoto villaggio di Ezo, vicino al confine del Sudan del Sud con la Repubblica Centrafricana, durante la seconda guerra civile sudanese nel 1997, la sua famiglia è fuggita dalla violenza quando aveva solo due mesi, cercando rifugio nei campi in Congo e nella Repubblica Centrafricana. Nel 2009, quando Yambio aveva solo 12 anni, fu rapito dal Lord’s Resistance Army (LRA), un gruppo militante ugandese guidato da Joseph Kony. Il gruppo lo portò nelle fitte foreste del Congo e della CAR, dove fu costretto a combattere al fianco dei ribelli, assistendo e sopportando atrocità indicibili. La sua storia è stata raccontata da Info Migrants.
“Dovevamo scappare. Era l’unica via di fuga possibile. Era anche molto violento, perché chi veniva sorpreso a tentare di scappare veniva sempre ucciso”, racconta. Tuttavia, dopo quasi un anno, Yambio riuscì a fuggire, con l’aiuto delle forze di pace delle Nazioni Unite, e nel 2010 poté riunirsi alla sua famiglia nel Sudan meridionale. Ma questo momento di serenità durò poco poiché, subito dopo il referendum del 2011 che divise il Sudan dal Sud Sudan, in quest’ultimo scoppiò la guerra civile nel 2013. Da qui inizia l’odissea di Yambio in cerca di stabilità e protezione, arrivando in Libia. “Ritrovandosi bloccato nel deserto arido e spietato del Niger, ha finito per lavorare in un sito di estrazione illegale di oro nella regione di confine tra Ciad, Niger e Libia nell’estate del 2018. Il sito isolato era afflitto da risorse scarse e sabbia instabile, il che lo rendeva soggetto a crolli”.
Tuttavia, la sua situazione non era destinata a migliorare. Fu in Libia che affrontò detenzione, tortura, schiavitù e altre gravi violazioni dei diritti umani. “Le condizioni in Libia non erano migliori rispetto a qualsiasi altro paese in cui sono stato, forse erano le peggiori.” Nel 2021, le proteste a Tripoli hanno portato Yambio a co-fondare Refugees in Libya, un movimento che difende i diritti delle persone rifugiate. Questo ha segnato l’inizio del suo viaggio come attivista della comunità, difensore dei diritti umani e portavoce del gruppo. Ora che vive in Italia, continua il suo lavoro di advocacy per le persone rifugiate, aggrappandosi al sogno di tornare un giorno nella sua terra natale.
5. La Siria non è un paese sicuro
Mentre paesi come Regno Unito, Austria, Francia, Grecia e Germania si affrettano a dichiarare la Siria un paese “sicuro” e annunciano piani per cessare l’elaborazione delle domande di asilo dei siriani, il paese è tutt’altro che un luogo sicuro verso cui tornare.
“Chiunque cerchi protezione internazionale deve far valutare individualmente la propria domanda di asilo in base ai meriti e in conformità alle garanzie procedurali. I divieti assoluti sulle nuove domande di asilo dalla Siria ignorano le complesse realtà sul campo e rischiano di violare gli obblighi internazionali ai sensi della Convenzione sui rifugiati. L’eccitazione della liberazione [dalla dittatura di Bashar al-Assad] non dovrebbe renderci ciechi di fronte allo stato fragile e precario in cui si trova oggi la Siria”, scrivono Mustafa Alio e Raz Gardi, co-direttore e co-direttrice generale di Refugees Seeking Equal Access at the Table sul New Humanitarian. “L’attuale panorama della Siria è rovinato dalla presenza di molteplici fazioni armate che lottano per il controllo […]. E ancora: “mentre i combattimenti attivi si sono ridotti in alcune aree, persistono scontri e violenze localizzati. Circa 1,1 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell’escalation dei combattimenti a novembre e all’inizio di dicembre, e oltre 600.000 rimangono sfollate”.
Infine ricordiamo che il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha recentemente messo in guardia contro i rimpatri delle persone rifugiate siriane, sottolineando che gli stati dovrebbero evitare di dare per scontato che la Siria sia ormai sicura, prendnedo “decisioni ponderate e basate su prove concrete”.
6. Un altro naufragio al largo delle Canarie
Almeno 50 persone sarebbero decedute nel naufragio di un’imbarcazione diretta alle isole Canarie.
Lo riporta su X/Twitter Helena Maleno, la portavoce della Ong per i diritti umani delle persone migranti Caminando Fronteras, che segnala che “44 delle vittime erano di nazionalità pachistana”.
“C’erano 86 persone in tutto a bordo, quindi sarebbero 36 le persone sopravvissute al viaggio, tra cui almeno una minorenne. Non si sa ancora, nel complesso, quante donne e bambini ci fossero. Già sei giorni fa, Caminando Fronteras aveva dato l’allarme a tutti i Paesi dell’area, segnalando che l’imbarcazione risultava di fatto dispersa. Ma non è arrivato alcun intervento dei soccorsi”, scrive il giornalista Luca Pons su Fanpage.
7. I nostri nuovi articoli su Open Migration
Siamo nel 2018 e la nave Asso 29 respinge le persone migranti nel Mediterraneo riportandole in Libia, sotto istruzioni dell’Italia. In quell’anno, al Ministero dell’Interno c’era Matteo Salvini. Federica Rossi ci racconta tutta la vicenda in merito.
Foto copertina via X(Twitter)/Melting Pot Europa