1. La repressione quotidiana nei Cpr italiani
Dopo aver riaperto da poco, e nel pieno del nuovo Decreto Sicurezza che inasprisce e introduce nuove pene per le persone recluse, nel Cpr di Torino è scoppiata una rivolta.
“Si tratta della prima rivolta scoppiata da quando il nuovo Cpr, gestito dalla cooperativa Sanitalia, ha riaperto le sue porte. La struttura, destinata ad accogliere stranieri irregolari o colpiti da provvedimento di espulsione, aveva chiuso nel marzo 2023. Dopo due anni di ristrutturazioni, è tornata operativa poco più di un mese fa tra le proteste della Rete torinese contro i Cpr, dei centri sociali e dei residenti. Persino la Città aveva definito il Centro una ferita per Torino”, scrive la giornalista Caterina Stamin su La Stampa. “Ci sarebbe più di un ferito. Quando gli esponenti dei centri sociali cittadini hanno chiamato a raccolta i “compagni” davanti alle mura di corso Brunelleschi, parlando di una colonna di fumo che sale da una delle aree del Cpr. Dentro la struttura sarebbero viste entrare tre ambulanze, ci sarebbe più di una persona ferita”. E ancora: “ i fatti avvenuti questa notte in corso Brunelleschi ci pongono nuovamente di fronte alla totale inadeguatezza dell’istituto del Cpr così come alla totale inefficacia che questo istituto ha e ha avuto, fin dalla sua istituzione, nella gestione delle politiche migratorie”, ha commentato il sindaco Stefano Lo Russo, riportato da TorinoToday.
Infine, un uomo di 37 anni di origine nigeriana, Abel Okubor, è deceduto nel Cpr di Brindisi: “l’avvocato Bartolo Gagliani in un servizio del Tgr3 ha spiegato come fosse vittima di un “cavillo burocratico”, in quanto il suo precedente legale era morto mentre stava depositando il ricorso dopo il diniego della Commissione territoriale alla richiesta di asilo, e così il suo permesso di soggiorno era scaduto. Okubor non aveva commesso alcun reato, lavorava come bracciante e aveva un datore di lavoro disponibile ad assumerlo, come da documentazione mostrata nel servizio” riporta Melting Pot Europa.
2. Illegittimo detenere richiedenti asilo in Albania
La Corte di Appello di Roma ha affermato che non è consentito nei Cpr in Albania le persone che chiedono asilo.
“La Corte ha accolto la tesi, sostenuta anche da ASGI, e dichiarato che né il Protocollo Italia-Albania né la legge di ratifica, anche dopo le modifiche introdotte dal Decreto-Legge 37/2025, consentono il trattenimento di richiedenti asilo nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Gjader. Tale trattenimento sarebbe consentito esclusivamente nell’ambito delle procedure accelerate in frontiera, attualmente di fatto sospese in Albania in attesa della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito dei giudizi riuniti C-758/24 e C-759/24”, riporta l’Asgi. E ancora: “Questa decisione conferma quanto le associazioni e i movimenti denunciano a gran voce: il cosiddetto “modello Albania”, che prevede il trasferimento di persone trattenute nei CPR italiani verso strutture analoghe sul territorio albanese, presenta gravi fragilità giuridiche. Ancora una volta, emerge chiaramente che dal punto di vista operativo il sistema non può funzionare se non attraverso prassi illegittime e violazioni sistematiche dei diritti”.
Infine: “Di fronte all’evidente insostenibilità legale e all’ennesima dimostrazione di inefficacia e illegittimità operativa, ASGI chiede al Governo italiano di abbandonare immediatamente il modello Albania, riconoscendo finalmente il rispetto dei diritti umani come unico criterio guida nell’approccio alla gestione dei flussi migratori”.
3. Migranti e solidali sempre più criminalizzati
Il nuovo rapporto di Picum (Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants), Criminalisation of migration and solidarity in the EU, evidenzia la criminalizzazione sempre più sistematica nei confronti di persone migranti e solidali.
“Nel 2024, il monitoraggio dei media di Picum ha confermato una tendenza in crescita: almeno 142 persone hanno subito procedimenti penali o amministrativi per aver agito in solidarietà con i migranti nell’Ue. Inoltre, il nostro monitoraggio dei media ha rilevato che almeno 91 migranti sono stati soggetti a criminalizzazione, per lo più in base alla legislazione contro il [favoreggiamento dell’immigrazione irregolare]. Sappiamo però che questo numero è sottostimato, poiché altre organizzazioni hanno registrato molti più casi nel loro lavoro. Inoltre, gli articoli di cronaca hanno evidenziato diverse forme di molestie non giudiziarie nei confronti di difensori dei diritti umani e organizzazioni della società civile all’interno dell’Ue”, si legge nel rapporto. E ancora: “tra gennaio 2024 e dicembre 2024, in Ue, almeno 142 difensori dei diritti umani hanno dovuto affrontare procedimenti giudiziari per essersi schierati in solidarietà con i migranti. Questi dati confermano una tendenza preoccupante [..]. Nel 2024 sono state perseguite penalmente persone che avevano un chiaro scopo umanitario, come cercare di soccorrere persone in difficoltà, fornire loro riparo, cibo o acqua, e partecipare ad azioni di disobbedienza civile, come protestare contro la detenzione dei migranti.
Infine, “la maggior parte delle persone accusate (84%) viene considerata colpevole di aver guidato un’imbarcazione o un veicolo attraverso il confine, o di aver presumibilmente aiutato a gestire i passeggeri a bordo. Le accuse non colgono le motivazioni alla base di queste azioni, che spesso includono il ricongiungimento con i familiari, la copertura dei costi del viaggio, la ricerca di mezzi di sostentamento e il sostegno ad altri. In realtà, queste accuse si basano spesso su azioni come essere un semplice passeggero, distribuire cibo e acqua, usare un telefono e una mappa mentre si è in mare, o anche aiutare gli altri in situazioni difficili, come su un’imbarcazione che rischia di rovesciarsi”.
4. Continuano le aggressioni razziste in Tunisia
La campagna politica violenta di odio e razzismo nei confronti delle persone migranti nere in Tunisia prosegue senza sosta, mettendo in pericolo le vite di molte persone originarie dell’Africa subsahariana.
Infine: “ciò che ho visto nella prigione di Thyna [afferma Daouda], è stato disumano. Africani subsahariani [insieme] a detenuti tunisini: stupratori, criminali e ladri […]. Eravamo circa 150 in una cella; per la maggior parte erano cittadini tunisini, e c’erano circa 50 africani subsahariani. Quando arrivi in prigione, se sei nero diventi un bersaglio. In ogni cella c’era un “caporale”, un detenuto tunisino che fungeva da capo. I detenuti potevano picchiarti senza motivo. Se ti lamentavi con il “caporale”, lui poteva picchiarti. Se chiamava le guardie, anche loro ti picchiavano”.
5. L’espulsione di cittadini di paesi terzi a Panama da parte degli Usa
Su tre voli tra il 12 e il 15 febbraio 2025, il governo degli Stati Uniti ha espulso 299 cittadini di paesi terzi (in questo rapporto ossia persone che non sono né cittadini statunitensi né cittadini panamensi) verso Panama.
“Human Rights Watch ha intervistato 48 dei 299 cittadini di paesi terzi espulsi dagli Stati Uniti a Panama. Tutti coloro che Human Rights Watch ha intervistato avevano intenzione di chiedere asilo negli Stati Uniti e molti si erano impegnati a fondo per comunicare alle autorità statunitensi il loro desiderio di chiedere asilo e il timore di tornare nei loro paesi d’origine. Persino in un caso, un uomo gay ha fornito alle autorità statunitensi un resoconto scritto, in inglese, della persecuzione subita in Russia, ma le autorità si sono rifiutate di prenderlo in considerazione”, evidenzia Human Rights Watch nel rapporto Nobody Cared, Nobody Listened. E ancora: “Ho chiesto asilo ripetutamente. Ci ho provato davvero. Nessuno mi ha ascoltata, ha detto Mina, una donna iraniana di 27 anni. Non capivo perché non mi ascoltassero. Poi un funzionario dell’immigrazione mi ha detto che il presidente Trump aveva revocato l’asilo, quindi ci avrebbero deportati”.
Le persone intervistate da Human Rights Watch provengono da paesi quali Afghanistan, Angola, Camerun, Cina, Eritrea, Etiopia, Iran, Nepal, Pakistan, Russia, Somalia, Sri Lanka e Uzbekistan: “alcune sembravano traumatizzate dalle loro esperienze, che includevano stupri e altre violenze sessuali e di genere, prigionia, uccisioni di parenti stretti, abusi domestici e persecuzioni per motivi di religione, etnia, orientamento sessuale e opinioni politiche”.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
“Fucina del terrorismo islamico”: così per anni è stata descritto Molenbeek, quartiere popolare e multiculturale di Bruxelles, diventato simbolo del radicalismo europeo dopo gli attentati di Parigi del 2015. Da dieci anni quell’etichetta pesante, costruita su una serie di episodi drammatici e rilanciata dai media di tutto il mondo, continua ad oscurare ogni altra narrazione possibile. Eppure, tra le strade del quartiere, c’è chi lavora ogni giorno per cambiare prospettiva, restituendo complessità ad una narrazione semplificata. Ce ne parla Romina Vinci.