1. Richiedenti asilo costretti a dormire per strada
Il sistema di asilo italiano è di nuovo bloccato.
“Nelle ultime settimane almeno centottanta richiedenti asilo, incluse famiglie con bambini piccoli e donne sole, sono costrette a sopravvivere per un tempo indefinito in strada prima di ottenere il tetto e il supporto che per legge spetta loro. E questo, alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia europea, potrebbe essere l’inizio di una nuova grana per l’Italia”, scrive la giornalista Alessia Candito su Repubblica. E ancora: “I più si accampano nei magazzini abbandonati del Porto vecchio o sotto i portici della vecchia stazione, senza bagni, docce o servizi a disposizione. Non c’è nemmeno acqua o corrente elettrica […]. Le mattonelle di piazza Libertà – la piazza del mondo dove ogni sera le associazioni distribuiscono piatti caldi, vestiti, assistenza medica, informazioni, conforto – sono gli unici album su cui i ragazzini in transito possano disegnare con dei gessetti. Non ci sono giochi, né coperte, né una casa per loro”.
Infine: “la Prefettura di Trieste – denunciano le associazioni – non ha ancora predisposto alcuna misura alternativa, anche temporanea. Eppure non è un’emergenza, ma una situazione assolutamente prevedibile. Anno dopo anno si conferma l’assenza di una programmazione strutturata che possa garantire un’accoglienza dignitosa”.
2. L’Ue vuole anticipare l’approvazione del nuovo patto sull’asilo
La Commissione Ue sprona il Consiglio e il Parlamento a procedere più rapidamente nell’adozione del nuovo Patto sull’asilo.
“Lo fa al prezzo dell’ennesimo testacoda in questa vicenda. A gennaio scorso la Commissione aveva depositato una memoria scritta alla Corte di Lussemburgo, nel procedimento che l’altro giorno ha portato alla sentenza che ha dato torto all’esecutivo italiano su tutta la linea, in cui escludeva che l’attuale direttiva procedure permettesse di considerare come di origine sicura un paese in cui sono perseguitate intere categorie di persone”, scrive il giornalista Giansandro Merli su Il Manifesto.
E ancora: “la proposta di anticipare alcuni punti del patto è stata presentata dalla Commissione il 16 aprile scorso. C’è l’applicazione delle procedure accelerate di frontiera, quelle che prevedono la detenzione e finora sono riservate ai richiedenti originari dei paesi sicuri, ai cittadini di Stati che a livello europeo hanno un tasso di accoglimento d’asilo inferiore al 20%. Poi la possibilità della designazione di sicurezza anche in presenza di eccezioni territoriali e per categorie di persone”.
3. Raccontare l’Italia reale per sensibilizzare sulle migrazioni
“Che Italia!” è la nuova campagna di comunicazione nata dal progetto di ricerca Secondo Welfare, Università di Milano.
“La campagna “Che Italia!” racconta un Paese reale, vivo, plurale e in movimento, abitato da nuove italiane e nuovi italiani con background migratorio che ogni giorno contribuiscono a costruirlo e arricchirlo con le proprie storie e competenze. Un’Italia che esiste, ma che troppo spesso resta ai margini del racconto pubblico, oscurata da narrazioni parziali o distorte, che alimentano paure e divisioni invece di aprire possibilità”, scrive la ricercatrice Eleonora De Stefani su Secondon Welfare.
E ancora: “la forza di un approccio basato sul cambiamento della narrazione risiede nel partire da storie e valori condivisi dalla comunità per poi sfidare le posizioni divisive, attraverso un processo basato sull’ascolto reciproco e sul confronto aperto”.
4. I negozianti nel campo di Kakuma in Kenya lottano per sopravvivere ai tagli agli aiuti
Kakuma è un’area semidesertica: aspra, accecante, spietata. La vita di un imprenditore rifugiato qui è fatta di frammenti: un piccolo aiuto umanitario, un modesto fatturato e, se si è fortunati, un’occasionale offerta di credito da parte di una Ong.
“C’è un angolo del campo profughi di Kakuma conosciuto come il mercato del Burundi, dove Esperance Mapendo, un’ex infermiera della Repubblica Democratica del Congo, gestisce un piccolo negozio di alimentari. Il suo negozio è pieno di olio da cucina, scatole di fiammiferi, sale, pacchetti di farina e carbone in sacchi di nylon”, scrive il giornalista Joseph Maina sul New Humanitarian. E ancora: “gli abitanti di Kakuma sono altamente vulnerabili al danno economico causato da razioni tardive o ridotte. Cercano di trovare modi per guadagnare denaro e ridurre la dipendenza, ma anche coloro che lavorano per Ong e agenzie Onu nel campo guadagnano poco e faticano a risparmiare […]”.
Infine: “Julius, che ha voluto solo rivelare il suo nome, ha aperto la sua attività nel 2018 con l’equivalente di 40 dollari risparmiati in 18 mesi di lavoretti saltuari. Ora teme che la sua attività sia a rischio fallimento. La settimana scorsa, i ladri hanno cercato di entrare dal tetto, ha detto, in piedi accanto alla porta metallica del negozio. Non ho dormito. La situazione si è fatta difficile”.
5. Il Ruanda accetta di accogliere fino a 250 persone dagli Stati Uniti
Il Ruanda ha accettato di accogliere fino a 250 persone migranti espulse dagli Stati Uniti, diventando l’ultimo Paese ad acconsentire alle pressioni diplomatiche dell’amministrazione Trump affinché accolga alcune delle migliaia di persone migranti che ha detenuto.
“Il Ruanda ha concordato con gli Stati Uniti di accogliere fino a 250 migranti, in parte perché quasi ogni famiglia ruandese ha vissuto le difficoltà dello sfollamento e i nostri valori sociali si fondano sulla reintegrazione e la riabilitazione, ha affermato Yolande Makolo, portavoce del governo ruandese. La ripresa del Ruanda dal genocidio del 1994, che ha ucciso oltre 800.000 persone di etnia Tutsi e Hutu moderati, ha reso il Paese un’eccezione in Africa”, riporta la giornalista Felicia Schwartz su Politico. E ancora: “diversi paesi africani hanno visto l’attenzione dell’amministrazione Trump sull’immigrazione come un’opportunità per costruire un rapporto di buona volontà con Washington, che non ha sempre dato priorità al continente. Secondo un secondo funzionario ruandese, a cui è stato concesso l’anonimato per discutere di delicate relazioni diplomatiche, il Ruanda ha adottato questa misura anche per rafforzare le relazioni con gli Stati Uniti”.
Infine: “l’amministrazione ha chiesto ad almeno 15 paesi africani, tra cui Eswatini e Sud Sudan , di accettare i migranti che non possono tornare nei loro paesi d’origine, nell’ambito della sua ampia strategia sull’immigrazione”.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
Secondo l’Ocha, l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, gli afghani che sono tornati nel proprio paese fra il primo gennaio e il 12 luglio di quest’anno sono stati all’incirca un milione e 410 mila, dei quali un milione e 80 mila provenienti dall’Iran e 330 mila dal Pakistan. A contribuire a questi rientri, in particolare dal confine iraniano, è stata anche la guerra dei 12 giorni, il conflitto armato scoppiato a seguito dell’offensiva israeliana contro Teheran del 13 giugno scorso, che ha esacerbato la sensazione di insicurezza dei rifugiati nel paese. Ce ne parla Ilaria Romano. Ce ne parla Ilaria Romano.
Foto copertina via Re-imagining migration/Creative commons