Si chiamava Alfatehe-Ahmed Bachire, aveva 17 anni e veniva dal Sudan. È lui l’ultimo migrante morto al confine italo-francese, lo scorso 13 giugno, annegato alla foce del fiume Roja. Testimoni raccontano del tentativo di recuperare una scarpa finita in acqua e di un incidente che si trasforma in tragedia. Per Intersos, Ong impegnata a Ventimiglia nell’assistenza legale e sanitaria dei migranti fuori dal sistema di accoglienza, questa morte non sarebbe una semplice fatalità, ma la conseguenza del degrado in cui, da mesi, si trovano a vivere i migranti arrivati in città nel tentativo di attraversare la frontiera.
“È una morte che fa rabbia e di fronte alla quale lo stato non può chiudere gli occhi”, spiega Cesare Fermi di Intersos, “perché nasce da una perdurante e vergognosa condizione di degrado, deliberatamente alimentata nel territorio di Ventimiglia da una politica di militarizzazione, repressione e negazione dell’accoglienza: respingimenti arbitrari di minori da parte della polizia di frontiera sul lato francese, rastrellamenti e deportazioni sul lato italiano”.
Non è la prima volta che un migrante muore nel fiume che attraversa Ventimiglia. Il 21 novembre 2016 un uomo era stato travolto dalle acque; il suo corpo non è mai stato ritrovato. E sono 11 i migranti morti dal settembre 2016 al confine tra l’Italia e la Francia: otto di loro sono rimasti uccisi nel tentativo di attraversare il confine mentre tre sono deceduti quando ancora si trovavano a Ventimiglia. Ai due casi già citati si aggiunge quello del migrante investito il 4 gennaio 2017 nei pressi del centro di accoglienza allestito dalla Croce Rossa al Parco Roja. Nell’impatto ha perso la vita anche il conducente italiano della vettura.
Stando a quanto dichiarato dalla Polizia di frontiera durante una conferenza stampa organizzata alla vigilia del G7 di Taormina, nel corso del 2016 – considerando i valichi di Ponte San Ludovico, Ponte San Luigi, Olivetta San Michele, Fanghetto, così come alla stazione ferroviaria di Ventimiglia e la barriera autostradale dell’A10 – sono stati effettuati dalle autorità 17.048 respingimenti.
“La decisione francese di ripristinare i controlli alla frontiere risale all’11 giugno 2015”, racconta il direttore della Caritas di Ventimiglia-Sanremo, Maurizio Marmo, “siamo arrivati alla terza estate e rispetto allo stesso periodo dello scorso anno i numeri sono raddoppiati”.
Sono circa 300 gli ospiti nel campo allestito dalla Croce Rossa, ma i migranti presenti in città sono molti di più. Un centinaio – tra donne, bambini e minori di 16 anni – hanno trovato un riparo nella chiesa di S. Antonio, nel quartiere delle Gianchette. Gli altri, fra le 300 e le 400 persone, hanno vissuto per settimane in un vero e proprio accampamento informale sul greto del fiume Roja. Questo fino al 26 giugno, quando un gruppo di circa 400 profughi – preoccupati dalle operazioni di pulizia della zona ordinate dal comune di Ventimiglia – hanno imboccato in massa i sentieri che conducono in Francia. La maggior parte di loro è stata bloccata nelle ore successive dalle autorità francesi e riammessa in Italia. Oltre un centinaio di loro sono stati poi trasferiti in pullman verso l’hotspot di Taranto.
“Queste situazioni”, ci dice il vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, “espongono i migranti a gravi pericoli che, nei mesi scorsi, hanno portato anche a delle vittime. Penso soprattutto ai tanti minori stranieri non accompagnati che rappresentano una parte consistente dei migranti presenti a Ventimiglia. A loro deve essere garantita un’accoglienza degna”.
Perché, oltre alle persone che hanno perso la vita, sono decine i casi di migranti rimasti feriti. Giovani come Yasir, vent’anni, originario del Sudan. Quando lo incontriamo, lungo il corso del fiume Roja, ha una vistosa fasciatura al piede. “Mi sono ferito tre giorni fa”, racconta, “su uno dei sentieri che conducono in Francia. Ero già in territorio francese quando sono stato sorpreso dalla polizia. Ho provato a scappare ma sono scivolato su una pietraia e mi sono ferito. Allora mi hanno fermato e riportato al confine”.
Morti alla frontiera
Il 21 marzo scorso, il quotidiano francese Nice-Matin ha dato la notizia del ritrovamento del cadavere di un migrante sul versante francese della montagna: due giorni prima, notata al parco Roja l’assenza di un ospite, erano scattate le ricerche sul territorio italiano, ma senza successo. Il suo corpo è stato trovato lungo il sentiero Grimaldi, al confine tra Mentone e Ventimiglia, sopra Ponte San Luigi, uno dei varchi utilizzato dai migranti. Soprannominato “passo della morte”, è un camminamento impervio percorso negli anni da antifascisti e contrabbandieri per passare il confine in segreto.
“Il corpo è stato rinvenuto dopo parecchi giorni e non è da escludere che ci possa essere stata qualche altra vittima di cui non abbiamo avuto notizia”, racconta Maurizio Marmo. “Purtroppo, in diversi punti il sentiero presenta delle biforcazioni, e chi non conosce la strada rischia di ritrovarsi sul ciglio di qualche burrone”.
Per sfuggire alla polizia di frontiera, il 6 settembre 2016 un giovane di origine africane di cui non si conosce il nome è caduto da un viadotto dell’autostrada A8, all’altezza del villaggio di Saint Agnés, all’uscita di Mentone. Un mese dopo, il 9 ottobre 2016, Milet Tesfamariam, una minorenne eritrea di 17 anni, è stata investita da un tir sulla A10, al confine con la Francia. Si trovava in compagnia di alcuni parenti e stava camminando lungo la galleria che si incontra dopo la barriera di Ventimiglia, appena prima dell’ingresso in territorio francese. L’autotrasportatore ha riferito di aver visto il gruppo di migranti attraversare la carreggiata; ha provato a frenare di colpo, ma non ha potuto evitare la giovane.
Meno di due settimane dopo, il 21 ottobre, i quotidiani francesi hanno riportato la notizia di un giovane migrante investito da una vettura diretta verso l’Italia sull’A8, vicino a Mentone. “Secondo la polizia”, scrive Le Parisien, “diverse persone erano già state segnalate all’inizio della notte su questo tratto di autostrada percorsa dai migranti dall’Italia alla Francia, alcuni sono stati recuperati e portati alla polizia di frontiera”.
Treni pericolosi
Se le segnalazioni di migranti intenti ad attraversare il confine a piedi sono sempre più frequenti, il mezzo che ha causato più vittime negli ultimi dieci mesi resta però il treno. Il 23 dicembre 2016 nella frazione di Latte, vicino a Ventimiglia, un regionale diretto a Nizza sulla linea Ventimiglia-Mentone ha investito un gruppo di migranti in cammino lungo la ferrovia verso la Francia. Un venticinquenne algerino è stato sbalzato sulla massicciata ed è morto sul colpo.
Secondo il reportage di Mediapart, la procedura della Sncf, l’ente ferrovie francese, prevede che in caso di incidente in cui siano coinvolte altre persone, il macchinista debba fermarsi, scendere a ispezionare le rotaie e avvisare il posto di blocco affinché fermi la circolazione fino a quando non saranno intervenuti la polizia e i soccorritori. Inoltre, la linea è tortuosa, con gallerie non illuminate e pessima visibilità. Per fermare un treno servono tra i 300 e gli 800 metri. Spesso gli incidenti accadono col buio: gli attraversamenti avvengono in particolare la mattina presto o a fine giornata.
“Il venerdì è sicuramente uno dei giorni di maggior pressione”, ci racconta Daniela Zitarosa, operatrice legale di Intersos, “perché è giorno di mercato e moltissimi francesi vengono a Ventimiglia per fare acquisti. I migranti cercano di approfittare della confusione per salire sui convogli”.
Alcuni si nascondono sotto i sedili o nella locomotiva di coda oppure in spazi più pericolosi: i quadri elettrici, i giunti a soffietto, gli armadietti degli attrezzi. Altri cercano, invece, l’ingresso in Francia camminando lungo i binari della ferrovia. Il 5 febbraio di quest’anno, all’interno della galleria Dogana, l’ultima prima del confine con la Francia, un migrante è stato travolto da un treno regionale francese diretto in Italia. La vittima era insieme ad altri stranieri. Dodici giorni dopo, alla stazione La Bocca di Cannes, il cadavere di un uomo di origini africane è stato trovato senza vita, folgorato, sul tetto di un treno in sosta, incastrato nel pantografo del convoglio, il dispositivo installato sui veicoli ferroviari e tranviari che si collega ai cavi dell’alta tensione. Sempre nella stessa stazione, il 20 maggio di quest’anno, il personale Sncf addetto alle pulizie ha trovato a bordo di un treno regionale Ter, in un piccolo locale adibito a quadro elettrico, il cadavere folgorato di un trentenne del Mali.
Di fronte a queste morti le ferrovie francesi hanno predisposto un volantino informativo per mettere in guardia dai rischi e hanno chiesto alle associazioni attive a Ventimiglia un sostegno per la sua diffusione. La speranza è che possa servire ad evitare altre morti.
Morti senza nome
Guardando a quanto succede al confine italo-francese non colpisce solo il numero delle morti, ma anche la difficoltà di reperire informazioni circa le generalità delle vittime e l’attuale collocazione delle salme. “Purtroppo”, precisa Marmo, “la maggior parte delle morti sono avvenute in territorio francese e non sappiamo se e come vi sia stata una sepoltura. Da questo punto di vista si fatica ad avere un quadro generale della situazione”.
C’è però una morte che alla chiesa di S. Antonio – luogo simbolo dell’accoglienza cittadina – ricordano tutti con particolare affetto. Perché tra i 20 mila migranti transitati dalla struttura dalla sua apertura, il 31 maggio 2016, c’era anche Milet Tesfamariam, la diciassettenne eritrea investita il 9 ottobre. “Abbiamo celebrato il funerale il 15 ottobre nella stessa chiesa in cui lei aveva dormito la notte prima di morire”, racconta il parroco don Rito Alvarez. “Erano presenti decine di migranti, molti dei quali eritrei, e tanti volontari italiani e francesi, così come semplici cittadini”. Tra loro anche un cugino della giovane che vive a Roma, arrivato per il riconoscimento della salma. La parrocchia ha anche lanciato una colletta per raccogliere i circa 5 mila euro necessari al rimpatrio della salma. “Ci sembrava un gesto doveroso per ridarle dignità”, ammette il parroco.
Ai funerali era presente anche il vescovo di Ventimiglia Suetta che, durante l’omelia (qui la seconda parte) ha pronunciato parole molto dure: “Milet è una vittima del regime ingiusto del suo Paese, dal quale è scappata. Un paese che tutti conoscono, ma di cui nessuno si occupa. Milet è una vittima delle nostre frontiere, tanto legali quanto ingiuste, quando vengono sbattute in faccia alle persone e si chiudono inesorabilmente dinnanzi al loro grido di aiuto. Milet è la vittima di una società che si dice civile, che sbandiera principi, quelli della fraternità, della libertà, dell’uguaglianza, principi in nome dei quali sono state perseguitate e uccise delle persone. Principi che non vengono applicati in maniera uguale per tutti. Ci sono coloro che sono più fratelli, più liberi e più uguali degli altri. Questa è una ingiustizia di cui la nostra civiltà si deve vergognare. Milet è una vittima dei tanti fascicoli che giacciono per troppo tempo sui tavoli di coloro che hanno responsabilità, di procedure ingiuste che diventano una dilazione nel dare giustizia ai poveri che chiedono aiuto”.
*Aggiornamento: proprio poco dopo la pubblicazione di questo articolo, ci è giunta notizia di una dodicesima morte, quella di un migrante di cui ancora si ignora la nazionalità, che è stato travolto e ucciso da un camion a Latte.
*aggiornamento: purtroppo gli incidenti mortali nell’area di Ventimiglia continuano, e in alcuni casi emergono notizie di decessi avvenuti in precedenza, come quello del 24 maggio 2017: un uomo senegalese ritrovato, anche lui folgorato, dentro al locale tecnico di un treno francese partito da Ventimiglia.
In copertina: l’avviso luminoso al casello di Ventimiglia sulla A10, l’ultimo casello prima di entrare in Francia, estate 2017 (foto: Michele Luppi).