Di base a Londra, Juliane Heider è un’esperta di immigrazione che ha seguito numerosi richiedenti asilo nigeriani: “in molti casi, uomini gay che hanno chiesto protezione internazionale per il loro orientamento sessuale. Per loro la Nigeria non era affatto un luogo sicuro”. Lo era invece per il governo britannico.
Il Regno Unito, infatti, è uno di quegli stati europei che si è dotato di un elenco di paesi d’origine sicuri e la Nigeria, per gli uomini, è considerata uno di questi. “Senza un adeguato sostegno legale”, spiega Juliane, “questi richiedenti asilo rischiano di vedersi respinte anche domande di asilo ben fondate solo perché provengono da un cosiddetto stato sicuro”. In pratica, si tratta di un ostacolo in più da superare. Un ostacolo che presto esisterà anche in Italia, rendendo la protezione internazionale ancora più difficile da ottenere.
Il cosiddetto “decreto sicurezza”, convertito in legge dal Parlamento a novembre, infatti, prevede che anche Roma stili un elenco di paesi d’origine sicuri, seguendo la direttiva europea 2013/32 che offre agli stati membri la possibilità di crearne uno. “I nostri governi non l’avevamo mai sfruttata perché la nozione di paese d’origine sicuro contrasta con quella di diritto d’asilo individuale”, spiega Chiara Favilli, docente di diritto europeo all’Università di Firenze ed esperta di politiche d’immigrazione. Ora, invece, il concetto è stato introdotto anche del nostro ordinamento, seguendo l’esempio di altri 16 stati europei.
Cosa dice la nuova legge
“Secondo la nuova legge, la 132/2018”, spiega l’avvocato di ASGI Nazzarena Zorzella, “se il richiedente asilo proviene da un paese considerato sicuro deve invocare dei gravi motivi per non ritenerlo tale e quindi per ottenere la protezione internazionale”. Deve, in pratica, dimostrare perché quel paese, per lui, sicuro non lo è affatto. “In questo modo”, continua Zorzella, “si inverte quel principio della normativa ormai consolidato per cui l’obbligo di provare la propria condizione non era in capo al richiedente asilo, il quale aveva invece il solo onere di collaborare con l’autorità. Ora, invece, deve fornire quasi una prova diabolica”. Una prova estremamente difficile da reperire, che i tempi stretti della domanda fanno diventare addirittura impossibile
Le domande di asilo dei cittadini provenienti dai paesi inseriti nell’elenco di quelli sicuri, infatti, verranno esaminate in via prioritaria ed accelerata. Una volta ricevuti i documenti relativi al caso, le Commissioni territoriali avranno 5 giorni per la decisione e non è chiaro se venga preventivamente disposta l’audizione del richiedente. (La prassi finora è stata quella di disporre l’audizione entro 7 giorni dalla trasmissione degli atti da parte della questura). Tale procedura comporterebbe l’impossibilità di dimostrare di non appartenere ad un paese di origine sicuro ed è in ogni caso un tempo estremamente ridotto a confronto dei diciotto mesi previsti come durata massima per la procedura ordinaria.
Il rischio è che le Commissioni, organi amministrativi che fanno capo al Ministero dell’Interno, prendano decisioni affrettate o poco accurate, a discapito dei richiedenti. Che, in aggiunta, potrebbero ritrovarsi senza un adeguato sostegno legale.
“La legge 132/2018 modifica anche le procedure di frontiera”, prosegue Zorzella. “Il risultato più probabile è che le domande di protezione internazionale verranno esaminate in via prioritaria direttamente nei luoghi di sbarco o ingresso sul territorio. Ancora non è chiaro se questo avverrà direttamente all’interno degli hotspot, ma così, per i richiedenti asilo, diventerebbe molto complicato entrare in contatto con gli avvocati”.
Proprio gli avvocati, secondo la legge, sono gli unici a poter assistere all’audizione con la Commissione territoriale. Senza di loro, le possibilità di riuscire a superare la presunzione di sicurezza del paese d’origine diventano minime, quelle di ricevere un diniego cresceranno enormemente e l’essere rimandati in patria prima ancora che il ricorso contro la decisione negativa si concluda diventerà un rischio sempre più concreto. “Il decreto sicurezza, infatti,”, aggiunge la legale, “amplia i casi in cui la presentazione del ricorso non ha effetto sospensivo sul rimpatrio. Già Minniti aveva operato in questa direzione, ma Salvini ha ulteriormente allargato il campo”.
Il risultato di questi provvedimenti potrebbe portare molti richiedenti asilo a non vedere riconosciuto il loro diritto alla difesa, non garantendo loro l’assistenza legale necessaria per evitare dei rimpatri in condizioni potenzialmente pericolose. L’esatto contrario di quanto avvenuto nel Regno Unito ai cittadini nigeriani che, grazie all’intervento di Heider e dei suoi colleghi, hanno ottenuto lo status di rifugiati.
Un disegno più ampio
L’elenco dei paesi d’origine sicuri, però, secondo Zorzella, non è che un tassello di un disegno più ampio: con l’entrata in vigore della nuova legge sempre meno cittadini stranieri attenderanno per mesi l’esito della loro domanda d’asilo nei centri d’accoglienza di tutto il territorio nazionale, mentre sempre di più resteranno sulle frontiere dove, nel giro di pochi giorni, potrebbero essere diniegati ed espulsi. Un’ipotesi che, qualora si rivelasse azzeccata, metterebbe sotto pressione soprattutto i porti del Sud Italia e renderebbe ancor più fondamentali i rimpatri. Favilli concorda: si tratta di uno scenario possibile, ma con un importante distinguo. “Non credo che ci saranno miglioramenti significativi in materia di accordi di riammissione con i paesi terzi”, argomenta. “Soprattutto per i paesi dell’Africa subsahariana, quello dei rimpatri rimane un tema difficile da far digerire all’opinione pubblica. Piuttosto, prevedo una crescita degli accordi informali di collaborazione, come quello tra Italia e Sudan”.
Molto dipenderà da quali saranno gli stati inseriti nell’elenco. Il compito di sceglierli spetta al Ministero degli Esteri di concerto con quelli dell’Interno e di Giustizia. Sulla base delle informazioni reperite dalla Commissione nazionale asilo e di quelle fornite da altri Stati UE, dall’EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti, un paese d’origine verrà considerato sicuro se, “in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Non solo. La legge, tra le condizioni necessarie, cita anche “il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura” nonché il rispetto del principio di non respingimento della Convenzione di Ginevra. “In teoria”, ragiona Zorzella, “stando alla legge, la lista dovrebbe essere molto breve perché le nazioni che soddisfano tutte queste condizioni sono davvero poche”.
Una lista continentale?
In pratica, per capire come si muoverà l’Italia, può essere utile guardare alle scelte degli altri paesi europei. “Dal 2015, con la cosiddetta crisi dei rifugiati, è cresciuto il numero di stati UE che ha adottato queste liste, su incoraggiamento della Commissione”, spiega Minos Mouzourakis di ECRE, l’European Council of Refugees and Exiles. “Tuttavia, permangono differenze significative”. La Nigeria, per esempio, è considerata sicura solo dalla Bulgaria e, come abbiamo visto, per gli uomini, dal Regno Unito, che è uno dei paesi con la lista più lunga, insieme ad Austria e Olanda. Come spiega un rapporto dell’European Migration Network, per Londra i paesi sicuri sono 24, per Vienna 20 e per L’Aia ben 32. Secondo Favilli, “non c’è omogeneità. Questo perché quella sui paesi d’origine sicuri, per quanto influenzata da alcuni criteri oggettivi, è una scelta molto politica. E, in tal senso, quello turco è un caso paradigmatico”.
Nonostante la repressione della minoranza curda e del dissenso politico interno, soprattutto in seguito al fallito colpo di stato del 2016, la Turchia è oggi considerata un paese d’origine sicuro da Bulgaria, Croazia, Ungheria e Slovenia. Ma soprattutto è stata inserita in una proposta di elenco continentale formulata dalla Commissione Europea nel 2015. ECRE si è detta contraria all’iniziativa dell’esecutivo europeo, considerata “uno sviluppo preoccupante della legislazione UE in materia di asilo”. Ciò nonostante, ricostruisce Mouzourakis, “la proposta è ancora sul tavolo, inserita nel pacchetto di riforma 2016 per la quale si attende la decisione del Consiglio dell’Ue e il negoziato col Parlamento europeo”. Per Favilli, è la conferma di quanto contino le ragioni politico-diplomatiche: “Ankara è stata inserita nell’elenco UE durante le trattative per l’accordo che ha praticamente fermato i flussi della rotta balcanica. Per quanto non sia poi stata approvata, la proposta della Commissione di considerare la Turchia un paese d’origine sicuro è stata un’importante legittimazione per il governo di Erdoğan”.
La lista stilata dalla Commissione oltre alla Turchia comprende Albania, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Serbia e qualora venisse approvata, varrebbe anche per quei paesi che non hanno stilato un elenco nazionale. Secondo Favili la lista rivela un ulteriore aspetto importante nella definizione di paese d’origine sicuro: “l’importanza dei flussi”.
“Uno stato diventa sicuro se ci sono partenze significative. Altrimenti non è necessario considerarlo tale. In quest’ottica, i paesi proposti dalla Commissione sarebbero poco significativi per l’Italia che, a differenza di altri membri UE come la Germania, riceve poche richieste da cittadini degli stati balcanici scelti. Al contrario, bisognerà guardare con attenzione a quei paesi africani, come la Nigeria o la Tunisia, l’Eritrea o il Sudan, dai quali proviene una quota significativa dei migranti che arrivano sulle nostre coste”.
In copertina: scarpe di due migranti dell’accampamento informale di Porte de la Chapelle (foto: Veronica Di Benedetto Montaccini)