Il bar “La Grotta” di Ponte San Luigi è il posto ideale per godersi il sole che, al tramonto, scende dolce dietro le montagne che circondano la cittadina di Mentone. Sulla sua terrazza, anche in queste domeniche d’autunno, si riversano a decine, italiani e francesi, provenienti dai due lati del confine, per godersi questo spettacolo da una posizione unica a picco sul mare.
La frontiera è poche centinaia di metri più avanti mentre la città di Ventimiglia, nove chilometri più indietro, resta celata dalle continue rientranze di una costa frastagliata, tra strapiombi e ville affacciate sull’azzurro del mare.
Sono quasi le 19 e davanti agli avventori del bar passano alla spicciolata, uno dopo l’altro, i migranti respinti dal confine. È così fin dalla mattina.
I giovani attivisti del gruppo “Kesha Niya”, che in lingua curda significa “nessun problema”, mostrano a Open Migration i dati sui respingimenti raccolti nelle ultime settimane: sono stati 556 solo nella settimana tra il 21 e il 27 ottobre, 523 quella precedente, 1.855 nel solo mese di ottobre (in molti casi può trattarsi della stessa persone respinta più volte).
Tra loro c’è Adel, afghano, arrivato qui dopo aver percorso l’intera Rotta balcanica. “Sono a Ventimiglia da una settimana e ho già provato a passare due volte, ma non ci sono riuscito: la prima in treno e la seconda, ieri sera, camminando lungo le montagne. Sono stato preso quando ero già oltre Mentone e mi hanno riportato qui, dove ho passato più di dodici ore in uno dei container delle guardie di confine. Senza cibo e con poca acqua. È stata dura”.
Incontro Adel al piccolo presidio allestito da “Kesha Niya” a poche centinaia di metri dal confine, in territorio italiano. Con lui un gruppo di migranti, una ventina, tutti respinti nel pomeriggio di sabato 26 ottobre: c’è chi riposa, chi si fa medicare alcune ferite, chi mangia qualcosa. Molti di loro aspettano uno dei pochi bus che, alle 18, li porterà a Ventimiglia evitando così la lunga camminata a piedi.
Raccontano di aver atteso ore nei container della dogana francese prima di essere rilasciati: la polizia transalpina li definisce come un “rifugio”, ma chi c’è passato racconta un’altra storia. “È un luogo dove non dovrebbe stare nemmeno un cane”, dice uno di loro.
Per portare alla luce questa situazione e richiamare l’attenzione delle istituzioni sullo stato dei diritti dei migranti alla frontiera italo-francese il 26 e 27 ottobre è stato a Ventimiglia e Mentone il parlamentare europeo, eletto nel Regno Unito, Magid Magid. Con in testa il suo inconfondibile cappellino giallo e le “dottor Martins” ai piedi, suoi marchi di fabbrica, il politico, di origini somale, ha fatto visita al confine all’interno di un viaggio organizzato da Refugee Rights Europe, ONG con sede a Londra, impegnata nelle attività di advocacy sulla situazione dei migranti alle frontiere europee in particolare sulle Isole Greche, nell’area di Calais e alla frontiera italo-francese.
“Stando alle informazioni che abbiamo raccolto e a quanto osservato durante le nostre missioni – racconta Stephanie Pope, di Refugee Rights Europe – emerge una pratica sistematica di detenere le persone in container alla stazione di polizia di Mentone-Ponte San Luigi, spesso per venti ore o anche più (rispetto alle quattro ritenute accettabili da una sentenza del Consiglio di Stato francese). Le persone sono tenute in questi container senza alcun accenno ai loro diritti e alle tutele legali e in condizioni disumane”.
Per cercare di saperne di più Magid Magid si è presentato senza preavviso al posto di frontiera provocando, a suo dire, “un certo imbarazzo da parte degli agenti in servizio”.
“Dopo avermi negato una prima volta l’accesso ai container, che le guardie di confine hanno sempre definito con la parola ‘rifugio’ – racconta, sono stato richiamato nel pomeriggio dai funzionari di frontiera che mi invitavano a tornare alla dogana. La situazione era molto diversa rispetto alla mattina: tutti erano gentili e disponibili. Due funzionari mi hanno presentato la situazione, le prassi utilizzate, spiegando come i container nascano per ospitare i migranti durante la notte quando non è possibile effettuare le operazioni di riammissione semplificata, e hanno negato qualsiasi tipo di violazione assicurando che è garantito a tutti acqua e cibo, oltre ad un posto per dormire. A loro ho rinnovato la richiesta di poter accedere a questi spazi, ma mi è stata nuovamente negata”.
Le autorità di frontiera hanno fornito a Magid alcuni dati interessanti sui flussi lungo la direttrice Ventimiglia-Mentone: i numeri parlano di 15 mila riammissioni nel 2014, 20 mila nel 2015, 36 mila nel 2016, 41 mila nel 2017 e 28 mila nel 2018.
Al termine della due giorni al confine, dopo numerosi incontro con Ong e associazioni impegnate nell’assistenza ai migranti, gli chiedo se pensa ci siano davvero violazioni dei diritti umani alla frontiera italo-francese e lui risponde con un lapidario: “Al cento per cento”.
“Ero venuto qui per capire meglio quanto succede – racconta l’europarlamentare – perché a Bruxelles e Strasburgo si parla spesso di quanto avviene in Libia o sulle isole greche, ma mai di quanto accade in posti come questo, all’interno della stessa Ue. Ora porterò i racconti dei migranti, dei volontari delle associazioni e degli operatori delle ONG nelle istituzioni ad incominciare dalla commissione Libe (la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, ndr) di cui faccio parte perché molte persone non sanno quanto avviene qui”.
Tra i temi caldi, oggi come ieri, a Ventimiglia resta la questione dei minori stranieri non accompagnati che continuano ad essere respinti nonostante la legge apra per loro, una volta arrivati al posto di frontiera o se fermati dall’autorità, la possibilità di richiedere asilo in Francia e di essere messi immediatamente sotto tutela, indipendentemente dal fatto di essere stati o meno già identificati in Italia.
“Per quanto riguarda i minori assistiamo spesso ad un triste ping-pong tra le autorità dei due Paesi – spiega Laura Martinelli, avvocato di Asgi – perché le guardie di confine francesi tendono a respingerli, identificandoli come adulti, ma in alcuni casi, di fronte all’evidenza di ragazzi che possono avere anche tredici o quattordici anni, le autorità italiane li riportano indietro chiedendo alla Francia di farsene carico. Un rimpallo di responsabilità di cui le vittime sono proprio i minori”.
Ci sono però casi di ragazzi respinti che, con l’aiuto di avvocati, hanno fatto appello al Tribunale di Nizza riuscendo a dimostrare, grazie a documenti in loro possesso, la loro minore età. “Diverse sentenze – continua Martinelli – hanno obbligato le autorità francesi a riconoscere il loro diritto a richiedere asilo in Francia e alcuni ragazzi sono stati effettivamente presi in carico, ma nonostante questo i respingimenti di minori continuano, su base quasi quotidiana”.
Si tratta di una pratica oggi meno evidente rispetto al passato perché i numeri delle persone in transito sono decisamente più bassi rispetto ai picchi del biennio 2016 e 2017.
Eppure non è facile avere dei dati precisi sulle presenze a Ventimiglia. Per farci un’idea proviamo a confrontare due dati: il primo è quello delle presenze al campo Roja, il centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa. “Attualmente nel campo sono ospitate circa 300 persone, nulla in confronto ai cinquecento di alcuni anni fa, ma si tratta comunque di numeri in aumento: siamo ai massimi da inizio anno”, racconta Jacopo Colomba, operatore di WeWorld associazione che, in partnership, con la Diaconia valdese e la Caritas Intemelia è tra le poche organizzazioni rimaste a lavorare a Ventimiglia. Il secondo dato è proprio quello fornito dalle tre organizzazioni e parla di 80 persone assistite nel mese di settembre dallo sportello legale, presso la sede Caritas, e di 250 intercettati dall’unità di strada. “Oltre ad essere aumentati i numeri – precisa Maurizio Marmo, direttore della Caritas Intemelia – è cresciuta anche la complessità dei casi”.
Tra i migranti ci sono infatti gruppi in arrivo dalla Rotta balcanica, oggi i più numerosi – per lo più afghani, pakistani e iracheni – ma ci sono anche i migranti usciti dal sistema di accoglienza, anche a causa delle conseguenze del Decreto Salvini, quanti sono arrivati in Italia con i cosiddetti “barchini”, soprattutto algerini e tunisini, e persino alcuni con già un passato in nord Europa che, dopo essere stati rimpatriati in Italia, secondo quanto previsto dal sistema Dublino (con l’obbligo di completare la procedura di asilo nel Paese di primo arrivo), cercano di tornare dov’erano perché lì hanno lasciato un lavoro o parte della famiglia.
Indipendentemente da dove arrivino su una cosa a Ventimiglia sembrano tutti convinti: il confine continua ad essere permeabile, come presente la rete dei passatori.
Prima di lasciare Ventimiglia ci spostiamo verso il quartiere delle Gianchette, per anni uno dei luoghi simbolo dell’emergenza. Sotto il cavalcavia, dove sorgeva l’accampamento informale sgomberato nell’aprile del 2018, non c’è più nessuno e l’accesso all’area è interdetto da una recinzione. A presidiarlo le forze dell’ordine che avvertono: “Fate attenzione che c’è una famiglia di cinghiali che vive nei paraggi”.
Decidiamo di percorrere qualche metro tra le erbacce e la polvere della sabbia portata dal fiume. Tutto è deserto, anche se in lontananza scorgiamo alcune sagome di persone che si dirigono verso il ponte della ferrovia che attraversa il fiume: nelle intercapedini delle volte ci sono ancora le tracce di rifugi di fortuna.
Sui pilastri della strada alcuni disegni ricordano a tutti le migliaia di persone, senza nome, passate di qui e oggi sparse chissà dove, oltre le montagne e quel confine che spera Italia e Francia, nel cuore dell’Europa.
Immagine di copertina: un migrante, appena respinto al confine francese di Ponte San Luigi a Mentone, tiene tra le mani la cartina con le indicazioni sui luoghi in cui trovare assistenza a Ventimiglia. (Foto: Michele Luppi)