Come viene spiegato nelle pagine iniziali del rapporto “Buchi Neri. La detenzione senza reato nei Centri di Permanenza per i Rimpatri“, il ricorso alla privazione della libertà delle persone straniere prive di documenti è lo strumento normativo prediletto anche dal legislatore italiano per il controllo dei flussi migratori. Ricorrendo a questo strumento si sono ampliati: la mappa dei luoghi di privazione della libertà personale per le persone straniere senza documenti, l’estensione dei termini di durata massima della misura restrittiva e i motivi per cui l’autorità di pubblica sicurezza può farvi ricorso. I luoghi di trattenimento o detenzione amministrativa dei migranti sono principalmente dei luoghi di attesa in cui i diritti fondamentali vengono trascurati o completamente negati.
Innanzitutto, come viene evidenziato nel rapporto, bisogna tener presente che i Cpr sono gestiti da enti privati: tra il 2018 e il 2021 sono stati spesi 44 milioni di euro per la gestione da parte di privati di dieci Cpr attualmente attivi su tutto il territorio nazionale. A questi vanno aggiunti i costi relativi alla manutenzione e al personale di polizia. Una media giornaliera di spesa che equivale a 40.150 euro per detenere meno di 400 persone al giorno che, nel 50% dei casi, verranno private della propria libertà senza alcuna possibilità di essere realmente rimpatriate nel proprio Paese d’origine. Il fatto che si tratti di enti privati è una delle principali condizioni peggiorative per le persone trattenute, sia perché vi è un interesse basato sulla massimizzazione del profitto da parte di questi enti privati, sia perché, come conseguenza, l’attenzione ai bisogni delle persone trattenute è inesistente. Infatti, gli standard all’interno di questi centri, viene evidenziato nel rapporto, non rispettano, in molti casi, gli standard dettati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura.
In aggiunta, si evince dal rapporto, alle cooperative sociali che si occupano della gestione dei Cpr, si sono affiancate delle vere e proprie multinazionali, che in tutta Europa gestiscono i Centri di trattenimento o i servizi di istituti penitenziari – è il caso, ad esempio, del Cpr di Macomer gestito da Ors Italia, ossia una società, con sede a Zurigo, che gestisce Centri di accoglienza e di trattenimento dei migranti in 4 Paesi europei: Svizzera, Germania, Austria e Italia. Nel 2015, Ors è stata nominata in un rapporto di Amnesty International in cui sono state denunciate le condizioni inumane di accoglienza dei migranti nel Centro austriaco di Traiskirchen.
Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, dal rapporto si evince una completa negligenza nei confronti della valutazione dell’idoneità delle persone straniere interessate per l’accesso al Centro. Infatti, come viene evidenziato nel rapporto, il 90% degli avvocati e delle avvocate intervistate ha affermato che il più delle volte non esiste un certificato di idoneità al trattenimento nel fascicolo dell’autorità giudiziaria. E benché l’autorità giudiziaria debba, per l’appunto, verificare la sussistenza del certificato di idoneità alla vita in comunità ristretta della persona straniera, continuano a non mancare fatti gravi simili in particolare nei Cpr di Roma, Torino, Brindisi, Bari, Trapani, Caltanissetta e Potenza. Per le persone trattenute nel Cpr di Macomer, per esempio, alcuni legali hanno affermato di non aver mai riscontrato la presenza di un certificato di idoneità al trattenimento nei fascicoli dell’autorità giudiziaria.
Inoltre, rimanendo sempre in ambito legale, nel rapporto viene sottolineato che: non sempre la persona straniera interessata è presente nelle udienze di convalida e proroga del trattenimento; la durata delle udienze oscilla tra i 5 e i 10 minuti. Questi elementi critici pregiudicano il diritto alla difesa della persona interessata: alcuni legali che assistono le persone trattenute nel Cpr di Macomer hanno definito l’udienza di convalida come “un’udienza farsa” anche perché i legali possono accedere al fascicolo delle persone da loro assistite poco prima dell’udienza. In molti casi le persone straniere prive di documenti si ritrovano in un Cpr nonostante non siano nemmeno idonee al trattenimento: si ricordi, ad esempio, il suicidio di Moussa Balde, 23enne guineano, prima violentemente picchiato a Ventimiglia e poi portato nel Cpr di Torino. Le sue condizioni psico-fisiche gravi avrebbero dovuto essere un indicatore evidente della non idoneità del ragazzo al trattenimento.
In aggiunta, Balde era stato obbligato all’isolamento nell’Ospedaletto” del Cpr di Torino – poi chiuso dal Garante Nazionale perché ritenuto struttura del tutto inadeguata e priva dei requisiti essenziali per le esigenze sanitarie. Come viene spiegato nel rapporto le disposizioni in materia di Cpr non prevedono, a differenza dell’ordinamento penitenziario, il ricorso all’isolamento, ma soltanto la possibilità di collocare la persona trattenuta nei locali di “osservazione” sanitaria, in caso di presenza di elementi che possano determinare l’incompatibilità con la vita comunitaria ristretta, non emersi nel corso della certificazione di idoneità. Eppure nei Cpr il ricorso all’isolamento è pratica comune, benché sia illegittima.
Un’altra grave criticità emersa nel rapporto è l’alta percentuale di abuso nella somministrazione di psicofarmaci: l’assistenza psichiatrica nei Cpr, si legge nel rapporto, dovrebbe essere a carico del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) ma il monitoraggio dei casi psichiatrici e la somministrazione degli psicofarmaci è spesso gestita dagli psicologi e dagli infermieri incaricati dall’ente gestore. Per riportare alcuni esempi: nel Cpr di Milano, tale percentuale raggiunge – parole dell’ente gestore – l’80%. Situazione resa ancor più critica dal mancato raccordo con la Asl territoriale e, dunque, dalla totale assenza di una adeguata assistenza psichiatrica; nel Cpr di Torino, ha affermato il personale medico della struttura, “gli psicofarmaci si usano a litri” ma senza un adeguato monitoraggio, considerato che per tutto il 2020 nessuno psichiatra si è mai recato in tale struttura; nel Cpr di Roma, secondo la competente autorità sanitaria, la percentuale di trattenuti cui vengono somministrati psicofarmaci e ansiolitici raggiunge il 65-70%. L’abuso nella somministrazione di psicofarmaci che si registra nella maggior parte dei Cpr, si evince dal rapporto, è riconducibile all’assenza di un raccordo con il Ssn e alla gestione dei servizi sanitari privati, con il risultato di utilizzare l’intervento farmacologico per necessità di disciplina e sicurezza delle strutture. Infatti, all’interno dei Cpr, non mancano rivolte e proteste, per le condizioni invivibili, che vengono presto sedate e violentemente represse dalle forze dell’ordine (o con la somministrazione eccessiva di tranquillanti). Inoltre, viene evidenziato nel rapporto, dai Cpr di Milano, Trapani, Roma, Bari e Caltanissetta non è pervenuta alcuna notizia inerente all’inclusione delle persone trattenute nel piano vaccinale.
Il numero delle morti nei Cpr, viene evidenziato nel rapporto, non è mai stato così elevato come negli ultimi anni. Tra giugno 2019 e luglio 2021, oltre a Moussa Balde, altri cinque cittadini stranieri hanno perso la vita, soprattutto per la completa negligenza nei confronti dei loro bisogni. E.H., ragazzo nigeriano di vent’anni, si suicida nel Cpr di Brindisi, il 2 giugno 2019. Nonostante il Centro di Salute Mentale di Bolzano avesse attestato la sua forte instabilità psichiatrica, viene ritenuto idoneo al trattenimento; Hossain Faisal, cittadino bengalese di 32 anni, muore nell’Ospedaletto del Cpr di Torino, l’8 luglio 2019. Faisal sarebbe morto a causa di un attacco cardiaco ed era stato ritenuto idoneo al trattenimento, nonostante la sua condizione psichica precaria; Aymen Mekni, cittadino tunisino di 34 anni muore, a causa di un malore, nel CPR di Caltanissetta, il 12 gennaio 2020 – sono state riscontrate condizioni di alta insalubrità e di degrado all’interno del Centro; Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano, muore nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, il 18 gennaio 2020. Nonostante forte malessere e dolori prima della morte, era rimasto nel settore detentivo, lontano dall’area infermeria e privo di supervisione e assistenza sanitaria; Orgest Turia, ragazzo albanese di 28 anni, muore nel CPR di Gradisca d’Isonzo il 14 luglio 2020, per un’overdose di metadone, lasciando perplessità su come fosse entrato in possesso della sostanza.
Alla luce degli elementi emersi dal rapporto in questione è possibile constatare come i Cpr siano luoghi in cui non solo persone “colpevoli di viaggio” vengono private della libertà personale, ma non vengono rispettati gli standard minimi in fatto di diritti fondamentali di base. I Cpr sono dei buchi neri, appunto, “dove sono violati […] numerosi principi che costituiscono il fondamento dell’ordinamento giuridico interno e internazionale”.
In copertina: Mario Badagliacca – Letters from the CIE.