Dear Captain…
“Caro capitano, vi ringraziamo per il vostro aiuto, l’abbiamo apprezzato molto, avete mostrato solidarietà, siete i nostri eroi. Adesso abbiamo bisogno che mandiate il nostro messaggio all’Europa e alle organizzazioni umanitarie non governative: se non ci sarà una soluzione per noi in questi giorni, ci butteremo in acqua in ogni modo possibile; perché la Maersk Tankers ci ha salvati in acqua ed è diventato un crimine aver salvato le nostre vite. L’Europa non ha bisogno di noi vivi”.
Con queste poche parole, i 27 migranti di diverse nazionalità intrappolati da sei settimane sulla petroliera Maersk Etienne della compagnia danese Maersk Tankers, hanno riassunto la politica europea sui soccorsi in mare. Sulla petroliera ci sono anche una donna incinta e un minore. Le persone a bordo hanno espresso sì gratitudine, ma anche un forte disagio che ha portato poi tre di loro, la mattina del 6 settembre, a tentare il suicidio buttandosi in acqua. L’equipaggio della Etienne che il 5 agosto scorso li aveva tratti in salvo da un gommone alla deriva e portati a bordo, è prontamente intervenuto per soccorrere i tre uomini.
“Il tentato suicidio delle tre persone mostra come il trattenimento per 36 giorni in mare a bordo di una nave mercantile contribuisca ad aggravare enormemente la fragilità delle persone che decidono di attraversare il Mediterraneo, spesso provenienti da anni di violenza e torture in Libia, non dando loro accesso tempestivo alle cure di cui avrebbero bisogno” afferma Chiara Denaro, ricercatrice e attivista di Alarm Phone, i primi a ricevere una chiamata dai migranti in pericolo in mare la sera del 3 agosto, quando le persone si trovavano in zona SAR maltese. “Da allora Malta – la nave Etienne si trova infatti a 20 miglia nautiche dal porto maltese di Marsaxlokk – non ha indicato un porto sicuro dove poter far scendere i migranti” aggiunge Felix Weiss dell’organizzazione Sea Watch che racconta come l’aeroplano Moonbird abbia seguito il gommone alla deriva quel 4 agosto dopo la segnalazione di Alarm Phone. Non essendo intervenuto il Centro di Coordinamento e Soccorso di Malta (MRCC Malta), la petroliera della Maersk Tankers si è precipitata sulla barca di legno che stava per affondare.
“Nel frattempo però la barca, essendo alla deriva, era ritornata in acque libiche, ma la Maersk Tankers dopo aver salvato le persone si è subito diretta verso Malta, dichiarando che il soccorso è avvenuto in coordinamento con le competenti autorità (MRCC Malta)” afferma Weiss. “Malta risponde invece che il soccorso è avvenuto in acque libiche e che quindi debbano rivolgersi alle autorità libiche. Mi sembra un chiaro segnale di Malta per scoraggiare navi commerciali dal soccorrere persone nella sua zona SAR e parte di una più ampia politica europea per chiudere gli occhi sul Mediterraneo e i suoi crimini. Non a caso le autorità italiane da giorni impediscono all’aeroplano Moonbird di prendere il volo, l’ennesimo esempio di come testimoniare e monitorare i viaggi in mare sia scomodo”, conclude Weiss.
La Maersk Tankers ha richiesto invece nuovamente – una prima richiesta risale a qualche settimana fa – un porto di approdo alla Tunisia e un dialogo tra i due governi, danese e tunisino, sarebbe in corso, tralasciando che il paese nordafricano non può essere considerato un porto sicuro per richiedenti asilo come indicato anche da Amnesty International: “La Tunisia non può essere considerata un porto sicuro per tutte le persone, in parte perché manca un sistema legislativo per l’asilo (informativa legale e procedura nazionale) e alcuni gruppi possono essere esposti a gravi violazioni dei diritti umani se vi vengono sbarcati”. Inoltre, è documentata la detenzione illegale di stranieri nel carcere di Al-Ouardiya, nei campi vige promiscuità tra adulti e minori, e vi è rischio di espulsione in paesi terzi o rimpatrio forzato mascherato da rimpatrio volontario come documentato dal The Guardian un anno fa per dei cittadini bengalesi fatti approdare in Tunisia dopo settimane di stallo proprio su una nave mercantile. Non è chiaro perché invece la petroliera Etienne non abbia richiesto un porto sicuro all’Italia durante queste lunghe settimane. “Il capitano e l’equipaggio a bordo di Maersk Etienne hanno adempiuto alle loro responsabilità quando hanno salvato le 27 persone che erano in pericolo in mare”, dichiara Tommy Thomassen, ufficiale tecnico della Maersk Tankers, a Open Migration. “Il diritto internazionale e le convenzioni marittime impongono ai governi responsabili chiari obblighi per garantire che le persone in difficoltà vengano prontamente sbarcate. Più di un mese dopo siamo ancora in attesa di una soluzione da parte dei governi”, conclude, non facendo alcun cenno su Tunisia e Italia.
Said Omer, fratello di Osman Omer che si trova a bordo della Maersk Etienne, è un cittadino eritreo che vive in Germania dal 2014: negli ultimi 36 giorni non ha più potuto parlare con il fratello in mare. “Solo tramite una foto sono riuscito a capire che ci fosse mio fratello a bordo. Non posso parlare con lui, so solo che è vivo ma non può stare in quella petroliera: il capitano stesso ha detto in un video che non bastano cibo e acqua per i naufraghi e l’equipaggio” racconta a Open Migration al telefono, riferendosi al video di Volodymyr Yeroshkin, capitano della Maersk Etienne. “Mio fratello e gli altri compagni di viaggio devono sbarcare in un paese sicuro: che sia Malta o Italia o qualsiasi altro paese europeo che li accolga. Non di certo Tunisia o Libia, dove già hanno passato anni con la paura. Mio fratello, dopo aver attraversato la frontiera dall’Eritrea all’Etiopia e dal Sudan alla Libia il deserto, ha passato due anni interi in Libia: e ne ha solo 25”.
Il Centro Svizzero per la Difesa dei Diritti Umani (CSDM) insieme a Sea Watch, Mediterranea e Alarm Phone il 4 settembre hanno firmato un appello urgente allo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per le Torture e i Diritti dei Migranti, aggiornato il 7 settembre dopo i tentati suicidi, chiedendo di intervenire urgentemente. Anche l’UNHCR e l’OIM insieme all’ICS (International Chamber of Shipping) hanno richiesto l’urgente sbarco delle 27 persone a bordo per ribadire l’importanza del soccorso in mare ottemperando alle convenzioni internazionali. Solo Malta – e gli stati europei silenti sul caso – sembrano ignorarlo. Dalla Commissione Europea era giunta la notizia che ci si stava muovendo per trovare governi disponibili ad accogliere le 27 persone. Ma nessuna soluzione sembra vicina a chiudere la vicenda. È stato appena pubblicato un rapporto di Amnesty International sulla condotta e le tattiche illegali di Malta rispetto ai soccorsi in mare, molta della ricerca di Amnesty è basata sui casi e appelli di Alarm Phone negli ultimi mesi. “Questo caso mostra come non basti il soccorso” ricorda ancora Denaro di Alarm Phone, “c’è bisogno di assistenza medica e di supporto psicosociale. Nel mese di maggio in una delle navi per la quarantena, un giovane tunisino si è buttato in acqua e ha perso la vita. Per questo non possiamo smettere di parlare delle persone sulla Etienne: finché la soluzione non sarà trovata”.
In copertina: la nave Maersk Etienne fotografata dall’aereo da ricognizione Moonbird. (foto via Sea Watch come tutte quelle presenti nell’articolo)