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Cosa ne resta dei migranti bloccati sul confine bielorusso?

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23 febbraio 2022 - Christian Elia
Mentre il mondo è col fiato sospeso per l’acuirsi degli scontri in Ucraina, un altro aspetto delle tensioni tra Ue e blocco orientale sembra invece essere ormai dimenticato. Le centinaia di persone sul confine tra Polonia e Bielorussia restano però sospese tra violenze, respingimenti e mancanza di prospettive. Un centinaio di loro ha iniziato uno sciopero della fame nel centro che li ospita a Wędrzyn, ce lo racconta Christian Elia.

Ancora il centro per migranti di Wędrzyn, ancora uno sciopero della fame. Si tratta di almeno cento persone, quasi tutti iracheni, rinchiusi da mesi senza alcuna prospettiva nell’ex base militare in Polonia.

Queste vite sospese, e rinchiuse, arrivano dal confine con la Bielorussia. Sono ancora alcune delle persone, delle quali non parla più nessuno, che sono arrivate durante la crisi dei migranti tra Minsk e Varsavia.

La storia, almeno per un po’, ha goduto dell’attenzione dei media, anche perché – per certi versi – si tratta di un altro aspetto delle tensioni tra la sfera d’influenza russa e l’Ue. Dopo le proteste represse brutalmente in Bielorussia contro l’ennesima elezione di Aljaksandr Lukašėnka, al potere dal 1994, alla presidenza della repubblica ex sovietica, nell’agosto 2020, l’Ue ha deciso di adottare pesanti sanzioni contro il governo di Minsk.

Il regime bielorusso non ha gradito e mesi dopo, secondo alcune fonti dell’opposizione in Bielorussia,  avrebbe deliberatamente permesso – se non addirittura sovvenzionato, come riporta la stampa polacca -a centinaia di persone di andare al posto di confine con la Polonia dopo essere arrivati in aereo a Minsk da Baghdad, con un pacchetto che non prevedeva visti.

La Polonia ha blindato il confine, mandando l’esercito e militarizzando la zona, mentre i migranti e i richiedenti asilo restavano nella terra di nessuno tra i due paesi, anche nel mezzo della foresta, al gelo. 

A settembre dello scorso anno, i corpi senza vita di tre uomini, ritenuti cittadini iracheni, sono stati trovati sul lato polacco del confine tra Polonia e Bielorussia, mentre le autorità bielorusse hanno annunciato che una donna irachena è stata trovata morta a un metro dal confine. La causa di morte è stata uguale per tutti: ipotermia.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, all’epoca, affermò che era stata aperta un’indagine per approfondire le cause della morte di queste persone e i possibili collegamenti tra questi “eventi drammatici e le provocazioni bielorusse”, non perdendo, neanche di fronte alla morte l’occasione di ribadire la posizione polacca.

Perché il punto, al di là di quello che fa il regime di Lukašėnka, è il comportamento dell’Europa. Di un regime illiberale, in quanto tale, non stupisce alcun comportamento, anche la barbara strumentalizzazione delle vite e della morte di persone innocenti attratte nel loro progetto migratorio dall’assenza di visto per arrivare a Minsk.

Ma l’Ue? La civilissima Ue? Reagisce a questa provocazione, in ritorsione alle sanzioni, blindando il confine, sostenendo la Polonia nella sua strategia di chiusura, anzi rendendosi disponibile a sostenere le spese del muro che Varsavia ha iniziato a costruire a gennaio 2021 per una lunghezza prevista di 186 km, pari a quasi metà della lunghezza totale della frontiera; una recinzione metallica di un’altezza di cinque metri e mezzo ed equipaggiata con telecamere e rilevatori di movimento. I lavori, dal costo stimato di 353 milioni di euro, dovevano essere completati entro il 2021, ma non sono ancora finiti.

Lo sciopero della fame dei detenuti di Wędrzyn ha riacceso, seppur solo localmente, l’attenzione sulla sorte di queste persone bloccate in un limbo dalla politica internazionale, che da un lato punta sull’ossessione europea per i migranti per fare pressione e dall’altro continua a nutrirsi di muri e filo spinato per raccogliere voti e consensi.

Il centro di Wędrzyn, come riporta la stampa locale, è stato ispezionato dalla vicecommissaria polacca per i diritti umani Hanna Machińska nel 2021 e anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović e dal suo team nel novembre 2021. 

I  risultati dei loro sopralluoghi sono stati pubblicati alla fine di gennaio 2022 ed entrambi gli organismi hanno rilevato come le condizioni di Wędrzyn e di altri centri di detenzione in Polonia fossero “inaccettabili” e “non soddisfacessero gli standard delle garanzie fondamentali che prevengono trattamenti disumani e degradanti”.

Secondo i dati disponibili, sono più di 1.500 i migranti che si trovano in centri di detenzione vicino al confine polacco con la Bielorussia o in altri centri. Wędrzyn viene ritenuto il peggiore: 600 richiedenti asilo, fino a 24 in una stanza, con due metri cubi di spazio per persona. E per finire un accesso limitato all’assistenza medica.

La vice commissaria Machińska, intervistata dall’Eu Observer, aveva affermato che “è importante sensibilizzare sulle condizioni in questi centri e convincere la Polonia a revocare il divieto ai giornalisti e ai gruppi che si battono per il rispetto dei diritti umani di entrare nella zona di confine dove si trovano molti di questi centri”.

Secondo il progetto UN Migration Agency Missing Migrants project, 21 persone sono morte ai confini tra l’UE e la Bielorussia dall’inizio del 2021. Per sette persone, le cause della morte sono state registrate come “sconosciute”. Per sei delle vittime si è registrata malattia o mancanza di accesso a un’assistenza sanitaria adeguata. Infine per cinque vittime, si è registrata la morte a causa di “condizioni ambientali difficili/mancanza di un riparo adeguato, cibo e acqua”, mentre due sono morte per “violenza” e una persona è annegata. Tre dei morti erano bambini, come appurato dell’OIM.

Un rapporto del Consiglio d’Europa ha condannato anche la “mancanza di trasparenza e controllo pubblico” da parte delle autorità polacche che circondano il centro. Le autorità polacche sono state anche criticate dai commissari per i diritti umani per aver creato un clima di “molestie e intimidazioni nei confronti di organizzazioni e persone, compresi i residenti locali, che forniscono assistenza umanitaria e legale ai migranti vicino al confine”.

Molti ricorderanno il movimento spontaneo delle cosiddette ‘lanterne verdi’, luci lasciate accese nel bosco da donne e uomini solidali che così facendo indicavano ai migranti smarriti la strada verso un pasto caldo, un letto o una coperta.

Alcune tra queste persone hanno affermato di essere state intimidite dai membri della Guardia di frontiera polacca anche al di fuori delle zone di esclusione. La stessa vice commissaria Machińska ha detto di “essere stata testimone delle molestie verbali di attivisti volontari da parte di membri della Guardia di frontiera”.

Il rapporto concludeva ribadendo che in Polonia “esiste una chiara pratica di respingimento dei migranti e richiedenti asilo in Bielorussia, indipendentemente dalla loro situazione individuale e in particolare indipendentemente dal fatto che possano aver diritto alla protezione”. Ma il rapporto non dice che tutto questo è possibile grazie al silenzio – assenso dell’Unione Europea.

 

In copertina: Situation at the Poland-Belarus border. Irek Dorozanski / DWOT via Flickr. (CC BY-NC-ND 2.0)

Etichettato con:Bielorussia, esternalizzazione frontiere, Polonia, tensioni, Unione Europea

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