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Homepage >> Approfondimento >> Cova da Moura – L’anima creola d’Europa

Cova da Moura – L’anima creola d’Europa

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25 maggio 2020 - Yarin Trotta del Vecchio
Cova da Moura è un’area di venti ettari situata nella periferia nord di Lisbona. Una collina scoscesa in cui, dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Portogallo, cominciarono a stanziarsi i primi immigrati capoverdiani che arrivarono dall’arcipelago africano. Ma le caratteristiche del quartiere e la resilienza degli abitanti hanno reso Cova da Moura molto di più di un quartiere. Yarin Trotta del Vecchio ci porta a conoscere la "nazione" Cova.

A partire dai primi anni sessanta consistenti flussi migratori provenienti soprattutto dalle ex-colonie hanno interessato molti stati europei, arrivando a rendere l’attuale contesto demografico dell’Unione Europea sempre più caratterizzato dalla presenza di cittadini extracomunitari.

Cova da Moura è un’area di venti ettari situata nella periferia nord di Lisbona. Una collina scoscesa in cui, dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Portogallo, cominciarono a stanziarsi i primi immigrati capoverdiani che arrivarono dall’arcipelago africano.

Così come i vicoli dai colori vivaci spiccano tra il grigiume dei mastodontici palazzi dell’hinterland di Lisbona, questo quartiere rappresenta una realtà unica nel contesto migratorio europeo: ad oggi l’80% dei circa 6.000 abitanti è di origine capoverdiana. Cova è una nazione straniera all’interno dello stato portoghese.

Tuttavia le complicate dinamiche sociali, le frequenti dispute tra gangs degli anni 2000 e il consistente spaccio di droghe hanno fatto sì che il nome di Cova da Moura sia diventato sinonimo di violenza e precarietà sociale, generando una progressiva ghettizzazione della comunità. Paura e diffidenza tengono lontani la maggior parte dei cittadini della capitale dalla zona che, all’apparenza, rappresenta un ennesimo ed anonimo limbo di periferia. Oltre la facciata, però, è possibile scorgere un lato meno conosciuto, un prezioso tesoro tramandato da generazione in generazione.

Nel 1975, anno in cui Capo Verde raggiunse l’indipendenza, l’economia del neo Paese africano era messa in ginocchio dalle ripercussioni delle siccità che martoriarono l’arcipelago durante la prima metà del ventunesimo secolo. Tra queste, la terribile “seca” del ’41 – ’43 arrivò a mietere oltre 38 mila vittime.

Miseria, malattie e carestie furono i principali motivi che spinsero i primi uomini capoverdiani a partire alla volta della capitale portoghese e a lasciare tutto nell’amata terra d’oltremare. Tutto tranne una cosa, che spesso rappresenta l’unico ed inseparabile bagaglio del migrante: la propria identità culturale.

Le prime case cominciarono ad essere costruite in uno stile architettonico estremamente diverso dal resto dell’aera circostante. Gli edifici di Cova, al contrario dei palazzi di più piani tipici dell’edilizia popolare, si sviluppano al massimo su quattro livelli e sono caratterizzati da colori caldi che richiamano lo stile coloniale.

La condizione di abusivismo delle strutture, però, portò nel 2006 il governo portoghese a includere l’aera in un piano nazionale di riqualificazione per quartieri critici. 

Se negli ultimi anni molte tra queste zone sono state rase al suolo, tra cui il vicino Bairro 6 de Maio, la mono-etnicità di Cova da Moura ha generato una grande unione tra gli abitanti, fondamentale per evitare i ripetuti tentativi di sgombero dell’area. 

Foto di Yarin Trotta del Vecchio

Secondo la legge vigente, gli stranieri nati sul territorio lusitano hanno diritto alla nazionalità portoghese solo se uno dei genitori è residente da almeno 5 anni in Portogallo o nel caso questi ultimi siano stranieri nati sul suolo portoghese. Questo inquadramento legislativo misto tra ius solis e ius sanguinis ha fatto si che si creasse una prima generazione nata in Portogallo ma di cittadinanza capoverdiana.

Una tale dinamica  ha rinforzato ancora di più il senso di appartenenza della comunità di Cova alla propria terra di origine.

Danze africane accompagnano le numerose feste, tra le quali Kola San Jon, tipica dell’isole Santo Antão, São Vicente e São Nicolau, che nel 2013 ha ricevuto il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale portoghese.

Morna e Funanà risuonano nei bar della zona est, il rap kriolo rimbomba nella Rua Principal.

La cultura hip hop ha sempre caratterizzato la vita dei ragazzi di Cova, trovando il suo culmine proprio nella corrente del rap kriolo, simbolo dell’appartenenza linguistica e culturale alla patria capoverdiana. Attraverso questo genere di musica i giovani del quartiere raccontano la quotidianità della vita di strada: storie di amicizia e comunità, ma anche di violenza e discriminazione.

“Non vogliamo più oppressione da parte della polizia” recita la scritta al lato sinistro di un murale ritraente un poliziotto intento a perquisire un uomo. Molti sono stati gli episodi di razzismo della polizia nei confronti degli abitanti della zona: nel Maggio del 2019 il Tribunale di Sintra ha condannato otto agenti per violenza perpetrata su sei ragazzi del quartiere.

In ambito di assistenza sociale, fondamentale è il lavoro svolto dall’associazione Moinho da Juventude, fondata nel 1984 da Eduardo Fontes con l’obiettivo di riqualificare Cova da Moura e che attualmente porta avanti attività quali supporto agli anziani e istruzione pre-scolastica. A Cova da Moura il tasso di natalità e di fecondità sono molto alti con una media di circa 4 bambini per famiglia, dati in netta controtendenza rispetto alla media dei paesi europei.

La storia di Cova da Moura è l’esempio di come l’estremo attaccamento alle proprie radici di un popolo straniero ed immigrato si sia tramutato nella specchio della terra d’origine diventando espressione della propria identità culturale. Cova è nazione.

 

In copertina un immagine del quartiere. Foto di Yarin Trotta del Vecchio.

Etichettato con:Capo Verde, colonialismo, Cova da Moura, Creoli, Lisbona, Portogallo

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