Una strada che sembra non finire mai. Si srotola, villaggio dopo villaggio, come un fiume. Attorno solo campagna, piana, a perdita d’occhio. Allo stesso tempo un posto dove sarebbe impossibile passare senza essere visti, se solo ci fosse qualcuno per vederti.
Confine tra la Romania e la Serbia: dalla cittadina rumena di Jimbolia, per arrivare al villaggio serbo di Srpska Crnja, ci sono una manciata di chilometri, qualche cartello e poche centinaio di euro di differenza tra i salari. E una grande coda di camion in attesa. Un poster stropicciato, dal lato rumeno, offre le indicazioni per chiedere asilo. Non saranno molti quelli che passano a piedi, da questa zona, per il confine. Per tutto il resto, invece, pare di si.
“Per la Romania il confine serbo è il punto d’ingresso per la maggior parte delle persone che vengono a chiedere asilo. I numeri sembrano essere più alti quest’anno rispetto all’anno scorso.”
Oana Talos lavora per la International Organization of Migration (Iom), da sempre si occupa di marginalità sociale in Romania, conosce tutte le zone d’ombra del suo paese. “Almeno stando ai dati della polizia di frontiera rumena, che ogni giorno pubblica aggiornamenti su chi hanno “catturato” e così via. Come tendenza nazionale, quest’anno, stiamo assistendo a un aumento di persone provenienti dall’area del Maghreb, oltre ai normali gruppi siriani, iraniani o iracheni.”
Un po’ di persone passano a piedi, altri in bicicletta. Dall’altra parte, Srpska Crnja celebra il suo poeta locale, con una gigantografia fuori scala. E una targa, che ricorda le migrazioni interne della ex-Jugoslavia, celebrando la ‘fratellanza’ tra i locali e quelli spostati dal resto del paese in ondate successive. Dalla parte rumena, una grande stele ricorda invece le deportazioni dei conflitti mondiali. Migrazioni, fughe, spostamenti di popolazione. La storia che si ripete.
Le macchine sono nuove di pacca. Grossi suv, dono dell’Unione Europea, sia per la polizia di un versante che dell’altro. Nel mezzo, la pubblicità della ciclabile che ha sostituito la vecchia Cortina di ferro. Secondo i dati di Frontex, dopo il completamento della recinzione costruita dall’Ungheria, i passaggi illegali del confine tra Serbia e Romania sono cresciuti di dieci volte rispetto passato.
Bucarest ha compiuto sforzi per scoraggiarli; a dicembre 2016, una campagna pubblicitaria nazionale con immagini sgranate di migranti che attraversano a piedi in Romania ha invitato i locali ad avvisare la polizia qualora individuassero migranti nell’area di confine.
“La questione dei migranti non è un argomento centrale nell’agenda rumena. Ci sono alcuni gruppi che, come in molti altri paesi, temono l'”islamizzazione” della Romania ed esprimono altri tipi di atteggiamenti xenofobi, ma non è un fenomeno ampio. Da un punto di vista personale penso che non esiste un problema, la maggior parte dei migranti che entrano in Romania, in realtà, non hanno questo luogo come destinazione finale. È più un luogo di transito verso l’Europa occidentale. Parlare di numeri è sempre difficile, sia per lo scarso interesse a lavorare bene sui dati, sia perché sono molto labili. Quello che posso dire, in generale, è una settimana, come quella appena conclusa: abbiamo ricevuto 122 richieste di asilo, di cui 10 hanno ricevuto una forma di protezione e 45 sono già state respinte. Non sono e non sono mai stati numeri significativi”, spiega Oana.
E ancora: “Non direi che ci sia un clima ostile, non ancora almeno, perché la maggior parte delle persone non si trova realmente di fronte a problemi di migrazione nel paese. Ma credo che potrebbe facilmente diventare ostile se ci trovassimo di fronte a un maggior numero di persone. Soprattutto le persone provenienti dal Medio Oriente sono considerate da alcuni rumeni con i tipici stereotipi che si sentono nei media. Ad esempio, i rifugiati di origine araba hanno spesso difficoltà ad affittare appartamenti, poiché i proprietari si rifiutano di affittare a questo gruppo, per vari motivi legati agli stereotipi. Non si tratta quindi di un’ostilità aperta, ma ne sono presenti tracce e hanno il potenziale pericoloso per aumentare.”
Dall’altra parte, in Serbia, un piccolo ristorante per i camionisti e una specie di duty free, dove si passa a comprare sigarette e altri generi meno costosi. Una piccolo cabotaggio di provincia, con un signore di mezza età che, pigramente spingendo sui pedali della sua bici, ha fatto il pieno di patatine e birra. Sembra un luogo abbandonato, vecchie memorie socialiste, cooperative agricole. E un confine come il file d’erba in mezzo a un oceano.
La più attiva tra le associazioni che opera a Belgrado, dove arriva la maggior parte dei migranti in transito in Serbia, è InfoPark. Stevan, uno dei responsabili, conferma un flusso in aumento dalla Romania. “Sai a loro non interessa: devono raggiungere il numero di ‘verifiche’ che chiede la Ue per ottenere i fondi, raggiunto quel numero, passano tutti. E alcuni di loro ci raccontano anche di piccoli abusi, telefoni distrutti, soldi trattenuti.”
“La Romania, seppur in maniera meno visibile di altri paesi – per un fattore numerico – non va per il sottile: secondo l’Unhcr, nel 2019 sono stati registrati 317 respingimenti illegali verso la Serbia dalla Romania, procedure che hanno coinvolto 1.857 persone.” Nikola Kovacevic, esperto di politiche di asilo internazionale del Belgrad Centre for Human Rights, parte dai numeri. E la situazione, rispetto al confine con la Romania, è più preoccupante di alcuni mesi fa. “I numeri di arrivi stanno crescendo, in un senso – dalla Serbia alla Romania – e nell’altro, per i respingimenti, come dicevo, e per il tentativo di passare dalla Serbia per andare in Croazia o in Slovenia, perché di base in Romania queste persone non vogliono starci. E qui in Serbia la situazione è difficile.Dall’entrata in vigore della legge sull’asilo nel 2008, l’Ufficio preposto ha emesso 110 decisioni di concessione dell’asilo a 156 persone e la Commissione per l’asilo ha emesso 3 decisioni di concessione dell’asilo. Nel 2019, l’Ufficio per l’asilo ha emesso 90 decisioni riguardanti 122 richiedenti asilo. Di queste, 54 erano decisioni di rigetto di una domanda d’asilo nel merito (60%), decisioni di rigetto della domanda d’asilo sulla base del concetto di Paese terzo sicuro (9%) e 26 decisioni di concessione dell’asilo (29%), 13 protezioni sussidiarie (14%) e 13 status di rifugiato (14%). Questi numeri sono bassi, perché le persone non vogliono essere qui. Differente la situazione nei campi di transito, che sono lontani dai centri abitati, isolati, e le persone non ci vogliono stare anche perché non hanno mezzi per il trasporto.”
Secondo la legge, in Serbia, esistono dei centri dove essere alloggiati e aspettare il risultato della domanda di asilo, se presentata qui, o la risposta di altri paesi per un ricongiungimento familiare, o quella di asilo altrove. Ma come sono questi centri. Kovacevic ha le idee chiare: “I centri di accoglienza di Adaševci e Šid sono costituiti principalmente da enormi tende in cui sono alloggiate diverse decine di persone. Dormono sui letti a castello allineati uno accanto all’altro, privati di ogni spazio personale e privacy. Il tasso di sovraffollamento ad Adaševci è almeno del 200%, l’igiene è estremamente problematica, così come la sicurezza. Molte persone che cercano di attraversare il confine con la Croazia sono costretti a rimanere in queste condizioni senza uno status giuridico adeguato. I casi di violenza e di furto sono stati segnalati durante tutto l’anno ed è evidente la presenza di gruppi di contrabbando organizzati nei campi. Una conclusione analoga può essere tratta in relazione ai centri di accoglienza di Obrenovac e Bujanovac.”
Quanto ha peggiorato la situazione l’arrivo dell’allarme pandemia? “In questo momento – anche prima della situazione di emergenza del Covid-19 – il numero di rifugiati e migranti nella zona di Savamala era piuttosto basso rispetto al 2016 o al 2017. Tuttavia, alcune ONG hanno raccolte testimonianze, molti dormivano sotto il ponte di Branko. Oggi, tutti i migranti sono arbitrariamente privati della libertà nei centri di asilo e di accoglienza, una chiusura 24 ore su 24. Prima dell’isolamento, la situazione nei centri di asilo era soddisfacente, tranne che a Krnjača, dove era evidente la presenza di gruppi di contrabbando organizzati e la mancanza di sicurezza.
In generale, si può tranquillamente affermare che la stragrande maggioranza dei centri di accoglienza non ha condizioni di vita adeguate a causa della loro natura e della loro finalità. In particolare, i Centri di accoglienza sono stati istituiti e progettati durante l’afflusso massiccio di rifugiati del 2015/2016, con l’obiettivo di fornire un soggiorno di breve durata (diversi giorni). Tuttavia, quando le politiche di confine dei Paesi vicini sono cambiate e il tempo di permanenza in Serbia è passato da diversi giorni ad almeno sei mesi, le condizioni di vita nei centri di accoglienza sono peggiorate. Per questo motivo, si può tranquillamente presumere che le condizioni di vita nella maggior parte dei centri siano inadeguate: sovraffollamento, scarsa igiene, mancanza di privacy e sicurezza, scarsa igiene e mancanza di servizi psico-sociali di base.”, conclude Kovacevic.
In copertina: Romania, posto di confine con al Serbia nei pressi di Jimbolia (Foto di Christian Elia come tutte quelle presenti nell’articolo)