1. Cos’è il Daca
Daca sta per Deferred Action for Childhood Arrivals, e indica il provvedimento esecutivo del presidente Obama con cui, a partire dal 2012, i giovani giunti irregolarmente coi genitori negli Stati Uniti da minorenni hanno avuto accesso a uno status di immigrato regolare. Quando venne implementato, il Daca andava a coprire le funzioni del cosiddetto Dream Act, una legge di sanatoria della cittadinanza che il Congresso non è mai riuscito ad approvare (da cui il soprannome di Dreamers dato ai beneficiari).
Per un presidente, gli ordini esecutivi hanno il vantaggio di non aver bisogno del Congresso, ma l’altra faccia della medaglia è che possono essere facilmente rovesciati dal presidente successivo, e così ha fatto Trump, annullando con un forte gesto politico uno dei vanti del suo predecessore.
2. Chi sono i Dreamers
Avevano diritto ad accedere al Daca, previo rinnovo ogni due anni, tutti coloro che nel 2012 avevano meno di 31 anni ed erano arrivati negli Stati Uniti da minori di 16. Fino al 5 settembre di quest’anno, la misura proteggeva circa 800.000 figli di immigrati irregolari, i cosiddetti Dreamers, ai quali, dopo uno screening di sicurezza, permetteva così di restare vicini ai parenti, studiare, lavorare, godere della copertura sanitaria e prestare servizio nell’esercito senza timore di essere espulsi; questo permetteva loro di partecipare alla vita civile e sociale senza nascondersi dalla polizia, e di fatto sanciva la loro non pericolosità. Per molti, arrivati da bambini, non esiste altra patria che gli Stati Uniti. In grandissima maggioranza, i Dreamers sono di origine messicana (618 mila), seguiti in percentuali molto minori da salvadoregni, guatemaltechi e honduregni.
3. Da dove viene l’attacco al Dace
Il tentativo di smontare il Daca arriva dopo diversi atti di sfida di Trump al principio di accoglienza americano, atti che evidentemente prendono di mira minoranze non bianche o non cristiane – dall’Ordine esecutivo 13769, detto “Muslim Ban”, all’inizio dell’anno (tuttora in discussione nei tribunali) fino alla grazia concessa alla fine di agosto allo sceriffo dell’Arizona Joe Arpaio, che così eviterà il carcere al quale era stato condannato per aver praticato la profilazione razziale nell’ambito della sua linea dura contro gli immigrati. Trump sostiene di voler ripristinare la legalità, mettendo quindi fine alla pratiche di tolleranza bi-partisan invalse negli Stati Uniti.
4. Le città santuario e il Texas alluvionato
È interessante che pochi giorni prima che Trump decretasse la fine del Daca, il giudice federale texano Orlando L. Garcia, forse colpito dal grande sforzo di solidarietà a cui si è assistito in Texas durante l’alluvione Harvey, abbia temporaneamente bloccato la Senate Bill 4 finché non verrà risolta la contesa giudiziaria che la riguarda. Si tratta di una legge che impone anche alle cosiddette “città santuario” l’applicazione rigorosa della legge contro l’immigrazione irregolare: controlli a tappeto ed espulsioni. Caposaldo dell’integrazione negli Stati Uniti, le città santuario hanno una prassi di tolleranza nei confronti degli immigrati regolari nello stesso spirito del Daca, soprattutto per poter così destinare le risorse del contrasto all’immigrazione irregolare ai soli casi di criminalità. E sono state proprio le città santuario – Houston, Austin, Dallas e San Antonio, tutte amministrate da Democratici – ad aprire una battaglia legale contro la Senate Bill 4.
5. Le reazioni di Democratici e Repubblicani, aziende e studenti
La reazione più importante è stata naturalmente quella di Barack Obama, creatore del Daca, che ha spiegato quale fosse il presupposto del suo provvedimento: “non aveva senso espellere giovani patriottici, motivati e pieni di talento solo per via delle azioni dei loro genitori, e la mia amministrazione ha agito per sollevare questi giovani dall’ombra della deportazione, perché potessero contribuire alle nostre comunità e al nostro paese […]prendere di mira questi giovani è sbagliato […]e crudele”. Per Obama, la decisione di Trump “è un gesto che la legge non richiede affatto, ma piuttosto una decisione politica, e una questione morale”, e poiché Trump ha rimandato il destino dei Dreamers a una più ampia legislazione affidata al Congresso, auspica che il Congresso stavolta se ne faccia carico.
Amazing. Denver students are walking out of class in protest of the Trump administration's #DACA announcement. #DefendDREAMers
Video: @KDVR pic.twitter.com/YGkdAE7RTP
— Women's March (@womensmarch) September 5, 2017
In realtà, a impedire a suo tempo l’approvazione del Dream Act, di cui il Daca era un sostituto improvvisato, non era stata solo l’opposizione dei Repubblicani, ma anche le divisioni fra i Democratici. In entrambi i partiti ci sono posizioni assai diverse, e molti membri repubblicani del Congresso, John McCain in testa, sono a favore del Dream Act e hanno invitato ad approvarlo in risposta alla mossa di Trump contro il Daca. Qui trovate una panoramica di reazioni della stampa conservatrice, da The Federalist a Breitbart, mentre il Washington Post e il New York Times hanno parlato di una decisione immorale e crudele, e i procuratori delle due rispettive città hanno già annunciato che sfideranno la decisione in tribunale. Fortemente contrari alla decisione di Trump anche l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg e molti leader delle aziende americane – la sola Microsoft ha 39 Dreamers fra i propri dipendenti, e ha chiesto che vengano tutelati. Ma gli avvocati stanno consigliando alle aziende di rassegnarsi, perché il Congresso non riuscirà ad approvare una legge che faccia le veci del Daca.
E mentre da Londra lo scrittore John Le Carrè invita a guardarsi da quello che a lui ricorda gli albori del fascismo negli anni Trenta, vale davvero la pena di leggere la riflessione dello studioso Roger Ekirch su come la Casa Bianca stia minando una delle basi filosofiche dei fondatori americani: il principio stesso dell’asilo.
Intanto, i Dreamers sono in tante scuole e università, e i primi a reagire alla notizia della fine del Daca sono stati gli studenti delle scuole di Denver, che hanno lasciato le lezioni per manifestare all’aperto. A New York, dove i Dreamers sono circa 30 mila, sono partite subito delle manifestazioni di protesta dalla Trump Tower, dove c’è stato anche qualche arresto, e a Washington si è svolto un corteo.
Cosa succederà adesso?
Dal punto di vista pratico, il Daca scadrà il 5 marzo dell’anno prossimo, e da quel momento il Congresso avrà sei mesi di tempo per trovare una soluzione alternativa (una mediazione, questa, fra consiglieri di Trump con opinioni divergenti sul tema). Nel frattempo, già a partire dal 5 settembre scorso non vengono accettate nuove richieste, e chi ha il permesso in scadenza deve fare la richiesta di rinnovo entro il 5 ottobre o non potrà più richiederlo. Sulla carta, fra il 2018 e il 2020 tutti gli attuali Dreamers perderanno gradualmente i loro attuali diritti, inclusa la tutela sanitaria agganciata al posto di lavoro.
Trump ha ribadito in varie occasioni di nutrire “un grande amore” per i Dreamers, che non devono preoccuparsi, e dice di aver chiesto al Department of Homeland Security (Dhs) – il nostro Ministero dell’Interno – di non avere come priorità la loro espulsione a meno che non siano criminali o membri di una gang (cosa che lo screening del Daca serviva già ad escludere). Il Dhs ha cercato di rispondere ai quesiti più urgenti con questo Q&A. La risposta più inquietante è quella che spiega cosa ne sarà dei Dreamers il cui permesso è scaduto: “la legge attuale non garantisce alcuno status legale alla classe di individui attualmente beneficiari del Daca”. Alla CNN un portavoce del Dhs ha detto: “Certo, noi saremmo per incoraggiare le persone che si trovano nel paese illegalmente a partire volontariamente”.
Intanto però, secondo un sondaggio di Politico/Morning Poll – molto discusso perché riflette un forte calo di popolarità di Trump fra chi lo aveva votato – “l’84 per cento dei Democratici, il 74 per cento degli Indipendenti e il 69 per cento dei Repubblicani pensa che i Dreamers dovrebbero poter restare negli Stati Uniti”. E i procuratori generali di quindici stati americani hanno annunciato una causa legale contro la decisione di Trump.
In copertina: manifestazione per la difesa del Daca a Los Angeles, 5 settembre 2017 (foto: Molly Adams CC BY 2.0)