Saper programmare e conoscere i linguaggi software può essere uno strumento molto potente per un rifugiato che cerca di cominciare una nuova vita in un paese in cui ha fatto richiesta di asilo. HackYourFuture è un’organizzazione nata ad Amsterdam che ha deciso di usare proprio il codice come volano per l’integrazione, aprendo una scuola di programmazione ai rifugiati arrivati in Olanda. L’organizzazione, oltre alle competenze tecniche che insegna, offre anche assistenza nel percorso di ricerca di un’occupazione e di inserimento nel mercato del lavoro.
“Quando molte persone fanno richiesta di asilo, devono aspettare fino a 18 mesi in un campo in attesa di una risposta”, ha scritto in un post su Medium Gijs Corstens, fondatore e Managing Director di HackYourFuture, spiegando l’dea alla base del progetto. HackYourFuture vuole far fruttare il tempo a disposizione dei rifugiati rendendolo un’occasione di apprendimento di competenze su cui costruire un nuovo progetto di vita. HackYourFuture è ora presente in tre città, Amsterdam, Copenhagen e Malmö (e quindi tre paesi, Olanda, Danimarca e Svezia) e insegna continuativamente linguaggi come JavaScript, Html, Css, Node, Angular, Express o MySQL/MongoDB. HackYourFuture, però, non punta solo sulla formazione tecnica, ma aiuta i suoi studenti anche nel momento in cui si tratta di mettere le competenze acquisite al servizio di una nuova carriera professionale.
Gli obiettivi di HackYourFuture
“Il nostro obiettivo è far trovare ai rifugiati un lavoro come programmatori, non insegnare loro un po’ di coding e poi salutarli poco dopo”, ci spiega Gijs Corstens. “Il lavoro è l’obiettivo, il coding lo strumento. Aiutiamo le persone a rimettersi in piedi trovando un’occupazione e recuperando l’indipendenza”. In due anni, secondo Corstens, HackYourFuture ha fatto registrare risultati interessanti, a testimonianza di come il suo modello sia efficiente anche nell’aiutare gli studenti a “vendersi” nei mercati dei paesi in cui opera: in 24 mesi, 50 studenti iscritti ai suoi corsi avrebbero già trovato un posto di lavoro in Olanda, una cifra che equivale al 95 per cento dei partecipanti, conferma Corstens. Sono numeri importanti per un progetto partito con 200 mila euro e il contributo di un network di 100 programmatori volontari che offrono il loro tempo per le docenze principalmente nei fine settimana e in remoto tra una lezione e l’altra. HackYourFuture fornisce anche un laptop a ognuno dei suoi studenti e i biglietti del treno per raggiungere i luoghi dove si tengono le lezioni.
La scelta di HackYourFuture di insegnare ai rifugiati a programmare è anche strategica, non solo frutto del background dei suoi fondatori, e vuole essere trampolino di lancio per le nuove vite degli studenti: “c’è una richiesta piuttosto alta di sviluppatori e questo fa sì che per i rifugiati sia più probabile essere assunti se hanno queste competenze”, spiega Gijs Corstens, che aggiunge: “il lavoro, fondamentalmente, è un passo importante per l’inclusione; senza lavoro c’è poca interazione con le altre persone e con la società. Il mondo del software, poi, è molto internazionale e le aziende con molti programmatori sono spesso più avvezze alle differenze culturali. Questo crea condizioni positive per i rifugiati che devono anche abituarsi a un nuovo ambiente di lavoro”.
Le storie degli allievi
Fra le storie dei 50 studenti ora diventati programmatori professionisti a tutti gli effetti ce ne sono almeno due che spiegano bene la filosofia di HackYourFuture e gli obiettivi che sta raggiungendo. La prima è quella di Hasan, rifugiato siriano che ha lasciato il suo paese di origine ancora adolescente, e che ora ha iniziato una nuova vita come sviluppatore. “Hasan ha lasciato la Siria tre anni fa quando era diciassettenne e prima di finire le scuole superiori”, racconta Corstens, “dopo aver lavorato per un anno come sarto in Turchia per prendersi cura della madre e del fratello minore, Hasan è arrivato in Olanda. Molti pensavano che al ragazzo sarebbero serviti ancora molti anni di formazione e che sarebbe stato un successo se avesse ottenuto un lavoro con competenze medie. Hasan, però, era incredibilmente motivato per la programmazione, e dopo il nostro corso ha ottenuto subito uno stage, semplicemente perché era diventato un programmatore molto bravo. Non sono per niente preoccupato per la sua carriera, perché ha competenze che al momento sono molto richieste sul mercato”.
Anche la storia di Sarea è simile, ci racconta il fondatore di HackYourFuture, un’altra vicenda di riscatto resa possibile dal coding: ”quando ha iniziato, il suo inglese era davvero terribile e aveva competenze molto limitate sulla programmazione per il web, ma anche lui era molto motivato dall’idea di imparare a programmare. Ha insistito molto sia sull’inglese che sul coding e ora ha un lavoro a tempo pieno presso una grande azienda. Il suo inglese è molto migliorato e riesce a prendersi cura di sé e della sua famiglia”.
Come riprendere il lavoro interrotto dalla migrazione
Nonostante quella di HackYourFuture sia a tutti gli effetti una scuola di coding, quello che imparano gli studenti frequentandola va oltre le competenze informatiche: “la capacità più importante che le persone possono ottenere dal nostro corso è il problem solving e l’imparare a conoscere linguaggi e strumenti in poco tempo”, spiega Corstens. Come abbiamo visto, la scuola è frequentata da persone molto motivate, e da persone che hanno già esperienza nel settore, ma che per via delle vicissitudini dovute alla partenza dal paese di origine sono state costrette a restare lontane dalla professione anche per qualche anno – un tempo lunghissimo per il rapido mondo del software. “La maggior parte delle persone con un background di programmazione che fa domanda per partecipare al nostro corso di norma ha un gap importante nel curriculum, oppure ha conoscenze di linguaggi di programmazione che non sono molto rilevanti per il nostro mercato del lavoro”, spiega Corstens. “Quando non si programma per tre o quattro anni può essere difficile tornare a un livello professionale, soprattutto se non si sa di quali linguaggi c’è maggior domanda. E poi, questo non ha solo a che vedere con la programmazione di per sé, riguarda anche la capacità di saper guidare un progetto o di comunicare correttamente con un team. Per un programmatore sono competenze importanti”.
Con tre scuole già in attività, HackYourFuture punta ora a espandersi ulteriormente, esportando il suo progetto anche in altri paesi. Il modello, che di per sé è facilmente replicabile, si basa inoltre su moduli e materiali open source, che sono interamente disponibili su GitHub al fine di stimolare il lancio di nuove scuole: “abbiamo in programma di espandersi in altri Paesi in Europa e oltre: il nostro obiettivo è raddoppiare il numero di scuole nei prossimi due anni”, spiega Corstens, “il nostro curriculum e i nostri strumenti sono disponibili in open source per chiunque voglia aprire una scuola per persone in una posizione svantaggiata. Di base, chiunque nel mondo può aprire un corso di codice basato sulla competenza e le esperienze che abbiamo raccolto in questi anni”.
In copertina: una lezione di HackYourFuture