A dispetto della semplicistica narrazione dell’invasione, l’immigrazione è un fenomeno strutturale, che influisce sulla composizione del tessuto sociale ed economico. Ed è in continuo movimento: da un lato ci sono arrivi e nuove nascite, dall’altro persiste un’emorragia verso l’estero – di italiani o degli stessi immigrati.
Secondo il Dossier statistico immigrazione 2016 realizzato da Idos con Confronti, Chiesa Valdese e UNAR, in Italia gli stranieri residenti sono 5.026.153, l’8% della popolazione, 12mila in più del 2014. A questi dati fa da forte contrappeso la migrazione degli italiani verso l’estero, che nel 2015 ha toccato quota 5,2 milioni, 200mila in più rispetto all’anno precedente.
Per la prima volta dopo molti anni, dunque, la stima dei connazionali espatriati ha superato quella degli stranieri registrati alle anagrafi italiane; nel 2014 le due cifre si equivalevano.
Il dato, però, non considera circa 450mila cittadini che pur essendo regolari non sono residenti e altri 1.150.000 che hanno preso la cittadinanza.
Gli immigrati presenti in Italia vengono da Romania (22,9%), Albania (9,3%), Marocco (8,7%), Cina (5,4%) e Ucraina (4,6%). La loro presenza è distribuita in maniera non uniforme nel territorio: 34% a nord-ovest, 24,5% a nord-est, 25% al centro, 16% al sud. In Lombardia vivono 1milione 149mila stranieri, il 22,9% del totale, nel Lazio circa 645mila. La regione, però, dove è maggiore l’incidenza sulla popolazione è l’Emilia Romagna, dove gli stranieri rappresentano il 12% (533.479 presenze) degli abitanti. La prima provincia è Bologna, con 117.122 presenze.
Famiglie e nuovi nati: la presenza straniera tempera il crollo demografico
Alla fine del 2015 in Italia si contavano 2.425.000 famiglie con almeno un componente straniero. Nello stesso anno sono nati 72mila bambini con entrambi genitori non italiani (un settimo di tutte le nascite) e nelle anagrafi comunali si sono registrate 250mila persone arrivate dall’estero. Dall’altro lato, quasi 45mila stranieri residenti in Italia si sono trasferiti altrove, 178mila hanno preso la cittadinanza e a 64mila non è stato rinnovato il permesso di soggiorno. Quello della presenza straniera, insomma, non è per nulla un dato statico.
Secondo il dossier Idos “demograficamente è infondato parlare di arrivi e partenze disfunzionali”. Da anni la popolazione nel nostro paese è in diminuzione: tra il 2011 e il 2065 si stima che “la dinamica naturale in Italia sarà negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite contro 40 milioni di decessi) e quella migratoria sarà positiva per 12 milioni (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite)”. La prevalenza dei decessi sulle nascite, e il conseguente bilancio naturale negativo, troveranno soltanto “un parziale temperamento nei flussi degli immigrati”. Per l’Istat, infatti, dal 2011 ci sarà “una media di ingressi netti dall’estero superiore alle 300mila unità annue”, che scenderà però sotto 250mila dopo il 2020 e a 175mila nel 2065.
Il contributo alle casse previdenziali
La presenza straniera influisce in maniera rilevante sulle pensioni per invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs), fornendo un gettito contributivo che nel 2015 è stato di 10,9 miliardi. Dall’altro lato, i cittadini non comunitari titolari di contributi Invalidità Vecchiaia Superstiti (IVS) gravano solo per lo 0,3% sul totale delle pensioni: 39.340 su 14.299.048.
Nonostante aumentino annualmente i nuovi beneficiari, il differenziale rispetto agli italiani resterà elevato ancora per molto, “a beneficio delle casse previdenziali”. Gli stranieri incidono maggiormente sulle pensioni assistenziali (59.228 su 3.857.802, l’1,5%), ma si tratta comunque di un livello proporzionalmente più basso rispetto agli italiani.
Lavori poco qualificati e salari più bassi degli italiani
Nel 2015 in Italia gli stranieri sono stati il 10,5% degli occupati e il 15% dei disoccupati. In generale gli immigrati che hanno avuto un impiego sono stati 2.359.000, 65mila in più del 2014.
La crisi ha colpito anche gli stranieri, il cui tasso di disoccupazione tra il 2008 e il 2015 è aumentato del 7,7% (4,8% per gli italiani). La situazione, però, non è omogenea: il dossier evidenzia che ci sono comunità che hanno tenuto meglio di altre. Ad esempio quella cinese, “perché caratterizzata da una quota di lavoratori indipendenti pari al 47,5% contro una media del 12,5% tra tutti gli immigrati”. I saldi occupazionali “sono stati positivi solo per le collettività maggiormente coinvolte in attività autonome, specie nel commercio (Cina, Egitto, Bangladesh, Pakistan)”.
Solo il 6,8% degli immigrati svolge professioni qualificate, mentre il 35,9% è impiegato in lavori non qualificati – soprattutto donne – e il 30% è operaio. La loro retribuzione netta mensile è decisamente inferiore rispetto a quella degli italiani: 979 euro contro 1.362, uno scarto del 28,1% che si allarga tra le lavoratrici.
Gli immigrati, sottolinea l’Idos, “nel 2015 hanno inciso per il 23,8% sul numero degli assunti nell’anno e per il 28,9% sui nuovi assunti, valori che sottolineano la loro funzionalità al mercato occupazionale in numerosi comparti e, in particolare, in quello del lavoro presso le famiglie e in agricoltura”. Nelle piccole e medie imprese fino a nove dipendenti è impiegato il 74,1% degli occupati stranieri, l’81,9% dei nuovi assunti. Crescono le imprese gestite da immigrati, aumentate di 26mila unità (5%) e arrivate a circa 550mila.
La metà delle donne straniere lavora nel settore domestico, con proporzioni diverse a seconda della nazionalità: 8 su 10 tra le ucraine, 2 su 10 tra senegalesi e bengalesi. Secondo l’Osservatorio sul lavoro domestico dell’Inps nel 2015 le badanti e le colf sono state 886.125, di cui 672.194 non italiane, un’incidenza del 75,9%. Il valore massimo era stato raggiunto nel 2009 con l’83,4%. Cifre che andrebbero sostanzialmente raddoppiate aggiungendo le lavoratrici in nero. Tra il 2007 e il 2015, comunque, a causa della crisi, nel comparto si sono inserite anche 73mila donne italiane, la cui presenza è passata da 140mila a 213.931, in media 9mila in più l’anno.
L’altro settore in cui sono maggiormente occupati gli stranieri è l’agricoltura, con una media del 3,8%. Tuttavia, spiega il dossier, nel comparto si registra ancora una forte presenza del caporalato, la cui rete “si è modernizzata e dirige le operazioni di sfruttamento ricorrendo sempre più all’utilizzo continuo di telefonini e internet, senza più limitarsi solo al reclutamento sulle piazze”.
Le nuove leve del mercato del lavoro?
Secondo l’Idos, tenuto conto che i flussi migratori continueranno “nella loro composizione mista (richiedenti asilo e lavoratori)” e che “persisteranno le esigenze demografiche dell’Italia”, sarebbe opportuno iniziare a considerare gli stranieri che arrivano nel nostro paese “come possibili nuove leve da inserire nel mercato occupazionale”.
Tra l’altro, secondo il Fondo Monetario Internazionale l’accoglienza di rifugiati, se accompagnata da integrazione e partecipazione, “può contribuire alla ripresa economica”. Per fare ciò, però, servirà una “strategia di inserimento più aperta” e, soprattutto, non discriminatoria.