Profilazione razziale: discriminare in base ai tratti somatici
Il rapporto, contenente i risultati della visita in Italia effettuata dal 2 al 10 maggio 2024, ai sensi della risoluzione 47/21 del Consiglio per i diritti umani, evidenzia che persone africane e afrodiscendenti hanno subito un uso eccessivo della forza e altre violazioni dei diritti umani da parte delle forze dell’ordine, azioni che passano spesso inosservate e in una continua e ampia impunità. Innanzitutto, il Segretariato, tramite la raccolta di testimonianze dirette, ha denunciato l’adozione sistematica della profilazione razziale come base per i controlli d’identità, per i fermi e le perquisizioni da parte delle forze dell’ordine in Italia, con la presunzione che la persona non sia cittadina italiana o abbia comportamenti criminali. La profilazione razziale è infatti una pratica che consiste nella criminalizzazione automatica di persone di origine straniera che si basa fortemente sulle caratteristiche fisiche: come ha già denunciato Amnesty International, molto spesso la polizia non riconosce l’esistenza di questa pratica, anche se si verifica spesso, “fermare e perquisire un individuo quando l’unico o il principale motivo per farlo è l’origine etnica o la religione equivale a una discriminazione diretta”. Secondo l’ultimo rapporto “Being black in the EU” (2023) dell’Agenzia Ue per i Diritti Fondamentali (Fra), un quarto (26%) delle 6.752 persone nere intervistate in 13 Stati Membri dell’Ue (tra cui l’Italia), è stato fermato dalla polizia nei 5 anni precedenti al sondaggio. Tra questi, circa la metà (48%) ha definito il fermo più recente come come una pratica di profilazione razziale. Il 12% è stato fermato dalla polizia nei 12 mesi precedenti al sondaggio, e il 58% di questi ha ritenuto che l’arresto più recente fosse il risultato di una profilazione razziale. Questo avviene nonostante, è bene ricordarlo, l’Articolo 11 della Direttiva (UE) 2016/680 proibisca la profilazione razziale in quanto costituisce una discriminazione nell’ambito del diritto dell’Ue.
Un sistema penale discriminatorio
Un altro aspetto critico e caratteristico della discriminazione istituzionale che il Segretariato ha evidenziato riguarda il sistema penale e giudiziario. Ad esempio, si legge nel rapporto, la discriminazione si presenta nella sovrarappresentazione discriminatoria delle persone africane e/o afrodiscendenti in carcere, anche a causa dell’uso eccessivo della custodia cautelare, della discriminazione nell’applicazione della cauzione o della libertà condizionale e delle condanne eccessive, nonché nelle sanzioni disciplinari discriminatorie nelle strutture correzionali e nei maltrattamenti, nell’uso eccessivo della forza contro le persone africane e/o afrodiscendenti in carcere. “Ognuna di queste violazioni”, riporta il Segretariato “comporta il diritto delle vittime alla giustizia, alla verità, alla riparazione e alle garanzie di non ripetizione. Questi diritti non sono rispettati, né protetti o soddisfatti”.
Su questi abusi, il Segretariato aggiunge un’osservazione importante inerente proprio all’assenza di un organo indipendente adibito ad indagare su questi: i bassi tassi generalizzati di indagini penali e procedimenti giudiziari relativi all’uso eccessivo della forza e ad altre violazioni da parte delle forze dell’ordine potrebbero essere attribuiti a molte ragioni diverse, “tra cui la mancanza di meccanismi indipendenti e solidi di supervisione, reclamo e presa in carico di responsabilità; la profonda sfiducia nelle forze dell’ordine e nel sistema giudiziario e in generale i pregiudizi razziali e la discriminazione strutturale derivante dal razzismo sistemico che può esistere in tutte le fasi del sistema di giustizia penale”.
In aggiunta, il Segretariato denuncia l’assenza di un’effettiva rete di supporto per chi subisce tali discriminazioni: le vittime di discriminazione razziale e di comportamenti scorretti a sfondo razziale da parte delle forze dell’ordine si trovano in una situazione particolarmente vulnerabile, poiché le forze di polizia sono generalmente il primo e naturale interlocutore delle vittime di violenza. “In tutte le interazioni che il Segretariato ha avuto con le persone e le comunità colpite dalla violenza della polizia”, si legge del rapporto “ha sentito e percepito ripetutamente la confusione, la preoccupazione e la rabbia riguardo alla mancanza di interesse nel presentare una denuncia presso la stessa istituzione e talvolta con gli stessi individui che sono gli autori del reato”.
Mancanza di indipendenza nel monitoraggio delle discriminazioni istituzionali
Infine, tra gli aspetti maggiormente evidenziati dal Segretariato, emerge la mancanza di un effettivo organo indipendente capace di monitorare tali discriminazioni, senza alcun bias di tipo politico. “Tale indipendenza”, si legge nel rapporto “dovrebbe esistere di fatto e di diritto […]. I suoi rapporti dovrebbero essere diversi da quelli delle forze dell’ordine, ad esempio gli organi di supervisione non dovrebbero essere collocati sotto lo stesso ministero o dipartimento del governo. Preferibilmente, tale agenzia dovrebbe riferire direttamente al potere legislativo”. Inoltre, dovrebbe essere garantita la libertà da qualsiasi interferenza politica: “tali interferenze dovrebbero essere evitate fornendo all’organo di supervisione civile piena autonomia finanziaria e indipendenza strutturale dal ramo esecutivo del governo”.
In Italia ad esempio esiste l’Unar, ossia l’Ufficio antidiscriminazioni. Tuttavia, esso non è un organo indipendente in quanto si trova all’interno del Dipartimento delle Pari Opportunità del governo – nonostante l’Ue, ormai da tempo, denunci questa grave mancanza in Italia. Come riportano le due direttive dell’Ue n. 1499 e 1500 di maggio 2024, un organismo come l’Unar dovrebbe non solo occuparsi di tutte le discriminazioni in campo a 360 gradi, ma deve diventare organo realmente indipendente.
A lanciare un ulteriore monito sul razzismo istituzionale in Italia è anche il Consiglio d’Europa (CoE), organo sulla tutela dei diritti umani, che nel nuovo rapporto stilato dall’Ecri (La Commissione Europea contro le discirminazioni del CoE) ha evidenziato che durante la sua visita in Italia è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine in particolare verso la comunità Rom e le persone di origine africana. “Frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Tuttavia, le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale. La profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione ed ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati”, si legge nel rapporto.
In conclusione, non solo è necessaria la presenza di organo che sia veramente indipendente, capace di intercettare e denunciare tutte le forme di razzismo, specie se perpetrate dalle forze dell’ordine – come raccomandano Onu e CoE. Ma è necessario prendere atto del fatto che in Italia esiste un razzismo sistemico, endemico e istituzionale che puntualmente va a colpire le persone razzializzate e maggiormente vulnerabili proprio in quanto tali, in un contesto dove la tutela dei diritti fondamentali, spesso, è totalmente assente.
Foto via Flickr/Gianni Dominici, Creative Commons