Buio, buio pesto, sono le 20:00 e dal ponte di comando della Life Support, si vede solo nero. Sono da poco passate le 8 di giovedì 28 novembre e la radio ripete: “mayday relay, mayday relay”. Si tratta di una segnalazione di alarm phone che chiede aiuto per un barchino alla deriva a circa quattro ore di navigazione da noi. La nave umanitaria di Emergency è partita dal porto di Augusta da meno di 24 ore e all’altezza di Malta il tempo comincia a scorrere ad un ritmo frenetico.
Così inizia la prima giornata della ventisettesima missione della Life Support. Il primo rhib alle 12:00 è in acqua, poi il secondo. Pochi minuti di navigazione per raggiungere 38 esseri umani ammassati in un barchino bianco, in mezzo al mediterraneo centrale, poco a sud di Malta, immersi tra il silenzio del mare e le urla dei bambini. Erano da tre giorni in navigazione, dopo essere partiti da Homs, tra Misurata e Tripoli, senza cibo, acqua né giubbotti di salvataggio.
“Grazie a dio, grazie a dio” ripete un uomo siriano mentre gli viene consegnata tra le mani la figlia di un 1 anno e 7 mesi, lei piange, non capisce che questa è la salvezza.
Raccontare il mare è sempre un esercizio di equilibrio, bisogna saper scegliere le parole giuste che identificano la linea di mezzo tra la morte e la vita. Il pianto di un neonato tra le braccia di un soccorritore è questa linea di mezzo, lo è il terrore nello sguardo dei naufraghi quando il rhib si avvicina, lo è il respiro di sollievo di chi sale a bordo, la preghiera di chi insieme alla sua ha salvato la vita del proprio figlio. Jasmina, nome di fantasia, non ha tempo di pensare alla paura e appena sale sul gommone di salvataggio prega, per lei e per il bimbo di 36 settimane che ha nel grembo. Insieme a Jasmina ci sono altre sette donne e dieci minori, sei di loro viaggiano da soli. Scappano da Egitto, Palestina, Eritrea, Siria, Sudan, da guerra, carestia, scappano dalle conseguenze del mutamento climatico e da condizioni economiche disumane.
Dopo il soccorso i sopravvissuti salgono ad uno ad uno sulla nave madre, ex nave da rifornimento convertita da Emergency nel 2022 per la ricerca e il soccorso in mare e con cui negli ultimi quattro anni sono state portate sulla terraferma 2.417 persone. Un primo screening e poi tutti dentro lo shelter, l’area al chiuso che dopo il primo soccorso si trasforma nella casa – per qualche giorno – dei profughi soccorsi.
Il rhib team – i membri dell’equipaggio che fanno parte delle operazioni di soccorso in mare – , intanto, ha il tempo di spogliarsi e mangiare il primo boccone, quando nelle radiotrasmittenti la voce della SAR coordinator avvisa l’equipaggio che un barchino in difficoltà si sta avvicinando alla nave. Così il tempo ricomincia a correre, in pochi minuti sono tutti sul ponte della nave in attesa di mettere i gommoni in acqua. Un soccorso velocissimo, per portare a bordo 31 uomini e 6 bambini non accompagnati. Anche loro erano partiti dalle coste libiche, da Tripoli, tre giorni fa, dopo aver affrontato anni in viaggio in fuga da Egitto, Bangladesh, Siria e Pakistan.
La seconda operazione di soccorso finisce nel primo pomeriggio ma la giornata non termina fino a quando, nel buio del ponte di comando, non arriva la notizia che il barchino che stavamo cercando dalle 18:00 è già vicino alle coste sicule. Quella luce che stavamo pregando di individuare il prima possibile è già avanti a noi di 56 miglia nautiche, “li abbiamo persi”, sussurra il capitano.
Con la speranza che loro vincano e arrivino da soli sulla terra ferma, la Life Support ha ripreso la sua rotta verso Vibo Valentia, il porto di sbarco assegnato dalle autorità italiane per le 75 persone a bordo, dove è arrivata venerdì sera.
Nel Mediterraneo centrale però la corsa continua senza sosta e nel giro di ventiquattro ore l’Ocean Viking ha soccorso 48 persone ed è sbarcata a Brindisi, Sea Punk ha fatto sbarcare 49 persone a Lampedusa, e Humanity 1 che aveva già a bordo 64 persone ha soccorso altri 47 naufraghi in un’operazione mai vista prima: un barchino con alla guida quattro uomini bendati nella notte si è accostata alla nave umanitaria intimidendo l’equipaggio e obbligando i profughi a salire a bordo della nave dell’ong Sos Humanity. Secondo il racconto dei sopravvissuti gli uomini incappucciati sarebbero parte della cosiddetta guardia costiera libica, la stessa che l’Italia finanzia dal 2017. L’humanity 1, dopo aver fatto un quarto soccorso, è sbarcata con un totale di 165 persone a Trapani.
Intanto la Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha fatto sbarcare a Reggio Calabria 83 uomini in stato di disperazione perché durante il loro soccorso le milizie libiche avrebbero intercettato il barchino prima della nave umanitaria, minacciando, sparando in aria e facendo cadere in mare 70 persone, 29 donne e bambini invece sono stati presi con la forza e deportati di nuovo in Libia, le mogli e i figli dei profughi che sono stati soccorsi dalla Geo Barents.
Credit. Le immagini sono di Lidia Ginestra Giuffrida