Non tira una buona aria, in Europa, in materia di immigrazione.
Nel Regno Unito la sentenza del 15 novembre della Corte Suprema che ha dichiarato l’illegittimità dell’accordo tra Londra ed il Ruanda (a quattromila chilometri dalle scogliere di Dover), dove il governo conservatore vorrebbe portare tutti i richiedenti asilo sbarcati sulle coste britanniche, ha posto per ora fine a quella che appariva essere una vera e propria deportazione di massa. Molti deputati Tory hanno però chiesto, visto l’esito negativo per il governo, di avviare le procedure addirittura per uscire dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
In Germania il governo di coalizione guidato dai socialisti ha dichiarato, per bocca del Presidente Scholz, che intende restringere i benefici sociali per i migranti ed introdurre più severe norme in tema di asilo.
L’Italia, col governo Meloni, non vuole essere da meno.
Il 6 novembre i Presidenti del Consiglio italiano ed albanese hanno firmato il testo di un accordo, definito Protocollo per il rafforzamento della collaborazione fra in due Paesi in materia migratoria, accompagnando l’occasione con immancabili foto dello scambio dei documenti firmati e con dichiarazioni entusiastiche – almeno da parte italiana – inneggianti alla “storicità” dell’atto, al suo perfetto inserimento nel quadro degli obblighi europei ed internazionali dei due Paesi ed alle relazioni amichevoli tra due Paesi fratelli.
Da allora il testo dell’accordo è rimasto ufficialmente ignoto: ne circola una copia ufficiosa (quella che qui viene utilizzata è stata pubblicata da Il Sole 24 Ore) ma non risulta che ne sia stata data comunicazione ufficiale alle Camere: sui siti della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli esteri nulla, solo silenzio.
Del resto fra gli stessi più autorevoli esponenti del Governo non vi è molta chiarezza sul valore giuridico dell’atto.
La Presidente Meloni, nella conferenza stampa del 6 novembre, ha testualmente detto che “Chiaramente il protocollo che noi firmiamo oggi disegna la cornice politica e la cornice giuridica di questa nostra nuova collaborazione. Poi all’accordo dovranno seguire tutti i provvedimenti normativi conseguenti, le attività necessarie a predisporre, in territorio albanese, le strutture…”.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’on. Fazzolari, ha da parte sua dichiarato durante la trasmissione Porta a Porta del 9 novembre, che il Protocollo non richiede la ratifica con legge da parte del Parlamento, affermazione che appare in aperto contrasto con l’art. 80 della Costituzione se si considera che si tratta di un atto internazionale che prevede obblighi e poteri che non erano previsti da altri precedenti accordi.
Esso incide su materie certamente costituzionali, quali la libertà personale e l’esercizio di poteri sovrani su un territorio che certamente non è italiano: stabilisce regole in materia di competenza giurisdizionale, sia nei rapporti futuri tra Italia ed Albania per i fatti che potranno accadere nei campi albanesi, sia quanto alla necessaria determinazione o istituzione di un tribunale italiano competente, materia quella giurisdizionale che notoriamente è soggetta a riserva di legge.
L’esecuzione del Protocollo inevitabilmente imporrà nuove e non esigue spese, che non si comprende a carico di quale ministero e conseguente voce di bilancio saranno e per stabilirlo occorrerà una variazione alla legge di bilancio, con conseguente controllo della Corte dei Conti (art. 100 della Costituzione).
Infine sono state date indicazioni assai contraddittorie da esponenti del Governo sui limiti temporali di trattenimento nel previsto centro albanese: chi dice 28 giorni, e si tratta del Ministro degli Interni; chi 18 mesi ed è nuovamente il sottosegretario Fazzolari. Ognuno comprende che tra quattro settimane ed un anno e mezzo la differenza è enorme.
La ribadita affermazione secondo la quale non occorrerebbe una legge di ratifica poggia sulla presunta natura esecutiva del nuovo testo rispetto a precedenti accordi italo-albanesi, puntualmente menzionati nelle premesse. Non risulta però che detti accordi contemplassero neppure una delle misure oggi previste e si tratta perciò di una espropriazione del Parlamento e di una concentrazione di poteri in capo all’esecutivo di dubbia costituzionalità.
Numerosi dubbi poi insorgono relativamente alle singole misure previste.
Intanto si avrà un macchinoso viavai di navi militari italiane tra le due coste dell’Adriatico, visto che secondo la Presidente del Consiglio “che questo accordo e questa possibilità non riguarda i minori, non riguarda le donne in gravidanza, non riguarda gli altri soggetti vulnerabili”, i quali dunque dovranno essere prima controllati in Albania, quindi riportati in Italia.
Poi la sicurezza dei due siti albanesi: nel Protocollo si prevede che il controllo esterno spetti alla autorità albanese, quello interno all’autorità italiana, ma nulla si dice riguardo alla competenza relativa ad eventuali reati commessi all’interno delle due aree: chi indagherà se, in ipotesi, verrà commesso un reato a danno di un richiedente asilo o a danno del personale ausiliario albanese o di un poliziotto italiano? E soprattutto, chi sorveglierà su questi inediti luoghi di detenzione per verificare che tutto avvenga nell’effettivo rispetto delle norme minime di tutela dei diritti delle persone colà ristrette?
Il diritto di difesa, poi, verrà tanto limitato da apparire inesistente: se una persona ristretta vorrà avvalersi di un avvocato di sua fiducia, chi lo porterà in Albania ed a spese di chi?
Questo accordo, che secondo il Governo dovrebbe vedere la sua attuazione nella primavera del 2024, assomiglia molto ad uno spot elettorale e poco ad uno strumento legale rispettoso della nostra Costituzione e dei diritti delle persone raccolte in mare.
Esso mira ad essere uno strumento di dissuasione verso chi si accinga ad affrontare la traversata verso l’Italia con la minaccia di essere deportati in Albania prima del rimpatrio forzato senza neppure toccare la agognate sponde.
Ignazio Juan Patrone, già sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione e componente comitato scientifico associazione Antigone.
Immagine di copertina: Piazza Scanderberg a Tirana (foto di Ilaria Romano)