Il 16 marzo, a una ragazza di 22 anni è stato impedito l’accesso alla Camera dei Deputati. Il motivo? Il suo documento: un passaporto marocchino, che ne attesta la cittadinanza non comunitaria, non consentendole, da regolamento, l’accesso a Montecitorio. La giovane è infatti nata in Marocco: e questo fa di lei una straniera, nonostante sia in Italia, precisamente in Sardegna, dall’età di due anni; nonostante in Italia abbia frequentato l’asilo, le scuole elementari, le medie, il liceo e l’università; nonostante proprio per i suoi studi universitari abbia ricevuto un premio dal Parlamento, riservato ai neolaureati meritevoli. Nonostante, ancora, la ragazza si trovasse a Roma, oltre che per ritirare il premio, per rappresentare l’Italia in una simulazione dei lavori delle Nazioni Unite. Tantissimi “nonostante”sulle spalle di una giovane donna di ventidue anni, la quale si è scontrata con gli effetti di una legge – n° 91, 5 febbraio 1992, la legge italiana sulla cittadinanza – i cui paradossi ne palesano ogni giorno di più la distanza con il paese reale.
Ilham Mounssif, questo il nome della ragazza, non è sola: sono più di 1 milione le persone – di cui 800 mila minori – nate in Italia, o arrivate da piccole, ma considerate dallo Stato, ostinatamente, straniere. In Italia imparano a parlare, crescono, studiano, lavorano, pagano le tasse. Ma i loro genitori sono stranieri, e conseguentemente anche loro: è il principio dello ius sanguinis, alla base della legge 91/92. Un principio che di fatto impedisce a moltissime persone di fruire di una serie di diritti, contribuendo, invece, a tracciare un solco tra chi viene considerato cittadino dallo Stato e chi no. Un principio che in molti hanno provato a cambiare, ostacolati da scelte politiche discriminatorie e strumentali.
Le tappe di un cambiamento ancora non riconosciuto dalla politica
Tra il settembre 2011 e il marzo 2012, le ventidue organizzazioni sociali e sindacali che promuovono la campagna “L’Italia sono anch’io” raccolgono più di 200mila firme, con l’obiettivo di presentare due proposte di legge di iniziativa popolare sulla riforma di cittadinanza e il riconoscimento del diritto di voto amministrativo ai cittadini stranieri. Ma quali sono i cambiamenti proposti dalla campagna in merito alla cittadinanza italiana? E quale la base di partenza su cui si cerca di intervenire?
La legge 91/1992 in vigore prevede tre possibilità di acquisizione della cittadinanza italiana per le persone di origine straniera: per nascita, naturalizzazione e matrimonio. La proposta di legge avanzata dalla campagna “L’Italia sono anch’io” propone sostanziali cambiamenti tanto per chi nasce in Italia da genitori stranieri, quanto per i minori nati altrove, prevedendo novità anche per gli adulti.
Acquisizione per nascita
Parlando dell’acquisizione per nascita, secondo la legislazione italiana è cittadino chi nasce da genitori italiani, mentre chi nasce in Italia, ma da genitori stranieri, ottiene la cittadinanza dei genitori. La persona in questione può diventare cittadino italiano solo al diciottesimo anno di età: deve farne richiesta e certificare di aver risieduto ininterrottamente in Italia.
La proposta della campagna “L’Italia sono anch’io” introduce lo ius soli, prevedendo la cittadinanza italiana per le persone nate in Italia, con almeno un genitore legalmente soggiornante da almeno un anno.
Naturalizzazione
Per quanto riguarda la naturalizzazione, la legge 91 non fa differenza tra minori non nati in Italia – anche se vi trascorrono l’infanzia e seguono uno o più cicli di formazione – e adulti: i minori non nati in Italia, o nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno, sono considerati stranieri a tutti gli effetti, e devono quindi possedere il permesso di soggiorno. Al compimento dei 18 anni, per diventare cittadini italiani devono dimostrare dieci anni di residenza legale ininterrotta in Italia.
Il testo depositato alla Camera da “L’Italia sono anch’io” riconosce invece lo ius soli ai minori nati in Italia da genitori senza permesso di soggiorno, o arrivati in Italia entro il decimo anno di età, che, a diciotto anni, possono inoltrare richiesta di cittadinanza.
La campagna è intervenuta anche sulla situazione degli adulti: in base alla modifica proposta, la domanda potrebbe essere presentata da uno straniero legalmente soggiornante da 5 anni, piuttosto che da 10 anni come indicato nella legge 91 (qui un intero testo comparativo tra la proposta e la legge).
Acquisizione per matrimonio
La cittadinanza per matrimonio viene riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente (dopo due anni dalla data del matrimonio se si risiede legalmente in Italia, tre anni se si risiede all’estero; termini che sono però dimezzati nel caso la coppia abbia figli).
Ius soli temperato & ius culturae, ecco come funzionerebbe
Questi, in sintesi, i cambiamenti proposti da “L’Italia sono anch’io”, nel testo depositato alla Camera il 7 marzo 2012. Da allora la riforma della cittadinanza si è mossa con una lentezza sfiancante, a causa di un forte ostruzionismo politico, di cui è testimone anche il testo di riforma finalmente approvato dalla Camera dei deputati il 13 ottobre 2015, con 310 voti favorevoli, 63 contrari e 83 astenuti. Un testo molto diverso da quello proposto dalla campagna, risultato di una mediazione politica al ribasso, necessaria al raggiungimento di un accordo all’interno della maggioranza. Il documento approvato prevede infatti solo forme di ius soli temperato e di ius culturae.
Ius soli temperato
Le bambine e i bambini nati in Italia da genitori stranieri ottengono la cittadinanza italiana solo se almeno uno dei genitori è titolare di permesso Ue per lungo soggiornanti (e cioè il permesso di soggiorno a tempo indeterminato che può essere richiesto dagli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni in presenza di determinate condizioni).
Ius culturae
I minori nati in Italia da genitori stranieri privi del permesso per lungo soggiornanti, o arrivati entro il dodicesimo anno di età, possono diventare cittadini italiani dopo aver frequentato regolarmente, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici e formativi (in caso di istruzione primaria è necessaria la positiva conclusione dello stesso).
Per i minori giunti in Italia entro i 18 anni, l’acquisizione della cittadinanza è subordinata a sei anni di residenza regolare e alla conclusione di un percorso di istruzione. In questo caso il testo parla di cittadinanza ottenuta per “concessione”: si mantiene dunque una certa discrezionalità da parte dello Stato.
Dichiarazione di volontà
L’acquisizione della cittadinanza dovrà accompagnarsi a una dichiarazione di volontà presentata in Comune da un genitore entro il compimento della maggiore età del figlio. Altrimenti, il diretto interessato potrà presentarla tra i 18 e i 20 anni.
Retroattività
Possono ottenere la cittadinanza anche le persone che abbiano superato il limite d’età di 20 anni per l’inoltro della domanda, maturando però nel frattempo i requisiti previsti dalla nuova legge: la domanda dovrà essere subordinata a una verifica del ministero dell’Interno – che può durare anche sei mesi – circa l’eventuale presenza di precedenti dinieghi della cittadinanza, o di provvedimenti di espulsione o allontanamento per cause di sicurezza nazionale.
Gli elementi di criticità segnalati dalla campagna “L’Italia sono anch’io” e dai movimenti di sostegno alla riforma sono diversi: il tema della naturalizzazione degli adulti non viene affrontato, né sono previste misure per evitare la discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione delle richieste di cittadinanza. Un elemento problematico è rappresentato inoltre dall’introduzione della clausola del possesso, da parte di uno dei genitori, della carta per lungo soggiornante, il cui rilascio è legato al reddito, cosa che introduce di fatto un principio discriminatorio fondato su base economica. “La normativa non disegna la riforma auspicata”, sottolineavano i membri della campagna dopo l’approvazione alla Camera. A fronte delle oltre 200mila firme che testimoniano un sostegno popolare al cambiamento legislativo, e dei dati diffusi dall‘Ottavo Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa – presentato nel 2015 proprio alla Camera – secondo cui il 72% degli italiani “è favorevole a concedere la cittadinanza a figli di immigrati nati in Italia”, il testo approvato tradisce una forte distanza tra i rappresentanti istituzionali e la società.
Nonostante le critiche e gli auspicabili miglioramenti, l’approvazione del testo rappresenta un significativo passo in avanti, in funzione del definitivo passaggio, senza più cambiamenti al ribasso, in Senato. Del resto, è sufficiente scorrere velocemente alcuni commenti pubblicati su Facebook dopo la decisione della Camera per capire come questa normativa influirà effettivamente sulla vita delle persone: “Tutte le sofferenze passate in questura con il permesso di soggiorno a 16 anni, le impronte digitali come un criminale, le gite scolastiche negate…sarà pur tardi ma è una bella soddisfazione! Ora speriamo che al Senato non facciano scherzi”; “Le impronte per me a 14 anni, per mio fratello a 8 anni..”; “Arrivata in Italia a 2 anni, oggi ne ho quasi 39..con il permesso di soggiorno fino a 31 anni!”; “Da non-cittadini (stranieri, figli di, meticci, “immigrati di seconda generazione! ecc.) possiamo dire di aver concretamente partecipato al concepimento di una legge di governo. E ci chiedono se siamo capaci di essere italiani!”, scrivevano alcuni membri del movimento Italiani Senza Cittadinanza.
A che punto è la riforma?
Dal 13 ottobre 2015, però, la proposta giace abbandonata, in attesa dell’avvio del dibattito nella Commissione Affari Costituzionali del Senato. Pesano i 7mila emendamenti che pendono sul testo, presentati in gran parte dalla Lega Nord con l’intento di boicottare l’approvazione della legge. Ma in realtà il Senato potrebbe superare questo empasse portando direttamente in aula la discussione, prima che la commissione esaurisca l’esame del testo. Ad oggi, però, il dibattito non è stato nemmeno calendarizzato.
È proprio per sollecitare la politica a abbandonare atteggiamenti strumentali, agendo invece per adeguare la normativa alla volontà popolare e al paese reale, che le associazioni a sostegno della riforma hanno messo in atto diverse manifestazioni di protesta durante tutto il mese di febbraio, sull’intero il territorio nazionale.
Dal Senato non è arrivata ancora alcuna risposta.
A Ilham Mounssif ha risposto invece la presidente della Camera Laura Boldrini, definendo ciò che è accaduto alla giovane “un torto insopportabile” e accogliendola in prima persona per una visita della Camera in occasione dell’evento ‘Montecitorio a porte aperte’. Ma quanto vissuto da Ilham è solo un aspetto di quello che più di 1 milione di nostri concittadini sono costretti a subire ogni giorno, in nome di una legge che li ignora, e che non cambia per mero calcolo politico. Nel 2012, Lamia, una ragazzina di dodici anni, affermava alla Camera: “Smettete di farci vivere situazioni che ci fanno sentire ciò che non siamo. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità e ricordatevi che noi ci sentiamo italiani dentro davvero”.
Sono passati 5 anni ma nulla, di fatto, è cambiato. Gli unici a non rendersi conto dell’urgenza della questione sembrano essere proprio i rappresentanti istituzionali, i quali, invece, dovrebbero svolgere una funzione di pianificazione e di indirizzo, assumendo atteggiamenti lungimiranti per il Paese piuttosto che arroccarsi su una legge che, con il suo anacronismo, allontana il paese formale da quello reale e complica concretamente la vita a migliaia di persone, andando a minare i principi di eguaglianza e di rappresentanza della società tutta.
Foto di copertina via L’Italia Sono Anch’Io.