Nel corso dell’ultimo anno il Kazakhstan si è trovato a gestire l’arrivo di migliaia di cittadini russi che hanno deciso di trasferirsi, chi con l’inizio della guerra in Ucraina e chi, la maggioranza, dopo l’annuncio di Putin della mobilitazione parziale, il 21 settembre scorso.
Questi nuovi residenti, in grado di attraversare il lunghissimo confine anche solo con la carta d’identità grazie agli accordi di ingresso fra paesi euroasiatici, hanno portato notevoli cambiamenti nella società e nell’economia kazaka, in termini di prezzi delle case e di beni di consumo, ma anche nella competizione e collaborazione con i giovani del posto in settori come l’architettura, il design, la produzione multimediale.
Poche settimane fa il Governo kazako ha deciso di dare una stretta agli ingressi, e soprattutto ai soggiorni a tempo indeterminato nel paese, e ha introdotto nuove regole per i cittadini stranieri, compresi quelli degli stati membri dell’Uee, Unione economica euroasiatica (insieme al Kazakhstan, Russia, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan) che entreranno in vigore dal prossimo 27 gennaio.
Secondo i piani del Ministero degli Interni questa revisione dovrebbe mettere un freno all’ondata migratoria degli ultimi mesi: le persone provenienti da paesi extra Uee per le quali non è richiesto un visto d’ingresso potranno restare fino a 30 giorni dalla data di arrivo, per un totale di 90 giorni ogni 180, mentre quelli che arrivano da stati membri dell’Uee avranno diritto a 90 giorni di permanenza ogni 180.
Fino a oggi, i cittadini stranieri potevano lasciare il Kazakhstan alla scadenza del periodo di soggiorno previsto per poi rientrare immediatamente alle stesse condizioni, anche in giornata, semplicemente varcando il confine. Di fatto, i cittadini russi e degli altri membri Uee, che godono della libertà di movimento all’interno di un’unione di libero scambio, potevano entrare e vivere nel paese senza registrarsi presso le autorità di immigrazione e, come accade soprattutto per i kirghizi, alimentare un’economia sommersa come forza lavoro irregolare.
Dalla fine del mese, si potrà restare nel paese per periodi più lunghi soltanto con un’occupazione stabile o un altro motivo valido come un ricongiungimento familiare, l’iscrizione a un percorso di studi, o la necessità di sottoporsi a cure mediche.
2022, l’emigrazione russa nell’anno della guerra in Ucraina
Nei primi sei mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, i cittadini russi che hanno lasciato il paese sono stati più di 400 mila, secondo i dati diffusi da Rosstat, il servizio di statistica della Federazione Russa. Due settimane dopo l’annunciata mobilitazione parziale del 21 settembre scorso, avevano già raggiunto quota 700 mila. Il Kazakhstan è stata la principale meta di emigrazione, seguito da Georgia, Armenia e Turchia, e secondo il Ministero dell’interno kazako, gli ingressi alla data del 4 ottobre risultavano oltre 200 mila. La Georgia invece ha parlato di 53 mila persone che hanno oltrepassato il suo confine nello stesso periodo, mentre i dati Frontex riferiscono di 66 mila russi giunti in Unione Europea nell’ultima settimana di settembre, con un aumento del 30% rispetto ai sette giorni precedenti.
Gli ultimi dati diffusi dal Kazakhstan relativi all’intero 2022, parlano di 2,9 milioni di russi entrati nel paese, dei quali solo 146 mila registrati con un numero identificativo che gli consente di operare sul proprio conto bancario e di cercare legalmente lavoro. Alti 36 mila cittadini avrebbero già ottenuto la residenza permanente, e ci sarebbero molte altre domande in attesa di risposta.
“I russi arrivati qui hanno per la maggior parte due caratteristiche: i soldi per aprire un’attività o un lavoro che possono continuare a svolgere anche da remoto, e parenti o amici in Kazakhstan – spiega Jennat Arginat, avvocata di Almaty che si occupa di diritti umani – si tratta di una minoranza che parte perché può permettersi di farlo, mentre la quasi totalità dei cittadini russi, in particolare fuori dalle grandi città, non può nemmeno sognarlo. Noi kazaki siamo molto simili a loro, perché abbiamo tutti un’impronta comune, quella del passato sovietico, e poi siamo popoli che vivono in territori sconfinati, ed è enormemente difficile collegare fra loro i centri abitati. Non solo a livello geografico, ma anche psicologico: e penso che una delle cause della mancanza di un’opposizione di massa sia proprio la scarsa connessione fra le persone. In Russia in tanti sono contrari alla guerra in Ucraina, ma anche alle politiche del Governo all’interno del paese, che portano a leggi liberticide come quella che impedisce anche solo di parlare di omosessualità. Il problema è la possibilità di esprimere il dissenso.”
Jennat, 43 anni, ha studiato legge a Mosca, poi ha lavorato per tre anni in Cina. Oggi sua figlia studia negli Stati Uniti, mentre lei è tornata a lavorare nella sua città natale. “Ho sempre pensato che sarei rimasta all’estero – dice – ma dopo le proteste di un anno fa ho capito che avrei potuto contribuire al cambiamento di questo paese, e ho deciso di restare. È stato un momento spaventoso e molto violento, ma ha dato la spinta per riprendere in mano la nostra identità kazaka, che troppe volte è rimasta sopita, sotto il peso della vergogna di non valere mai abbastanza. Ecco, se dovessi spiegare cosa significa per noi l’immigrazione dei russi di questo momento storico, potrei usare le parole di mia madre: dopo decenni in cui abbiamo avuto bisogno di andare noi in Russia per cercare di migliorarci, ora sono loro che ci chiedono aiuto, e per certi versi questo ci rende orgogliosi, è una sorta di riscatto.”
Il volto di Almaty davanti agli espatriati russi
L’arrivo dei russi, che si definiscono espatriati piuttosto che migranti, avendo come riferimento un’accezione negativa dell’”immigrato”, ha trasformato città come Almaty sotto diversi punti di vista: il primo mercato a farne le spese è stato quello immobiliare, dato che gli affitti sono saliti alle stelle, passando nel giro di poche settimane da 300 mila tenge, circa 600 euro, a oltre un milione (2mila euro). Prezzi proibitivi per i residenti locali, con stipendi medi intorno ai 250 mila tenge (500 euro circa) e pensioni minime da 50 mila tenge (100 euro).
“Alcuni inquilini sono stati sfrattati perché i proprietari di case hanno preferito affittare ai russi, disposti a pagare di più per un appartamento, e molte persone si sono ritrovate a dover cercare una casa da un giorno all’altro – spiega Aidana, una giovane donna che gestisce un piccolo locale nello stabile dell’ex ambasciata uzbeka di Almaty – gli alberghi e gli ostelli hanno quadruplicato i prezzi, e ormai difficilmente si trova una stanza al di sotto dei 40 mila tenge. Anche la movida si è adeguata, sono nati nuovi ristoranti e wine bar con menù più ricercati e alla moda, e prezzi più alti, e nei vecchi pub la clientela è cambiata. Qui da noi, per esempio, i kazaki sono sempre meno e i russi sempre di più, come se si trattasse di due gruppi distinti che non vogliono amalgamarsi. I più sospettosi sono i kazaki di etnia russofona, che non vogliono essere assimilati ai “russi di Russia”. Insomma è un passaggio storico importante e non scontato, a livello sociale.”
Eppure, prima della stretta sugli ingressi, il Governo aveva accolto con favore questi arrivi, per lo più di giovani professionisti altamente qualificati, che una volta inseriti potrebbero contribuire al rilancio dell’economia del paese ospitante, dato che non possono più farlo in Russia. Così per le start up sono stati messi a disposizione dei fondi, con la possibilità di visti quinquennali gratuiti. Ma per chi non ha già un progetto imprenditoriale le possibilità cominceranno a diminuire.
Ruslan è fra gli espatriati che hanno avuto modo di inserirsi nel giro di poche settimane. Arrivato ad Almaty da Kazan, capitale della regione semiautonoma del Tatarstan, nella Federazione Russa, ha già all’attivo un progetto con musicisti russi e kazaki. Tre anni fa, nella sua città natale, aveva fondato un centro culturale con un gruppo di amici, dove si faceva produzione e ricerca musicale. Dopo la mobilitazione parziale annunciata da Putin, si sono trasferiti quasi tutti ad Almaty.
“Il fatto di essere connessi e di fare un lavoro creativo che ha a che fare con il digitale ci permette di sentire meno le difficoltà della distanza – spiega – almeno tecnicamente, perché a livello emotivo lasciare tutto non è stato facile. Sono qui da tre mesi e quando mi sveglio la mattina devo ancora ripetermi che sono in Kazakhstan, che ora vivo qui. Ho avuto momenti di grande depressione, anche perché la mia è stata una scelta indotta: alla fine di settembre tutti intorno a me pianificavano di lasciare il paese e continuavano a dirmi che sarebbe stato troppo pericoloso restare. Anche mia madre mi ha spinto a partire, dicendomi che se fossi andato via non sarebbe successo nulla di male, ma se fossi rimasto, tutto sarebbe potuto cambiare in peggio da un momento all’altro. Per fortuna qui non è difficile integrarsi, parliamo la stessa lingua, abbiamo culture molto simili e ci sono tanti creativi del posto entusiasti di confrontarsi e sviluppare nuovi progetti. Ora l’obiettivo è quello di mescolare le nostre differenze musicali per creare qualcosa di nuovo. La mia vita è questo, di sicuro non sarei mai andato a combattere, soprattutto in Ucraina, contro un popolo amico.”
Il Kazakhstan indipendente, emigrazione e immigrazione a fasi alterne
Nella sua storia recente, dall’indipendenza del 1991 a oggi, il Kazakhstan ha vissuto fasi alterne con una predominanza di emigrazione o immigrazione.
Il primo grande esodo fu quello degli anni Novanta, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica e della proclamazione della sua sovranità nazionale, che portò a una perdita complessiva del 7,7% della popolazione, parzialmente compensata dal rientro in patria degli Oralman, i cittadini di etnia kazaka che avevano lasciato il paese durante l’Urss e che dal 1992 hanno deciso di rientrare principalmente da Cina, Mongolia, Uzbekistan, Russia, Turkmenistan e Kirghizistan.
Il 2004 è l’anno in cui per la prima volta il numero di ingressi di cittadini stranieri in Kazakhstan ha superato quello delle partenze, grazie ai tassi di crescita economica.
Dal 2005 al 2012 il numero di immigrati ha ricominciato a diminuire in media del 12,2% all’anno, mentre quello degli emigranti è cresciuto del 9,6%, complice la nuova fase globale di crisi economica. Da allora, il tasso di emigrazione è rimasto stabilmente superiore a quello di immigrazione.
In termini di flussi di arrivi e partenze, il Kazakhstan è estremamente legato agli altri paesi post- sovietici, che hanno sempre rappresentato quasi l’80% della sua immigrazione e oltre il 90% della sua emigrazione. Nel 2018 il 34,4% dei migranti che hanno fatto ingresso in Kazakhstan proveniva da Uzbekistan, il 30,6% dalla Russia e solo il 10,7% dalla Cina. La Russia ha rappresentato la prima destinazione (87,8%) per i kazaki che nello stesso anno hanno lasciato il paese.
La guerra in Ucraina è stata decisiva nell’ennesima inversione di tendenza, e nel 2022 la Russia è diventata il primo paese di partenza per chi è approdato in Kazakhstan: il rischio di coscrizione obbligatoria ha rappresentato la causa scatenante dell’emigrazione, anche se alcune decine di migliaia di persone si erano già mosse subito dopo l’inizio del conflitto, perché contrarie a una politica di aggressione territoriale portata avanti dal proprio governo.
La scelta è ricaduta in primis su un paese che con la Russia condivide oltre seimila chilometri di confine, il più lungo del mondo dopo quello fra Canada e Stati Uniti, oltre che lingua e in parte cultura. E si è trasformata in un’opzione quasi obbligata quando i prezzi dei voli verso l’Europa, il Medio Oriente o altri paesi dell’Asia sono diventati inaccessibili perché presi d’assalto per evitare di finire al fronte da un giorno all’altro.
In copertina: veduta del parco delle 28 guardie di Panfilov, Almaty. Foto di Ilaria Romano.