Dal 1 gennaio 2023 la Croazia ha adottato l’euro come moneta (mandando in pensione la kuna, che era arrivata con l’indipendenza del paese dalla ex-Jugoslavia negli anni Novanta) ed è entrata nell’area di libera circolazione prevista dagli accordi di Schengen. La Croazia è il 20esimo membro dell’Eurozona e la 27esima nazione della zona Schengen.
Il ministro degli Interni croato, Davor Bozinović, ha premuto personalmente per l’ultima volta il pulsante per alzare la sbarra e lasciar poco dopo passare le prime automobili senza controlli, al valico di Bregana-Brežice, sull’autostrada Zagabria-Lubiana, tra Croazia e Slovenia.
“Abbiamo aperto le porte all’Europa senza frontiere e definitivamente affermato la nostra identità europea per la quale si sono battute generazioni di croati”, ha dichiarato il ministro croato, non senza pagare dazio alla retorica nazionalista croata da un lato e a quella europea dall’altra, visto che la Croazia non è più europea – anche storicamente – di altre ex repubbliche della ex-Jugoslavia che restano fuori dall’Ue. Allo stesso tempo, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha presieduto alle celebrazioni e ha utilizzato gli stessi – entusiasti – toni del ministro.
Al di là delle narrazioni mediatiche e di quelle politiche, l’ingresso della Croazia nello spazio Shengen è un momento per un bilancio del ruolo svolto dalla ex repubblica jugoslava rispetto alla questione che del trattato rappresenta il nucleo principale: la libera circolazione di cittadini e merci nello spazio comune.
Da questo punto di vista cambia davvero poco: è da tempo, ormai, che al confine tra Croazia e Slovenia – di fatto – si circolava liberamente. Quel che è interessante, da questo punto di vista, è come l’ingresso nello spazio Shengen suoni come un premio per le autorità croate nella gestione della frontiera.
Per capirci, la Romania, che è membro dell’Ue dal 2007, non è parte dello spazio Shengen. Tempo fa, a Costanta, chi scrive ha potuto raccogliere la testimonianza di un ufficiale della marina rumena, impegnata nel pattugliamento delle coste sul Mar Nero in Romania (basti pensare all’afflusso di rifugiati dalla Turchia e dall’Ucraina negli ultimi anni per capire quanto sia sensibile), che si lamentava di come “evidentemente devi fare come i croati e violare i diritti umani per essere ammesso, mentre noi, che ci imponiamo e a cui vengono imposti alti standard di rispetto dei diritti umani, restiamo fuori”.
A quali violazioni si riferisce l’ufficiale rumeno? Partiamo da Pushed to the edge: Violence and abuse against refugees and migrants along Balkan Route, report di Amnesty International del 2019. “I diffusi respingimenti e le espulsioni collettive – spesso accompagnate da violenze – e la negazione di routine dell’accesso all’asilo sono un evento regolare al confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia. Sono anche parte della politica sistematica e deliberata delle autorità croate per scoraggiare futuri ingressi irregolari e dimostrare che la Croazia è in grado di proteggere efficacemente la frontiera esterna dell’UE”.
Uno studio del 2022, pubblicato il 1 dicembre, intitolato Black Book of Pushback documenta 25.000 respingimenti violenti in tutta l’UE e svelano il ruolo dei fondi e delle agenzie dell’UE nel perpetuarla. L’ammissione della Croazia all’area Schengen “costituisce un pessimo precedente per i futuri allargamenti di Schengen e per l’intenzione dell’UE di imporre il rispetto degli standard dei diritti umani all’interno dell’area Schengen”, recitano le conclusioni del rapporto a cura di ECRE – Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati.
In Croazia, nonostante i toni trionfalistici, non sono mancate le voci dissonanti. Le organizzazioni non governative croate che si occupano di migranti hanno dichiarato, per voce del Centro Studi sulla Pace, che Zagabria ha ricevuto “un premio per sei anni di violazioni dei diritti umani”.
Zagabria ha sempre respinto ogni accusa.
Alla fine del 2021 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Croazia rispetto al caso di Madina Hussiny, una bambina di sei anni proveniente dall’Afghanistan, investita e uccisa da un treno a novembre 2017 dopo che lei e la sua famiglia vennero respinte dal confine croato e dopo che è stato loro detto di seguire i binari del treno per tornare a Šid, in Serbia, nel mezzo della notte. Sebbene le autorità croate abbiano negato addirittura che la famiglia fosse mai entrata in Croazia, l’incidente è avvenuto in un’area in cui le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato frequenti e violenti respingimenti.
Una condanna arrivata anche grazie anche al lavoro di inchiesta di Lighthouse Reports, che ha pubblicato un video in cui si vedono chiaramente le violenze dei poliziotti. Poliziotti? Interessante punto: da tempo ong e giornalisti denunciano la presenza fissa sui confini croati di milizie a volto coperto, senza insegne ufficiali. “L’esame forense di un video che mostra una violenta reazione ha rivelato che gli uomini mascherati avevano un equipaggiamento e delle uniformi che corrispondono alla sezione antisommossa della polizia croata, chiamata Polizia d’Intervento. Tre dei quattro agenti di polizia utilizzano il cosiddetto Tonfa, un manganello in dotazione solo alla Polizia d’Intervento”, documentava l’inchiesta.
Le autorità croate, dopo anni di negazioni, hanno lanciato qualche timida promessa di inchiesta interna per verificare ‘’eventuali’’ abusi delle forze dell’ordine, ma nulla è cambiato. Anzi, come detto, dal 1 gennaio l’ingresso in Shengen ‘certifica’ l’ottimo lavoro – dal punto di vista delle autorità di Bruxelles – fatto sul confine.
Infatti, dal 2015 a oggi, Zagabria ha ricevuto dalla Commissione Europea oltre 163 milioni di euro, per lo più stanziati dall’Internal Security Fund, un budget pensato per aumentare la sicurezza delle frontiere esterne. Un eufemismo per chiamare l’esternalizzazione delle frontiere.
La Croazia ha utilizzato quei fondi per addestrare ed equipaggiare il personale di polizia adibito al controllo delle frontiere, che possono contare su fuoristrada, droni, elicotteri, telecamere a infrarossi, apparecchiature che rilevano i battiti cardiaci e termocamere da installare sui suddetti mezzi.
Cosa cambierà concretamente adesso che la Croazia è nello spazio Shengen? Di fatto nulla, ma per assurdo ci potrà essere qualche strumento in più di controllo da parte delle istituzioni europee, perché Shengen garantisce diritti e doveri. Il problema sarà vedere quale volontà politica esiste di fare questi controlli e anzi quanto sarà grave il messaggio che chi si comporta da poliziotto feroce e zelante alle frontiere della Fortezza Europa viene premiato con l’ingresso in Shengen.
Si vedrà, intanto però è chiara la visione dell’Ue. La previsione di spesa Ue fino al 2027 prevede un budget di 26 miliardi di euro per le migrazioni, con un aumento dell’86% rispetto al precedente. I fondi in più rispetto al budget precedente, vengono tutti destinati alla ‘sicurezza’, mentre resta invariato il budget per gestione dell’immigrazione e delle pratiche d’asilo.
In copertina: valico di frontiera tra Croazia e Slovenia nei pressi di Zamost (foto di Christian Elia)