Un grande orsacchiotto marrone. La giovane ragazza che lo tiene tra le braccia lo stringe come se fosse un figlio, mentre i suoi occhi fissano dritti verso la frontiera appena dietro le sue spalle. Ai suoi piedi una valigia scura e un trasportino dove un piccolo gatto grigio riposa raggomitolato sul fondo. Questo è tutto quello che è riuscita a portare con sé nel viaggio che la porterà via dal sud dell’Ucraina, via da casa e dalla guerra.
Siamo a Palanca piccolo comune della Repubblica Moldavia situato nel distretto di Ștefan Vodă al confine con l’oblast’ di Odessa, città distante 55 km. Un centro di poco più di 2 mila abitanti divenuto negli ultimi due mesi l’epicentro della crisi migratoria che ha investito il Paese. Da qui sono transitati molti dei 441 mila profughi ucraini (dati UNHCR al 28 aprile 2022) fuggiti agli scontri seguiti all’invasione russa del 24 febbraio. La maggior parte di loro ha scelto di proseguire il proprio viaggio verso altri Paesi europei, mentre 95 mila persone sono rimaste in Moldavia facendo del Paese più povero d’Europa quello con il più alto numero di persone accolte in rapporto alla popolazione (2,6 milioni di persone).
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati alla fine di aprile erano 483 mila le persone in stato di necessità nella sola regione di Odessa, 471 mila in quella di Mykolaïv, 766 mila nell’oblast’ di Cherson e i numeri triplicano se consideriamo anche le regioni di Donetsk, Zaporizhzhia e l’intero sud-est dell’Ucraina. Fino a quando potranno resistere in particolare le donne, gli anziani e i bambini rimasti?
Da oltre due mesi il sud-est dell’Ucraina è teatro di una costante pressione e di bombardamenti crescenti. Lo stesso esercito russo per bocca dei suoi generali ha esplicitamente manifestato le proprie mire di conquista dell’intera regione nel tentativo di creare una continuità territoriale tra le Repubbliche separatiste del Donbass, la Crimea spingendosi fino alla Transnistria, regione indipendentista in territorio moldavo.
Proclami che agitano le notti dei cittadini moldavi.
“Certo che siamo preoccupati!”, ci confida Igor Calancea responsabile del centro di transito che le autorità locali hanno allestito ad una manciata di chilometri dal confine di Palcana. “Siamo in costante contatto – spiega il responsabile – con le autorità di frontiera ucraine e cerchiamo di capire, giorno per giorno, come potrà evolvere la situazione e quali numeri aspettarci, ma è impossibile fare previsioni. Tutto dipenderà dall’evolversi della guerra”. Del resto, già nelle scorse settimane, il flusso in arrivo dal sud dell’Ucraina non è stato mai lineare ma ondivago. “Nelle ultime due settimane – continua Calcancea – nel nostro centro sono transitate tra le 400 e le 500 persone al giorno (a cui va aggiunto il numero di quanti si spostano dal confine autonomamente, ndr), nulla in confronto ai numeri dei primi giorni, ma la paura è per quello che potrebbe accadere se Odessa dovesse essere cinta d’assedio. L’esodo a cui si assisterebbe sarebbe peggiore di quello dei primi giorni di guerra quando arrivavano ad essere sessanta al giorno i pullman in partenza per la capitale”.
“Con tutte le organizzazioni locali e internazionali presenti al campo stiamo lavorando a più scenari perché è impossibile fare previsioni, ma è necessario essere pronti”, conferma Ottavia Sanvito, project manager di Intersos, ONG italiana presente a Palanca con un’unità medica mobile e uno spazio di ascolto e protezione.
Il supporto medico e psicologico è uno dei servizi più importanti tra quelli offerti nel campo. “Più passa il tempo più incontriamo persone in situazioni critiche”, racconta Paola Giurdanella, medico di Intersos. “Incontriamo spesso anziani privi di cure da settimane perché nell’Ucraina in guerra non riuscivano a procurarsi le medicine. Persone affette da patologie, anche gravi, rimaste senza assistenza. Molti di loro hanno posticipato il più possibile la loro partenza pur di non lasciare la propria casa e questo non ha fatto che peggiorare il loro stato fisico ed emotivo”, racconta. Grazie alla collaborazione dei mediatori locali le persone vengono ascoltate e visitate. “A chi ne ha bisogno – prosegue Paola Giurdanella – forniamo le medicine per alcune settimane: il tempo utile a raggiungere la meta del loro viaggio e ad essere presi in carico dal servizio sanitario del Paese in cui si trovano”, continua il medico.
A preoccupare non è però solo lo stato fisico dei profughi, ma anche quello emotivo. “Quasi tutte le persone che intercettiamo – continua Sanvito – mostrano disturbi d’ansia, sintomi da stress post-traumatico. Grazie alla collaborazione di un team di psicologi locali che lavorano con noi cerchiamo di effettuare un primo intervento che permetta di stabilizzarli e di proseguire il viaggio”.
Ben allineati sul piazzale del campo i profughi trovano ad attenderli i pullman che li porteranno via, lontani il più possibile dalla guerra. Non esiste un orario di partenza, ma tutto dipende dai flussi. Perché la regola è una sola: il pullman parte quando è pieno. “Una volta arrivate qui dalla frontiera – spiega Igor Calancea – le persone dopo essersi rifocillate possono scegliere il trasferimento verso la capitale a Chișinău o di proseguire il proprio viaggio direttamente verso Bucarest. In questo secondo caso si tratta di un semplice transito che durerà circa 12 ore e per cui non è prevista la registrazione da parte delle autorità moldave”. Stando ai dati forniti dallo stesso responsabile circa due terzi dei profughi che arrivano attualmente a Palanca sceglie di proseguire il viaggio lasciando il Paese.
La decisione di implementare un collegamento diretto con la Romania (e da qua con il resto d’Europa) nasce dalla volontà di alleggerire la Moldavia dalla pressione rappresentata dai flussi migratori presenti e futuri. Le autorità moldave da giorni stanno facendo pressing sui centri di accoglienza registrati perché mettano a disposizione un numero maggiore di posti, ma non è facile in un Paese dove lo sforzo di accoglienza appare davvero al limite. “Oltre il 90% dei profughi presenti in Moldavia è accolto in famiglie o in appartamenti o case prese in affitto”, afferma Ilie Zabica, direttore della Fondazione Regina Pacis che gestisce alcuni centri di accoglienza nella capitale e la mensa Papa Francesco dove ogni giorno circa 150 famiglie ucraine ricevono un pacco settimanale con generi alimentari e per l’igiene personale. Nel cortile della mensa, nel cuore di Chișinău, la fila dei profughi ucraini si affianca a quella dei moldavi in coda quotidianamente per una scodella di zuppa. “Purtroppo la situazione economica nel Paese è molto difficile. La verità è che non potremo resistere a lungo a questa pressione”, ammette Zabica. Secondo i dati della Banca Nazionale Moldava l’inflazione nel mese di aprile ha toccato il 22%: i rincari maggiori hanno riguardato soprattutto i prodotti importati da Russia e Ucraina come grano saraceno, latte, riso e ovviamente gas e petrolio. Il governo, sostenuto dalle agenzie delle Nazioni Unite e da Stati Uniti e Unione Europea, sta cercando di correre ai ripari offrendo ai profughi che scelgono di restare un contributo mensile di sussistenza, ma è per tutti evidente che i prossimi mesi saranno lunghi e duri. Edward Lucaci, direttore di Caritas Moldavia, parla di una vera e propria “tempesta perfetta”. “Prima la pandemia e ora la guerra con l’esodo dei profughi e l’aumento dei prezzi”, commenta. Caritas Moldavia oltre a gestire due centri di accoglienza per un totale di circa 160 rifugiati è impegnata attualmente nel sostegno a 400 famiglie di ucraini stabilitisi nel Paese.
“La risposta del popolo moldavo in questi due mesi – afferma Lucaci – è stata incredibile: tutti hanno cercato di fare la loro parte mettendo a disposizione la propria casa, il proprio tempo o i propri soldi. Grande è anche il sostegno da parte di tutta Europa attraverso istituzioni, organizzazioni e privati cittadini. Ma cosa accadrà se la guerra dovesse continuare a lungo e l’attenzione internazionale scemare?”
Fatiche e speranze che si mescolano in un Paese che vive come sospeso tra lo slancio della solidarietà e la preoccupazione di essere coinvolti nel conflitto.
“Certo che siamo preoccupati per la situazione in Transnistria: Tiraspol dista meno di cinquanta chilometri in linea d’aria da Chișinău”, confida Lucaci. Quanto potrà accadere nella Repubblica indipendentista dove sono già stanziati i soldati russi è l’ennesima incognita di questa guerra. Lo sa bene Oxana Covalciuc operatrice sociale di Missione Diaconia, organizzazione della Chiesa ortodossa rumena. La incontriamo nella capitale dove la sua organizzazione gestisce una serie di attività a favore dei più poveri. “Il giorno in cui è scoppiata la guerra ho preso una valigia e ho iniziato a riempirla. Mio marito lavora in Germania e ho pensato subito a come avrei fatto a raggiungerlo per mettere in salvo nostra figlia”, racconta la donna. “Ma quella valigia – continua – non sono mai stata capace di chiuderla. Qui c’era e c’è troppo da fare!”. Le chiedo cosa pensa oggi della guerra e se teme un’invasione della Moldavia. “Non credo che i russi invaderanno il nostro Paese, ma sono certa di una cosa: dopo aver visto quello che hanno fatto a Bucha non sarò qua il giorno in cui arriveranno”.
In copertina: Mensa Papa Francesco nel cuore di Chișinău. Distribuzione viveri a famiglie ucraine. Foto di Michele Luppi.