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La storia di Yura, contadino e soldato

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16 maggio 2022 - Ilaria Romano
Yura ha 45 anni e fa il contadino. Già migrante in Italia per cinque anni, è stato costretto a lasciare Donetsk per la capitale Kyiv all’inizio dell’occupazione del Donbass da parte dei separatisti filorussi. A Ilaria Romano che lo ha intervistato racconta la sua vita con la guerra.

Per raggiungere la sua casa bisogna prima arrivare in un paesino di campagna, Semypolky, sulla strada che da Brovary porta verso Chernihiv, e poi percorrere ancora un paio di chilometri di sterrato in mezzo a ettari di terra coltivata ad asparagi, la sua. 

Yura ha 45 anni e fa il contadino, il farmer, come dice lui, che nella sua vita è già stato prima un migrante, in Italia per cinque anni, e poi uno sfollato di Donetsk trapiantato a Kyiv: costretto a lasciare la sua città all’inizio dell’occupazione del Donbass da parte dei separatisti filorussi, perché “colpevole” di aver preso parte alla rivoluzione arancione del 2014 e di essere un militare dell’Esercito ucraino.

“Ho rivisto i miei genitori dopo otto anni, poco prima che iniziasse questa guerra – racconta oggi – perché se fossi andato a trovarli avrei rischiato la fucilazione senza nemmeno passare dal carcere. Per i filorussi della mia città io sono un traditore, e quindi per il bene di tutti, né io né mio fratello, soldato anche lui, ci siamo più fatti vedere. Il destino però ha voluto che proprio pochi giorni prima del conflitto mia madre e mio padre si decidessero ad andarsene da lì, cosa che mai avevano voluto fare in tutto questo tempo: sono diventati anziani, a gennaio avevano contratto il Covid e per la prima volta forse si sono sentiti davvero soli. Avessero aspettato ancora chissà come sarebbe finita.”

Yura e suo fratello sono riusciti a farli evacuare al secondo tentativo, e con l’inizio della guerra, dato che nemmeno Kyiv era un luogo sicuro, li hanno accompagnati nell’ovest insieme a sua cognata e alla nipote.

“Oggi finalmente possiamo parlare da persone libere, e anche io non devo più nascondere la mia identità per paura di ritorsioni nei loro confronti – dice – perché durante tutto questo tempo anche una parola sbagliata poteva portare a conseguenze imprevedibili. Bastava la telefonata di un vicino di casa alle autorità separatiste e scattavano gli arresti per tradimento. Non è stata una vita facile, la loro, anche se erano legati a quella città perché lì avevano costruito tutto.”

Due anni fa Yura ha lasciato la capitale per trasferirsi in campagna, non lontano da Brovary, in questo piccolo villaggio che con altri centri vicini fa parte del distretto di Kalyta, di circa 12 mila abitanti complessivamente, almeno fino al 23 febbraio. Qui ha cominciato a dare forma alla sua idea di attività agricola all’avanguardia, fatta di nuove coltivazioni che potessero sostituire il grano, come il ginko biloba e gli asparagi. “Si tratta di sperimentare per poter puntare a mercati diversi, di nicchia – spiega – perché sul grano non c’è competizione con i grossi produttori, che prendono in affitto terreni da decine e decine di piccoli proprietari. Invece con queste colture si può diversificare e guadagnare bene, anche se l’investimento iniziale è alto.”

La guerra non l’ha allontanato dal suo obiettivo, anzi, ha rafforzato la convinzione che la terra sia la prima fonte di sopravvivenza in ogni circostanza, e vada preservata perché il resto si può perdere da un momento all’altro. Di sicuro però il conflitto ha rallentato il suo percorso, perché per la seconda volta, per dirlo con le sue parole, ha lasciato la zappa e ha ripreso il fucile automatico. Per quaranta giorni è tornato a combattere, e ha fatto parte di quelle unità che hanno respinto i russi nella loro avanzata verso Kyiv dal fronte nord orientale.

Oggi quei villaggi al confine fra i due oblast, della capitale e di Chernihiv, sono stati liberati ma conservano le tracce della guerra nei cimiteri dei mezzi russi carbonizzati, nelle case distrutte dai tank o bersagliate dall’artiglieria, nei racconti dei pochi abitanti rimasti, che ricordano le uccisioni dei vicini di casa e i saccheggi da parte degli occupanti. 

Come in tutto il paese, dall’inizio della guerra, anche qui nella zona orientale dell’oblast di Kyiv, sono nate le unità di difesa territoriale, che oggi continuano ad avere funzioni di controllo, con i posti di blocco ancora attivi lungo le strade, e di aiuto alla popolazione che continua ad avere bisogno di cibo, acqua, a volte anche corrente elettrica e gas. 

“Oggi io stesso ho tenuto un corso di topografia ai comandanti delle diverse unità territoriali della zona – spiega Yura – ci incontriamo nelle case della cultura, ogni villaggio ne ha una, che puntualmente è stata trasformata in un magazzino dove portiamo le scorte di cibo e farmaci, per ogni evenienza. Chi ha perso la casa può anche restare a dormire, e utilizzare i servizi igienici. Quello che cerchiamo di fare è di condividere più informazioni e competenze possibili, dato che il momento di calma che viviamo potrebbe finire.”

Qualcuno scherza, e dice che da adesso in poi spera di leggere le mappe solo per trovare una zona del fiume buona per la pesca, e non per dare ai soldati altri bersagli da colpire. 

Pochi giorni fa queste persone hanno fatto anche un corso di primo soccorso, e sono state equipaggiate con i kit medici che si danno ai soldati al fronte. Da quando questi territori sono stati liberati, hanno trascorso diversi giorni a bonificare i terreni dagli ordigni inesplosi e dalle mine anticarro, perché i contadini avevano paura di rimettersi sul trattore col rischio di saltare in aria. 

“Nessuno di noi aveva protezioni adeguate ma lo abbiamo fatto lo stesso – racconta Yura – basta procedere con molta cautela. E poi non potevamo lasciarle lì, col rischio che chiunque potesse rimetterci la vita.”

Il suo prossimo obiettivo è quello di costituire una cooperativa con altri proprietari: “voglio cercare di convincerli ad avere cura della propria terra, piuttosto che affittarla per 200 euro all’anno ai grossi produttori di grano per poi andare a fare le stagioni di raccolta in Polonia.”

Yura è in grado di vedere il futuro anche in mezzo alla guerra, perché con i conflitti ha imparato a convivere, in una sorta di dopoguerra in parte immaginato, in parte già presente, almeno nelle zone tornate sotto il controllo ucraino. 

“Sono cresciuto in mezzo ai russi, sono nato e vissuto in quella parte di Ucraina che si definisce russofona, ma questo non mi ha impedito di conoscere l’amore per il mio paese, e imparare la dedizione per lo Stato – spiega – mi sono arruolato per difenderlo, e continuerò a farlo ogni volta che servirà. Anche io sono un profugo, ma questa volta anziché scappare sono rimasto.”

Gli asparagi ora sono pronti per la prima raccolta. “Giusto in tempo con la fine della guerra – sorride Yura – finalmente possiamo riprendere la zappa e lasciare, per ora, il fucile.”

Etichettato con:guerra, profughi ucraini, Ucraina

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