Si tratta della lista dei paesi terzi sicuri e nuove regole per definire meglio il concetto di paesi terzi sicuri, entrambi parte del Regolamento UE sulle procedure di asilo approvato a maggio 2024, durante la scorsa legislatura. Entrambi gli accordi politici sono stati raggiunti a tempo di record, sole due settimane dopo che la Commissione Parlamentare per le Libertà Civili (LIBE) aveva dato il mandato negoziale per trattare con gli Stati membri. L’avvio dei negoziati era stato prima confermato in plenaria da un voto a maggioranza dei popolari di centrodestra (Partito popolare europeo, dove siedono i deputati di Forza Italia), dei Conservatori e riformisti europei (dove siedono i deputati di Fratelli d’Italia) e dei due gruppi di estrema destra dei Patrioti per l’Europa (Lega) e delle Nazioni europee sovrane (dove siedono i deputati tedeschi di Alternative für Deutschland). Ora ci si aspetta una conferma definitiva dei due testi tra gennaio e febbraio del 2026.
La lista di paesi terzi di origine sicuri
Per la prima volta nella storia l’Unione europea, i suoi Stati membri avranno una lista comune di paesi terzi di origine dei richiedenti asilo definiti “sicuri” per accelerare le procedure di asilo nonostante, come denuncia ECRE (Il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati), “i rischi ben documentati per i diritti umani di diversi gruppi di loro cittadini, e l’indebolimento sia del criterio di collegamento sia dei diritti di ricorso”.
La lista include Bangladesh, Colombia, Egitto, Kosovo, India, Marocco e Tunisia. Anche i paesi candidati all’adesione all’UE, tra cui i Balcani occidentali e la Moldavia, saranno considerati paesi di origine “sicuri”, a meno che circostanze rilevanti, come il conflitto armato nel caso dell’Ucraina, non indichi il contrario.
Le nuove procedure di analisi delle domande di asilo saranno ridotte fino a un massimo di tre mesi e, se confermate, imporranno ai richiedenti asilo l’onere di dimostrare il contrario.
Susanna Ceccardi, coordinatrice della delegazione della Lega per la Commissione LIBE ha spiegato come, con le nuove norme, si avranno “meno tempi morti, meno ricorsi strumentali, più capacità di concentrarsi su chi ha davvero diritto alla protezione internazionale”.
La proposta iniziale della Commissione arriva invece secondo le opposizioni da convenienza politica perché gli ultimi dati ufficiali mostrano una situazione tutt’altro che fuori controllo. A settembre 2025 Eurostat ha rilevato che erano 58.495 i richiedenti asilo che per la prima volta hanno presentato domanda di protezione internazionale nei paesi dell’UE, con un calo del 24% rispetto a settembre 2024 e un aumento più contenuto del 14% su base mensile.
Inoltre, la Commissione europea non ha commissionato ai propri servizi una vera e propria valutazione di impatto, ma solo un breve documento di lavoro che ha già segnalato alcune lacune nel rispetto dei diritti umani nei paesi sicuri. I casi più eclatanti sono quello della Colombia, attualmente considerata in un recente report dell’Agenzia Ue per l’asilo come Paese “non sicuro” da tutti gli Stati UE, anche per via degli otto conflitti armati in corso e dei 9 milioni di vittime. Inoltre, come spiega a Open Migration Cecilia Strada, relatrice ombra dei due file per il gruppo dei Socialisti e Democratici, “C’è una contraddizione totale tra tra quello che il Parlamento europeo sta facendo nell’approvare una risoluzione a difesa dei diritti umani in Tunisia con le nuove norme restrittive del diritto dell’asilo (in cui la stessa Tunisia è tra i paesi “sicuri”, ndr). Tutto ciò è abbastanza vergognoso”, conclude Strada.
L’estensione del concetto di paese terzo “sicuro”
L’altro testo su cui Consiglio dell’Ue e Parlamento hanno raggiunto un accordo politico è il concetto di paesi terzi sicuri, molto simile al precedente ma da non confondere. In pratica le nuove norme – se confermate dal voto in sessione plenaria a inizio 2026 – danno nuovi strumenti in mano degli Stati membri per dichiarare le domande dei richiedenti asilo come inammissibili e rimandare le persone nei paesi non membri dell’Unione europea per l’analisi della loro domanda.
Per far sì che ciò accada deve esserci anche solo una delle seguenti condizioni: collegamento tra il richiedente asilo e un paese terzo (questo è valido se, ad esempio, i familiari della persona vivono nel paese terzo in questione o se il richiedente vi ha soggiornato in precedenza); oppure se il migrante è transitato da un paese terzo nel suo tragitto verso l’UE; infine se esiste un accordo con un paese terzo a livello bilaterale, multilaterale o dell’Unione per l’ammissione dei richiedenti asilo.
Quest’ultimo punto comporterebbe che le persone che cercano asilo nell’UE potrebbero vedere le loro domande respinte senza esame, per essere rimandate in paesi con cui non hanno alcun legame e potrebbero non aver mai messo piede prima. Inoltre, entrerebbe in contrasto con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, trattato internazionale già ratificato da tutti i ventisette Stati dell’UE. “Questi accordi potrebbero essere stipulati con paesi poveri che, in cambio di risorse economiche, accetteranno di esaminare le richieste di asilo”, ha spiegato l’avvocato esperto di migrazioni Gianfranco Schiavone. La Convenzione di Ginevra, infatti, stabilisce che siano gli Stati che ricevono le domande di asilo a valutare l’ammissibilità della protezione internazionale e non consente il trasferimento dei richiedenti asilo verso paesi terzi.
“Questo spudorato tentativo di eludere gli obblighi giuridici internazionali sposta ulteriormente la responsabilità dell’UE in materia di protezione dei rifugiati verso paesi extraeuropei”, ha commentato Olivia Sundberg Diez, Advocate di Amnesty International per le politiche UE di asilo ed immigrazione. Le nuove misure “sono ben lungi dall’essere una politica migratoria umana e rispettosa della dignità delle persone”, ha concluso.









