pedusa. Come se il cinico circo mediatico che sull’isola arriva sempre e solo di fronte a situazioni esplosive fosse il viatico a quelle commemorazioni che avrebbero potuto essere un momento di riflessione e confronto. Soprattutto su come fare in modo che simili orrori non capitassero mai più. Son giorni anche di riflessione, grazie a “Io, Capitano”, il film di Matteo Garrone, su quella figura che per toppi anni è servita alle classi dirigenti per negare l’ovvio: lo scafista. Un film che girerà il mondo, magari, servirà a riaccendere il dibattito su quello che chi si occupa di questi temi denuncia da anni. Esiste un racket sulla vita dei migranti? Certo. Ma quasi mai chi davvero ne fa parte è al timone di una carretta del mare.
Quelle reti vanno cercate tra i network criminali internazionali, ma anche nelle sedi istituzionali, che ancora oggi – dopo dieci anni – non fanno nulla per creare un circuito legale per chi ha bisogno di fuggire dal proprio paese. La libertà di movimento è un diritto che nessuno può negare, ma ci ostiniamo a praticare un evidente razzismo delle frontiere che agevola in ogni modo gli spostamenti dall’Europa Orientale ad esempio, ma rende praticamente impossibile viaggiare legalmente a chi si muove dall’Africa o dall’Asia. E il punto, da tempo, non dovrebbe più essere il motivo (richiedenti asilo, rifugiati, profughi climatici, migranti economici), ma i canali di spostamento che fino a quando resteranno confinati in questa logica escludente, favoriranno il proliferare delle organizzazioni criminali.
Anche nel 2013 la caccia allo scafista divenne una priorità della procura di Palermo, in quel caso si puntò addirittura al livello superiore: l’organizzazione.
Sulla graticola finì Medhanie Tesfamariam Berhe, pastore eritreo di 30 anni. Una storia kafkiana, ricostruita abilmente nel bel libro inchiesta Il Generale (Nave di Teseo editore) del giornalista Lorenzo Tondo, che per questa vicenda finì sotto inchiesta a sua volta.
Il furore degli inquirenti della procura di Palermo nel voler trovare un ‘colpevole’ della strage portò a una fretta e una mancata accuratezza tali che venne accusata la persona sbagliata, arrestata in Sudan, portata in Italia e offerto in pasto alla stampa. Solo che non era lui il cervello dell’organizzazione che trafficava esseri umani. A salvarlo, i parenti delle vittime e i sopravvissuti, che lo riconobbero come innocente dopo un’odissea giudiziaria. Il suo arresto era l’apice dell’inchiesta Glauco, che prometteva giustizia per le vittime. Ma proprio chi si era salvato quella notte, guardando alla tv le immagini del malcapitato in catene all’aeroporto di Fiumicino, comunicò subito che si trattava di uno scambio di persona. Solo nel 2019 il malcapitato è stato assolto, ottenendo lo status di rifugiato politico, mentre del vero boss del traffico di esseri umani, Medhanie Yehdego Mered, detto ‘il Generale’, non c’è nessuna traccia.
Ma non è la caccia al cattivo di turno, trafficante o scafista, che come racconta Garrone è spesso un disperato tra gli altri al quale viene messo in mano un timone, che impedirà che si possa ripetere quello che è accaduto il 3 ottobre 2013 e che continua ad accadere ogni giorno, in mare, in Grecia, in Spagna, in Italia. E via terra, lungo la rotta balcanica, o nel canale tra Francia e Gran Bretagna, o sui monti al confine tra Italia e Francia, o altrove.
Quello che racconta Lampedusa, oggi, con una ‘crisi’ che è tale solo perché si è continuato a non risolvere il problema dell’accesso alle vie legali, si è scaricato sulle isole il problema dell’arrivo, si vive ogni giorno di una misera politica che specula e impedisce la redistribuzione e una mobilità rapida delle persone che arrivano.
Le commemorazioni del decennale avverranno in un clima irreale: da un lato sopravvissuti del 3 ottobre, familiari delle vittime, società civile che si batte da sempre contro la politica della morte sulle frontiere, dall’altra una cittadinanza stanca, che in questi dieci anni non ha visto nessun cambiamento concreto e che proprio perché esasperata rischia di diventare manipolabile.
Nel mezzo telecamere che arrivano e partono in tre giorni, che esplodono l’immaginario dell’invasione in maniera più o meno consapevole, che cercano la ‘voce’ forte per condensare in tre minuti decenni di politiche e narrative tossiche sulle migrazioni.
Di fronte a donne, uomini e bambini attoniti, sopraffatti da questa pressione, dopo il trauma di un viaggio che viene reso ogni giorno più feroce, più costoso, più letale.
Il tema di lavoro era e resta quello di ripristinare un’operazione Mare Nostrum europea, per costi e per benefici. Concentrare gli sbarchi in un’unica località è sbagliato almeno quanto – come sta facendo questo esecutivo – imporre porti lontani, con viaggi pericolosi. Bisogna ripristinare un sistema d’accoglienza che funzioni, bisogna che il governo Meloni abbandoni queste posizioni che non danno nessun risultato. Da un lato si punta ai porti di partenza, come ha dimostrato lo strappo che l’Italia ha fatto sulla Tunisia, che ha comportato un irrigidimento della Germania, dall’altro lato occorre definitivamente mettere a tacere le voci come quella del ministro Salvini, che sostiene che esista un complotto anti-italiano, quando gli unici ai quali porre domande sono gli ‘amici’ in Polonia e Ungheria, che da sempre bloccano un serio e credibile meccanismo di redistribuzione.
Aspettando, come ogni anno, le 3 di notte di fronte a quel monumento che ricorda le vittime del 3 ottobre 2013, di fronte a sopravvissuti e parenti delle vittime, per quanto ancora dovremo restare in silenzio?
“Per quanto riguarda la missione navale, continuo a dire quello che ho sempre detto: l’unico modo serio per affrontare questa vicenda è da una parte aiutare le autorità del Nord Africa a gestire il flusso di chi parte, e sono iniziative che vanno fatte in accordo con le autorità nordafricane”, ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo la visita a Lampedusa con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. “In passato sono state fatte delle missioni navali europee che hanno avuto il limite di rappresentare più un pull factor, un elemento di spinta per flussi migratori piuttosto che di blocco – ha aggiunto -. Però io credo che occorra ripartire dalla seconda e terza parte della missione Sophia, che non fu mai realizzata perché nella prima parte si rivelò una sorta di pull factor. Quello, secondo me è il tratto dal quale bisognerebbe partire”.
Il pull factor è un falso mito almeno quanto quello dello ‘scafista’. Ci hanno provato delle procure particolarmente ostili alle ONG, ci hanno provato alcuni organi di stampa, manipolando un rapporto Frontex, ma alla fine si è sempre rivelato un falso mito.
Le persone partono, e partiranno. Perché dove si trovano hanno una vita disperata. Le recenti tragedie di Marocco e Libia sono l’ennesimo elemento che dovrebbe far riflettere su potenziali nuovi esodi massicci, ma anche e soprattutto su quei paesi che continuiamo a sostenere come partner. L’accordo con i paesi di partenza, ad oggi, ha solo favorito governi corrotti o non affidabili, dal presidente tunisino Kais Saied che vaneggia di piani per invadere il suo di paese, ai libici, con i quali il Memorandum d‘intesa del 2017 è stato rinnovato per altri cinque anni il 2 novembre 2022.
Un accordo instaurato governo italiano e governo libico (quale?) per tenere fuori dall’Europa migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Non ha funzionato, ha solo alimentato una spirale di violenze, torture, abusi e detenzione arbitraria a cui sono sottoposti uomini, donne e bambini che restano intrappolati in Libia o in Libia vengono respinti, dopo essere stati rintracciati in mare.
L’accordo prevede il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento. Continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione – ufficialmente definiti “di accoglienza” – dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, vengono abusate e uccise. Dal 2017 all’11 ottobre 2022, in quasi 100.000 sono stati rintracciati nel Mediterraneo dai guardiacoste libici e riportati in un paese che non può essere considerato sicuro. Arrestati, detenuti, sfruttati, spogliati di ogni diritto.
Il rapporto Out of Lybia di Medici Senza Frontiere, del giugno 2022, è un atto d’accusa verso tutti gli esecutivi italiani – di ogni orientamento politico – che hanno avvallato questi accordi. “I pochi canali legali verso paesi sicuri messi a punto da UNHCR e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sono lenti e restrittivi. Possono accedere alla registrazione solo le persone di 9 nazionalità, l’accesso alla registrazione è quasi inesistente al di fuori di Tripoli e nei centri di detenzione e i posti di ricollocamento nei paesi di destinazione sono limitati. Delle circa 40.000 persone registrate con il programma di ricollocamento dell’UNHCR, solo 1.662 hanno lasciato la Libia lo scorso anno, mentre 3.000 sono partite con il programma di rimpatrio volontario dell’OIM. Circa 600mila migranti vivono attualmente in Libia”, spiega il rapporto.
Raccontare la ‘rabbia’ dei lampedusani, come anche raccontare la loro ‘umanità’, con tutto il rispetto, sono le due facce della stessa narrazione: il problema non è Lampedusa e i lampedusani, che sono vittime del problema, tanto quanto i migranti, vivi o morti, che arrivano sull’isola.
L’unico modo di dare un senso a questo decennale è ammettere senza esitazioni che questa politica delle frontiere, di fronte a diseguaglianze economiche sempre più feroci, a cambiamenti climatici sempre più devastanti, non ha alcun senso e mai lo ha avuto. Questo sarebbe solo l’inizio, di un percorso lungo e che doveva iniziare molto prima, ma almeno sarebbe la verità, per rispettare le vittime e cambiare il corso di questo tempo.
Leggi gli altri articoli della serie:
- Lampedusa 10 anni dopo: il naufragio e il cordoglio
- Da Lampedusa in poi. In naufragi, le morti in mare e il cordoglio mediatico
- Lampedusa è la terra di mezzo
La foto di copertina è di Vito Manzari, via Flickr