L’11 luglio 2021 le più grosse proteste viste da decenni scuotono Cuba. Nascono da l’Avana e si diffondono velocemente in tutto il paese: “in ogni singola provincia, in ogni singolo comune, le persone iniziarono a radunarsi in piazza a protestare. Era gigantesco” racconta Ramon (nome di fantasia). Avvocato, una moglie e due figlie, anche lui per la prima volta in quel luglio si unisce alle migliaia di manifestanti in piazza contro il regime, la repressione del dissenso e la terribile situazione economica in cui versa l’isola.
Poi la violenza della polizia e gli arresti a pioggia. E per molti e molte, la fuga dal paese: alcuni report parlano di 150mila in viaggio verso gli USA entro fine 2022. Per la prima volta, però, numeri significativi sono stati registrati anche nei paesi sulla Rotta Balcanica.
Secondo i dati diffusi da IOM, per tutto il mese di aprile e la maggior parte di maggio, giugno e luglio, quella cubana è stata tra le prime cinque nazionalità registrate nei campi profughi della Bosnia ed Erzegovina. Ma oggi, l’invasione russa dell’Ucraina, ha imposto uno stop a questa rotta.
La fuga per Mosca
“Qualche mese dopo [la fine delle proteste] mi accorsi di essere pedinato” dice Ramon. “Un mio grande amico dei tempi dell’università che lavorava per il governo cubano mi fece una soffiata, mi disse di aver visto il mio nome su una lista e mi suggerì di scappare. Due giorni dopo mi misi in viaggio”. Pochi giorni dopo dei poliziotti si presentarono a casa di Ramon brandendo un mandato di arresto – lui era già a Mosca, partito da Cuba con un aereo il 13 Novembre 2021.
Solitamente, i flussi di migranti cubani si dirigono verso gli Stati Uniti, ma due accordi sulla liberalizzazione dei visti hanno reso possibile questa rotta alternativa. Il primo risale al 1966 e fu stretto tra la Cuba castrista e quella che al tempo era la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia di Tito. Oggi, dopo le guerre degli anni ‘90 che hanno portato alla scissione della federazione, l’accordo rimane valido nei due paesi rimasti più a lungo sotto il nome di Jugoslavia: Serbia e Montenegro. Il secondo, più recente, venne stretto con la Russia di Putin nel 2018 per rinnovare e migliorare degli accordi precedenti.
In entrambi i paesi, ai possessori di passaporti cubani è permesso l’ingresso come turisti e una permanenza fino a tre mesi registrandosi all’arrivo. Il Moscow Times stima intorno a 28.000 il numero di turisti cubani che approfittarono del nuovo regime di visti per visitare la Russia nel 2019. Oggi, però, i cubani non tornano più indietro.
“Una volta raggiunta Mosca, la maggior parte [dei migranti cubani] trova un piccolo alloggio e un lavoro in nero e sottopagato” spiega la coordinatrice di un ONG che lavora in Bosnia e che preferisce parlare in anonimato per motivi di sicurezza. “In questo modo riescono a mettere da parte i soldi che gli serviranno poi per completare il viaggio. Prima che i loro tre mesi di permanenza finiscano, prendono un aereo per Belgrado. Fino a questo punto il loro viaggio è completamente legale: risultano regolarmente registrati come turisti”.
Da Belgrado inizia poi l’epopea verso l’Europa, seguendo i tanti sentieri già tracciati dai migranti provenienti dall’Asia Centrale e dal Medio Oriente lungo la Rotta Balcanica. La rotta battuta dai cubani passa principalmente dalla Bosnia Erzegovina. Con l’aiuto di passatori attraversano il confine serbo-bosniaco dal fiume Drina per recarsi prima a Sarajevo e da lì proseguire verso il Centro di Ricezione Temporanea di Lipa, nel cantone di Una-Sana al confine con la Croazia. Qui parte l’ultimo game della rotta, qui le speranze di essere accolti in Europa si frantumano contro i manganelli e le torture della polizia croata.
Bloccati in Russia
Samuel è atterrato a Belgrado il 14 febbraio 2022, giusto dieci giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Ha scoperto della rotta una volta a Mosca, “da altri cubani che l’avevano già percorsa”: come molti altri profughi dell’isola, l’ha lasciata senza un chiaro progetto migratorio.
“La verità è che non sapevo molto quando ho deciso di intraprendere il viaggio [lungo la rotta balcanica]” spiega Samuel, che ha preferito non lasciare il suo cognome per motivi di sicurezza. “Non pensavo sarebbe stato così difficile”.
Una volta raggiunto il campo profughi di Lipa, ha iniziato a tentare il game. “Sono rimasto in Bosnia per tre mesi ed ho provato ad attraversare il confine molte volte. Loro [la polizia croata] mi hanno sempre beccato e rimandato indietro” ricorda Samuel. “Non mi hanno mai picchiato o rubato nulla, ma ho visto come trattavano quelli che non erano accorti come me. Se trovavano qualcosa, rubavano tutto e rompevano i cellulari”. Molti cubani hanno denunciato i trattamenti violenti e degradanti subiti dalla polizia croata.
Dopo il settimo tentativo Samuel ha deciso di rinunciare ed è tornato in Russia, dove si trova al momento. “Ho iniziato a pensare che fosse impossibile per me e mi sono arreso” racconta. “Ora starò qua un po’, ho bisogno di mettere da parte qualche soldo prima di decidere cosa fare”.
Nel frattempo, però, la situazione si è complicata e la “rotta balcanica cubana” rischia di chiudere o, per lo meno, di vedere gli spostamenti limitati nel prossimo periodo.
“Durante quest’estate abbiamo visto molte persone in fuga da Cuba che passavano dalla Serbia per entrare in Bosnia” dice Milica Svabic, avvocata per l’ONG serba KilkAktive, . “Nelle ultime tre settimane però, a causa della mobilitazione in Russia e del costo dei biglietti, non ne abbiamo più visti e ce ne sono alcuni sicuramente bloccati a Mosca”.
Lo scorso 21 settembre, il presidente russo Vladimir Putin annuncia la “mobilitazione parziale” di 300.000 riservisti dell’esercito russo. La cittadinanza risponde con un grandissimo esodo. Code chilometriche di auto alle frontiere di terra verso Georgia, i biglietti aerei per Turchia e Serbia esauriti per settimane. I prezzi dei voli schizzano alle stelle, ben oltre la portata dei profughi cubani.
Ad oggi i migranti cubani che hanno già lasciato il proprio paese per Mosca si trovano bloccati lì. Senza la possibilità di tornare in patria, senza modo di proseguire il viaggio.
In copertina: il nuovo campo di Lipa. Foto di Tommaso Siviero.