La Commissione Ue ha proposto ieri (primo dicemnbre n.d.r.) nuove norme straordinarie e transitorie in materia di asilo e rimpatri per Polonia, Lituania e Lettonia. Le nuove regole, chieste dal Consiglio europeo dello scorso ottobre, fanno parte della risposta europea alla crisi scatenata dal dittatore bielorusso Lukashenko, che negli ultimi mesi ha spinto migliaia di richiedenti asilo verso i confini con i tre stati Ue.
Secondo i dati della stessa Commissione, nel 2021, 7.831 cittadini di paesi terzi sono entrati in Lettonia, Lituania e Polonia dalla Bielorussia. Nel 2020, erano stati 257. “Ci sono state 2.676 domande di asilo in Lituania, 579 domande in Lettonia e 6.730 in Polonia. 42 741 tentativi di attraversamento sono stati impediti dai tre Stati membri”. Inoltre, secondo l’OIM, in Bielorussia sarebbero ancora bloccati circa 7mila migranti, di cui 2mila nei pressi del confine.
De-escalation?
I tentativi di attraversamento continuano e le condizioni di molti migranti destano grande preoccupazione, ma complessivamente la situazione sulla frontiera sembra meno grave rispetto ad alcune settimane fa e più volte, nella conferenza stampa di ieri, sia il Vicepresidente per la Promozione dello stile di vita europeo Margaritis Schinas sia la Commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson hanno parlato di“risultati rapidi” ottenuti e di “deescalation”.
Ciò nonostante, secondo la Commissione, esistono le condizioni per applicare l’articolo 78 comma 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che recita così: “Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo”.
Come ha sottolineato su Twitter da Judith Sunderland di Human Rights Watch, “una disposizione di emergenza usata nel 2015 per far sì che i paesi dell’UE condividessero equamente la responsabilità per i richiedenti asilo”, viene usata “per giustificare nel 2021 il rinchiudere le persone, affrettare le valutazioni [delle loro domande] di asilo e rimandarle indietro il più velocemente possibile”.
The @EU_Commission proposal out today uses an emergency provision used in 2015 to get EU countries to share fairly responsibility for asylum seekers to justify in 2021 locking people up, rushing asylum exams & sending them back as quickly as possible https://t.co/HFVPr2CLUl
— Judith Sunderland (@sunderland_jude) December 1, 2021
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Erin McKay di Oxfam. “L’Unione Europea – ha dichiarato – sta permettendo agli stati membri di usare le vite dei migranti come pedine in un gioco geopolitico con la Bielorussia. Fermare, detenere e criminalizzare le persone che cercano di trovare sicurezza in Europa viola il diritto d’asilo internazionale ed europeo”.
Procedure di frontiera
Ma, concretamente, cosa prevede la proposta della Commissione per scatenare commenti tanto duri? Le misure sono diverse e, per diventare operative avranno bisogno dell’approvazione del Consiglio nelle prossime settimane, ma tre sono le principali:
- estensione del periodo di registrazione per le domande di asilo a 4 settimane (anziché 3-10 giorni);
- procedure di rimpatrio semplificate e più rapide;
- procedura di frontiera accelerate per tutte le domande di asilo, compreso il ricorso, entro un massimo di 16 settimane (salvo richiedenti con particolari problemi di salute);
Questo ultimo punto è probabilmente il più problematico ed è in perfetta sintonia con quanto proposto dalla Commissione nel Patto per l’asilo e la migrazione, che ancora deve essere approvato a oltre un anno dalla sua presentazione.
“L’idea di eseguire procedure di frontiera relative alla protezione internazionale non è nuova nella legislazione europea. Questa possibilità è già prevista dall’articolo 43 della direttiva 2013/32/UE6”, spiega un rapporto di EuroMed Rights. Queste procedure, prosegue la pubblicazione, sollevano “serie preoccupazioni nella loro applicazione, in particolare per quanto riguarda i diritti fondamentali e le garanzie procedurali”. Per Elena Bizzi, “c’è un forte rischio che la detenzione aumenti. Non vediamo come altrimenti i richiedenti asilo possano restare per tutta la durate della procedura accelerata nelle zone di frontiera”.
Anche per Susan Fratzke di MPI Europe, “una limitazione della libertà di movimento dei richiedenti asilo è la conclusione più probabile”. A suo parere, “applicare le procedure di frontiera accelerate non è problematico di per sé, ma può diventare problematico in un contesto come quello polacco, senza l’intervento di alcuna agenzia Ue”.
Respingimenti e violenze
La Polonia, fino ad ora, non ha mai chiesto l’intervento di agenzie Ue, nemmeno di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, la cui sede è proprio a Varsavia. Secondo diversi osservatori, lo fa per poter continuare a respingere in Bielorussia le persone che varcano il confine senza consentire loro di fare domanda di asilo, contravvenendo al diritto europeo e usando anche la violenza.
Dall’inizio di settembre, infatti, il Governo polacco impedisce a giornalisti, politici e organizzazioni umanitarie l’accesso alle zone di confine, prima tramite lo stato di emergenza che non aveva usato nemmeno durante la pandemia e, ora, con una nuova, controversa legge. Non solo. Con un altro provvedimento, ha di fatto reso legali i respingimenti, illegali secondo l’acquis comunitario. Lituania e Lettonia seguono una linea simile.
Nel corso della conferenza stampa di ieri, nonostante le ripetute richieste dei giornalisti, Schinas e Johansson non hanno, di fatto, risposto nel merito alle domande né sul rispetto del diritto di asilo al confine tra Ue e Bielorussia né sulla valutazione che la Commissione dovrebbe dare della legge polacca sui respingimenti. Al momento, nessun giudizio è arrivato.
Per Fratzke di MPI Europe, “queste misure potrebbero contribuire alla chiusura della rotta bielorussa”. O almeno questo è quello che potrebbe aver pensato la Commissione Ue, facendo questa proposta. “Tenere le persone in centri chiusi e impedire loro di muoversi potrebbe essere un deterrente sufficiente”, ragiona Fratzke. “Certo, così facendo, le condizioni dei migranti rimangono un motivo di grande preoccupazione”. E con l’arrivo dell’inverno la situazione rischia di peggiorare ulteriormente.
In copertina: Ylva Johansson nel corso della conferenza stampa sulle misure eccezionali a sostegno di Lettonia, Lituania e Polonia nel contesto della situazione al confine con la Bielorussia. (Foto via European Commission).