Articolo uscito su Open Democracy
Di recente, la «scomparsa» di 10.000 migranti minorenni dopo l’arrivo nell’Unione Europea ha fatto notizia sui quotidiani britannici e di tutto il mondo. Riportando dati dell’Europol, l’agenzia di intelligence criminale dell’Unione Europea, l’Observer ha tracciato un nesso chiaro fra la scomparsa di migliaia di giovani migranti, all’indomani della registrazione presso le autorità nazionali europee, e il presunto intervento di una «sofisticata infrastruttura criminale paneuropea» che «intercetta i minori a fini di abuso sessuale e schiavitù». Ma questo corrisponde al vero?
Le coste della Grecia e dell’Italia stanno assistendo all’arrivo di un numero di minorenni senza precedenti, circa 270.000 soltanto nel 2015. Secondo i dati dell’UNHCR, i minorenni rappresentano il 10% degli arrivi via mare in Italia e il 26% di quelli in Grecia.
Dal settembre del 2015, ogni giorno due minorenni muoiono nel tentativo di attraversare il Mediterraneo orientale per raggiungere la sicurezza delle famiglie in Europa. Per quanto riguarda la rotta d’arrivo greca non esistono dati disaggregati, ma dei 15.000 minorenni giunti in Italia il 29% proviene dall’Eritrea, il 13% dalla Siria, l’11% dall’Egitto, il 9% dalla Somalia e il 7% dalla Nigeria.
Fra tutti coloro che intraprendono questi pericolosi viaggi attraverso il Mediterraneo, i giovanissimi sono i più vulnerabili, specie se non accompagnati. Rispetto agli anni precedenti, il numero di minori non accompagnati e separati dalle famiglie ha raggiunto livelli record. Stando al rapporto congiunto OIM e Unicef Migration of Children to Europe, nel 2014 hanno fatto domanda d’asilo più di 23.000 minori non accompagnati. Nel 2015, per contro, le richieste di questo tipo sono state 23.300 soltanto in Svezia. Il rapporto sottolinea inoltre che ottenere numeri precisi per quanto riguarda i minorenni non accompagnati è molto difficile, in quanto le procedure di registrazione di alcuni paesi europei non ne consentono l’identificazione.
Come ben sanno le autorità degli stati membri, in Italia, così come nel Regno Unito e in Svezia, un numero consistente di minori non accompagnati «scompare» in fasi diverse del percorso nel sistema immigrazione. Tuttavia — ed è qui che a nostro avviso l’articolo dell’Observer sbaglia — la causa principale di queste sparizioni ha poco a che vedere, o comunque non quanto suggerirebbe l’articolo, con presunte infrastrutture criminali paneuropee, e dipende piuttosto dallo scollamento fra il modo in cui le autorità statali trattano i minori non accompagnati e l’idea e le previsioni che gli stessi minorenni si sono fatti rispetto al loro progetto migratorio.
Alcune ricerche da noi condotte a partire dal 2014 in diversi paesi dell’Unione Europea, fra cui Italia, Regno Unito e Grecia, nell’ambito di due progetti finanziati dall’Economic and Social Research Council (ESRC) — Unravelling the migration crisis (MEDMIG) e Becoming Adult: Conceptions of futures and wellbeing among former unaccompanied minor — offrono informazioni importanti sui sogni e le aspirazioni dei giovani migranti non accompagnati e sulle difficoltà che incontrano nel realizzarli in Europa. Osservando il caso dell’Italia, il divario fra il numero dei minorenni registrati all’arrivo e quelli che fanno domanda d’asilo (appena il 40% nel 2015) è considerevole, e anche fra questi ultimi non tutti attendono che venga presa una decisione sul proprio caso. Molti vengono segnalati come «scomparsi» dai tutori legali e dai centri di accoglienza. Ma perché?
Spesso i giovani adulti che riescono a raggiungere l’Europa si portano dietro obblighi famigliari da soddisfare e debiti considerevoli da cominciare a ripagare in tempi brevi. Non possono aspettare i mesi, se non gli anni necessari affinché venga completata la procedura d’asilo e gli sia permesso di accedere al mercato del lavoro. Possono inoltre trovare la poca assistenza e lo scarso sostegno ricevuto dalle oberate autorità locali del sud Italia, o le condizioni da orfanotrofio di alcuni centri per minori, molto lontani dalle loro aspirazioni. Ali, un diciassettenne africano in cerca di asilo, spiega così la sua fuga da un centro di accoglienza siciliano: «Non avevamo nessuna libertà! Non potevamo uscire. Ci costringevano a dormire. Non avevamo telefoni, non potevi contattare nessuno. Niente Internet. Un solo cambio di vestiti. Il nostro responsabile ci ha detto che era meglio andarcene. Qualcuno ha deciso di farlo, qualcun altro è rimasto. Ci siamo sparpagliati».
Altri giovani richiedenti asilo spiegano di essere fuggiti dai centri del sud Italia per la lentezza delle procedure di asilo e la scarsità di formazione e opportunità lavorative. «Si viveva molto, molto, molto male», racconta Mohammed, anche lui diciassettenne. «In due mesi non ci hanno mai dato vestiti. Né vestiti, né cibo decente. Non uno straccio di assistenza medica. È stata l’insegnante che c’era laggiù a dirmi di venire a Roma, per studiare. Se te ne vai, mi ha detto, puoi metterti a studiare sul serio. Mi ha perfino comprato il biglietto!»
Non va dimenticato che in alcuni casi i minori hanno già parenti, amici e contatti sociali di vario tipo in altri paesi europei, e sanno che raggiungerli il prima possibile è il modo migliore per cominciare una vita dignitosa in Europa. È il caso di Fatima, diciassette anni, che abbiamo incontrato mentre attraversava il nord Italia con il fratello di dieci. I due ragazzi, oggi ricongiunti con la famiglia in Svezia, hanno vissuto in Italia senza fissa dimora per mesi, dopo essere fuggiti da un centro di accoglienza nel sud. Ogni volta che avvistavano le pettorine rosse di Save the The Children scappavano, per paura che perfino le ONG intenzionate ad aiutarli volessero interrompere il loro viaggio. Hanno dovuto nascondersi fino a quando non sono arrivati i soldi per ripartire. «È l’unico modo», spiega Fatima.
Ma allora perché nel Regno Unito o in Svezia ci sono minorenni che scompaiono? Non dovrebbero essere, proprio la Svezia e il Regno Unito, il sogno di tutti i giovani migranti d’Europa? Entra qui in gioco uno scollamento di altro tipo, che si manifesta in una fase successiva, ovvero quando il minore non accompagnato si avvicina all’età adulta e, indipendentemente dal tempo trascorso nel paese di residenza, può andare incontro al rimpatrio. Ultimamente sui media è apparsa anche la notizia che il governo britannico avrebbe rimpatriato in paesi pericolosi un numero di minorenni doppio rispetto a quello stimato.
Che posto occupano, quindi, le organizzazioni criminali in questo scenario? Alcuni migranti minorenni, messi di fronte all’impossibilità di realizzare le proprie aspirazioni, si sganciano dal sistema statale che dovrebbe fornirgli assistenza e sostegno, ritrovandosi soli. Le decisioni di buona parte dei giovani migranti non accompagnati sono determinate da una serie di fattori di spinta e di attrazione che possono, in alcuni casi, spingerli a entrare in contatto con reti clandestine, per ricongiungersi ai famigliari o trovare un modo per guadagnare i soldi necessari a ripagare i debiti. La reale estensione del fenomeno è tuttora sconosciuta, poiché il conteggio degli «scomparsi» è meno semplice di quanto lasciano intendere i dati nazionali e le informazioni dell’Europol. Dai dati raccolti nell’ambito dell’iniziativa «Becoming Adult» emerge che le autorità locali del Regno Unito qualificano come «scomparsa» casi fra loro molto diversi: si va dalle poche ore di irreperibilità alla sparizione permanente.
È inoltre probabile che alcuni di quelli che «scompaiono» in Italia riappaiano poi in altri paesi dell’Unione Europea, ma che vengano comunque conteggiati come scomparsi nei rapporti trimestrali. Alcune ricerche condotte in Italia, infine, dimostrano che il doppio conteggio dei minori non accompagnati è tutt’altro che una rarità, in quanto le autorità locali non hanno accesso ai database identificativi della polizia, e può quindi capitare che un giovane risulti registrato contemporaneamente presso più di un’autorità locale.
Fino a quando l’Unione Europea non renderà prioritario il rapido ricongiungimento dei minorenni non accompagnati con i famigliari sul suolo europeo, obiettivo per il quale si è cominciato a lottare diffusamente, e con un certo successo, nel caso dei migranti bloccati a Calais in attesa di raggiungere le famiglie nel Regno Unito, è probabile che molti giovani come Fatima e suo fratello continuino a sottrarsi al sistema per prendere in mano il proprio futuro. Chi di loro possiede reti sociali solide può trovare la sua strada, ma quelli isolati sono più vulnerabili agli abusi da parte di gruppi più o meno organizzati, e pronti a sfruttare una falla nel sistema immigrazione.
Traduzione di Matteo Colombo