Uno yacht che veleggia nel mar Adriatico. Uno come tanti, in fondo, almeno per chi se lo può permettere. Solo che non era una barca come le altre, perché al di là dell’apparenza elegante, trasportava 52 persone nascoste nella stiva.
È accaduto sabato 17 ottobre ed è stata la guardia costiera del Montenegro a effettuare il controllo che ha portato a scoprire il traffico di esseri umani, come ha fatto sapere lo stesso comando della polizia di frontiera marittima di Podgorica a Radio Jadran, notizia poi ripresa dalle agenzie di stampa internazionali.
La barca, battente bandiera croata, con equipaggio serbo, era partita dal porto montenegrino di Herceg Novi ed era diretta in Italia, al porto di Ancona. A bordo, oltre all’equipaggio, come detto, 52 persone, che le autorità hanno indicato come di ‘cittadinanza turca’, nel senso dei documenti, ma che probabilmente sono curdi.
L’intercettamento è avvenuto in acque internazionali, “vicino alla costa montenegrina”. Dopo essere stati fermati, i migranti a bordo sono stati portati al porto della città di Herceg Novi, in Montenegro, dove sono oggetto di indagini da parte della polizia e del pubblico ministero.
Dai primi accertamenti, fonti della polizia montenegrina hanno fatto sapere che ogni migrante avrebbe pagato fino a 6mila euro a testa, dato che più o meno conferma quanto certificava l’Europol nel 2017, pur di evitare i rischi e le possibilità di fallimento della Balkan Route.
Se la rotta marina, con navi che non danno nell’occhio, perché in buono stato e con un aspetto da ‘crociera’, non sono una novità, quel che colpisce di questa notizia è la rotta.
Finora il Montenegro è stato meno frequentato di altri paesi della cosiddetta “rotta dei Balcani”, che molti migranti utilizzano per raggiungere i paesi più ricchi dell’Europa occidentale. Ma proprio la settimana scorsa (14 ottobre) le autorità montenegrine e Frontex hanno annunciato che rafforzeranno i controlli alle frontiere per eliminare la criminalità transfrontaliera, compresi il contrabbando e il traffico di migranti.
Un tempismo eccezionale, per certi versi, che andrebbe letto nella sempre maggior mediatizzazione dell’impegno a essere zelanti operatori di frontiera: da un lato gli stati della ex-Jugoslavia, dall’altro l’agenzia Frontex, sempre più costosa per le tasche dei contribuenti europei, ma con risultati che per ora sono più o meno sempre quelli: il dolore a volte la morte dei migranti.
L’agenzia Frontex ha prontamente twittato sull’accaduto, rispondendo alla domanda di un utente rispetto al rafforzamento delle frontiere, che oltre ad aiutare a pattugliare le frontiere marittime, l’agenzia “dispiegherà più ufficiali e mezzi aerei” per farlo. Frontex ha confermato che lavorerà “in collaborazione e in presenza di ufficiali nazionali”.
Frontex will support the Montenegrin authorities by deploying more officers and aerial assets to help patrolling its sea borders. Our officers will work in cooperation with and in the presence of national officers#Montenegro #Frontex
— Frontex (@Frontex) October 14, 2020
“Il Montenegro è un partner essenziale per l’Unione europea e per Frontex nella regione. Per questo abbiamo deciso di rafforzare la nostra presenza nel Paese su richiesta delle autorità montenegrine e di lanciare la seconda operazione, questa volta alla frontiera marittima del Paese”, ha dichiarato il direttore di Frontex Fabrice Leggeri in un comunicato stampa dell’agenzia.
Secondo il comunicato stampa di Frontex, questa nuova iniziativa è stata lanciata “a completamento dell’accordo sullo status della cooperazione frontaliera tra l’Unione Europea e il Montenegro, entrato in vigore all’inizio di quest’anno”. Per tutta la scorsa settimana, Frontex è stata coinvolta in vari webinar e giornate di formazione e di comunicazione con un tema: reprimere la tratta di esseri umani e il contrabbando transfrontaliero.
L’agenzia dice che spera di formare il personale per smantellare le reti criminali dietro questi crimini e di assicurarsi che le guardie di frontiera possano “individuare le potenziali vittime e indirizzarle alle autorità nazionali”.
Il tempismo, appunto, è stato perfetto. Proprio nella settimana di maggior attività mediatica di Frontex in Montenegro arriva l’operazione rispetto al natante croato. Anche in Montenegro la coincidenza non è passata inosservata.
Che l’operazione fosse in qualche modo coordinata è possibile, ma finisce per confermare che la rotta era già utilizzata, solo che questa volta le autorità montenegrine hanno collaborato. E non è sfuggito ai più la ripetuta citazione, accanto al traffico dei migranti, del contrabbando.
Dopo un impero che sembrava non finire mai, il ‘padre’ della patria Milo Đukanović (al potere a Podgorica dagli anni Novanta fino ad agosto 2020) ha perso il controllo del Montenegro. E la storia di Đukanović, mirabilmente raccontata da un articolo di Željko Ivanović, è legata a doppio filo al contrabbando.
Per anni Đukanović è stato sospettato di legami personali e politici rispetto al contrabbando di tabacco. Le autorità italiane hanno fatto cadere tutte le accuse contro di lui solo ad aprile 2009.
Nel luglio 2003, la Procura di Napoli lega Đukanović a un racket della criminalità organizzata con un giro di affari del valore di miliardi di euro. Emerge anche un suo presunto coinvolgimento nel contrabbando di tabacco, accuse che egli nega, definendole un “abominevole trucco politico”, volto a criminalizzare lui e il suo paese.
Il 27 marzo 2008, Đukanović si recò in visita nell’ufficio del procuratore di Bari, venne interrogato per 6 ore e mezza, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero. Ad aprile 2009, le autorità italiane chiusero il caso contro Đukanović, ma non si è mai dissipato quel velo di complicità con i traffici dal Montenegro all’Italia, anche se la ‘merce’ era cambiata nel tempo, tra sigarette, armi ed esseri umani.
Il legame tra i due aspetti non è scontato, ma c’è di sicuro la volontà del nuovo esecutivo di Podgorica di dare un segno di discontinuità con il passato, a fronte di numeri reali di migranti che sono relativi, soprattutto se paragonati a quelli degli altri stati della Balkan Route.
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, (IOM) quasi 8mila migranti – provenienti in massima parte dal Medio Oriente e dal Nord Africa – hanno attraversato il Montenegro nel 2019 in viaggio verso i paesi dell’UE. Quasi il doppio rispetto all’anno precedente, ma numeri assolutamente sotto controllo, anche e soprattutto se si pensa a realtà come la Bosnia-Erzegovina o la Grecia.
Il Montenegro, come già annunciato negli accordi con l’Ue di febbraio 2020, dispiegherà truppe ai suoi confini in risposta all’aumento del numero di migranti che attraversano il paese su una “nuova rotta balcanica” verso l’Unione Europea. “L’esercito sarà impegnato a proteggere i confini dello Stato e ad assistere le forze dell’ordine”, dichiarò otto mesi fa il portavoce del Consiglio di Stato per la Difesa e la Sicurezza del Montenegro. Il dispiegamento dovrebbe iniziare entro la fine del 2020.
Troppo presto per parlare davvero di una nuova rotta, ma di sicuro potrebbe aumentare il peso verso Ancona da un lato e sulle reti informali dall’altro: la polizia montenegrina, dall’inizio del 2020, ha dichiarato di aver smantellato cinque network di trafficanti di migranti e di aver arrestato 51 sospetti.
Per chiudere, un’altra coincidenza. Il 6 ottobre scorso, la Commissione europea ha presentato il suo ‘rapporto paese’ sul Montenegro per valutarne l’avanzamento rispetto ai negoziati di adesione all’Ue. Un rapporto non troppo buono, con tanti elementi che necessitano, per Bruxelles, di riforme urgenti.
La lotta alla corruzione, la libertà di stampa, l’autonomia del sistema giudiziario e molti altri punti. Come ad esempio il traffico di stupefacenti. Per l’Europol, infatti, il Montenegro resta un hub importante del traffico di cocaina, ma le istituzioni fanno ancora troppo poco per contrastarlo.
E i migranti, certo, ma su quello è facile produrre ‘risultati’ mediatici. In fondo, anche a Podgorica, è “l’Europa che ce lo chiede”.
Foto di copertina via Twitter/Frontex