“Sono persone” – ripeteva – “persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro ultima speranza” queste le parole di Enrico Dalfino, sindaco di Bari nell’agosto di 30 anni fa alla moglie, per descrivere lo sbarco di circa 20.000 persone provenienti dall’Albania e ammassate su un unico mezzo, la nave mercantile Vlora, che attracca al porto di Bari.
La reazione della popolazione barese nell’immediato e in seguito degli italiani fu di grande solidarietà e, anche se la maggioranza di quelle persone fu rimpatriata, il 1991 segnò uno spartiacque nell’immaginario dell’immigrazione per gli italiani.
Una presenza straniera di una certa consistenza in Italia si configura nel primo decennio di questo secolo, con una crescita costante degli immigrati che da poco più di un milione del 2002 raggiungono i quasi 5 milioni nel 2014 per stabilizzarsi fino ai nostri giorni.
Sebbene da 10 anni circa gli stranieri residenti siano attestati intorno ai 4-5 milioni di persone, come si possono spiegare gli altalenanti sentimenti di avversione nei confronti degli stranieri?
Di fatto quello dell’Italia è un panorama di atteggiamenti e opinioni composito, spesso guidato dalla dieta mediatica dei cittadini, ancora prevalentemente composta dalla TV.
I messaggi e le immagini che li corredano hanno forte potere suggestivo nella generazione dell’immaginario della persona straniera.
L’altra componente attiene al profilo di chi riceve il messaggio: un profilo in cui è necessario tenere conto anche di bisogni, timori e speranze, esperienze passate e piani per il futuro, non limitandosi a categorizzare le persone per censo, livello di istruzione o appartenenza politica.
Il report “Un’Italia frammentata: atteggiamenti verso identità nazionale, immigrazione e rifugiati in Italia” mette a fuoco esattamente questa complessità e invita a non scontare, semplificando e banalizzando, certi tipi di resistenza, scetticismo, quando non avversione, nei confronti degli stranieri presenti e in arrivo nel nostro Paese.
Per cominciare, la frammentazione appare evidente nell’identificazione di ben sette classi di opinioni e atteggiamenti, in uno spettro che va dall’apertura tout court alla chiusura decisa: sfumate e articolate sono infatti le posizioni tra coloro che, per cultura, esperienze, opportunità, considerano l’arrivo degli stranieri in Italia una naturale conseguenza dell’evoluzione della società (i cosiddetti “cosmopoliti”) e chi guarda a un passato di omogeneità culturale e confessionale con nostalgia, resistendo al cambiamento e alle aperture (“nazionalisti ostili).
I segmenti centrali di opinione e atteggiamenti rappresentano quella larga parte di italiani, il 48% che oscilla tra sentimenti di accoglienza e apertura e atteggiamenti di chiusura e che più facilmente si presta all’ascolto della prevalente narrazione securitaria e minacciosa, spesso usata per alimentare consenso elettorale.
La buona notizia è che questi gruppi di cittadini si possono prestare anche ad una contro-narrazione, opportunamente sviluppata, che richiede tuttavia un elemento imprescindibile per l’avvio della relazione: l’ascolto.
Vediamo perché, partendo dal gruppo dei Moderati Disimpegnati: il profilo di questi cittadini li colloca in una condizione di giovane età, elevato grado di istruzione, scarso o nullo interesse per le cose della politica e un certo ripiegamento su sé stessi. La questione immigrazione non è prioritaria nella loro agenda personale, in quanto impegnati a costruirsi un futuro che intravvedono come incerto e che li pone di fronte a questioni più pressanti e quotidiane: sopra tutti la definizione di un percorso lavorativo, in un Paese che poco offre ai giovani (il tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il 33,8% nel gennaio 2021) e che impedisce anche la costruzione di piani futuri, come mettere su casa, fare famiglia, muoversi lasciando il nucleo di origine.
L’interrogativo che ci si deve porre è quale tipo di ascolto mettere a disposizione di questo gruppo che rappresenta un italiano adulto su 5, nonché, in prospettiva una fetta importante di opinione pubblica adulta.
Medesima questione per “Trascurati” e “Preoccupati”, al netto delle differenze generazionali che li collocano tra persone più mature (decisamente più attempati i primi dei secondi), ma che si possono assimilare ai giovani Disimpegnati per la medesima condizione di preoccupazioni prioritarie verso temi molto più pressanti che non gli stranieri o i migranti: i primi, sfidati dalle ricadute della globalizzazione e quindi alle prese con problemi economici, si sentono di avere subito più di altri l’impatto della crisi economica e dei cambiamenti sociali.
I secondi, meno sofferenti sotto il profilo economico e più ottimisti per il futuro del Paese, sono tuttavia sensibili ai richiami delle sirene securitarie, percepiscono come reali e prossime le minacce terroristiche e della criminalità in generale. Insieme, questi due gruppi di cittadini rappresentano comunque i sentimenti di circa un italiano su tre e non ci può dunque permettere di non prestare loro ascolto.
Differentemente dai giovani, in questi ultimi due casi gli strumenti culturali per l’interpretazione della realtà sono più limitati.
Il basso livello di istruzione – in Italia solo il 19,6% degli adulti ha ricevuto un’istruzione terziaria contro una media europea del 33,2% – rappresenta un ostacolo alla decodifica di problematiche complesse e un fertile terreno per la diffusione di messaggi banalizzanti e allarmistici.
Si diceva dunque l’ascolto: porsi in una posizione di apertura e condivisione di timori e preoccupazioni e di speranze e sogni (dove ci sono), consente di trovare nuclei di significato comuni, sui quali costruire una narrazione che ripulisca il fenomeno delle migrazioni da stereotipi e resistenze.
La narrazione fattuale ha infatti ben poca presa se le condizioni emotive del ricevente bloccano il processo di ‘digestione’ del dato presentato, per quanto reale e comprovato.
Numerosi gli esempi di questo fenomeno si possono trovare scorrendo i post delle principali piattaforme social. Una su tutti, a proposito di immigrati, la dichiarazione di Tito Boeri, nella sua capacità di Presidente dell’INPS, nel 2017: “Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi in contributi e ne ricevono 3 in pensioni, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps“, accolta dal silenzio del centro-sinistra e dal sarcasmo del centro-destra, esploso e rilanciato proprio dai social.
Ed è proprio questo fenomeno alla base di una serie di convinzioni errate, ma profondamente radicate tra gli italiani che, a Ipsos, dichiarano che la presenza degli stranieri in Italia vale il 30,3% contro un dato reale che a oggi rappresenta l’8,5%: questa enorme sovrastima è la rappresentazione plastica di una preoccupazione molto più che non di una informazione. I fatti, i dati, a nulla valgono quando i timori li sovrastano.
Un’altra interessante rappresentazione di questo fenomeno si può evincere dagli andamenti indipendenti delle opinioni degli italiani sull’immigrazione vista come problema per il Paese, che Ipsos monitora da lungo tempo con cadenza mensile e la sua più popolare e iconica rappresentazione, tanto cara ai media: gli sbarchi.
La narrazione in arrivo dalla politica e ripresa da stampa e TV e ri-amplificata dai social si rappresenta come nel grafico in basso.
Balzano all’occhio i picchi di preoccupazione, in corrispondenza di fasi specifiche della storia del Paese: ad esempio una prima crescita di preoccupazione legata all’incresciosa definizione delle navi in zona SAR come “taxi del mare” che tuttavia non corrisponde al numero record di sbarchi di quell’anno.
E, ancora, e al contrario, l’impennata tra gennaio e aprile 2018, durante la rovente contesa elettorale e i fatti di cronaca di fine estate/autunno 2018 con la rappresentazione “feroce” degli autori dei crimini, in una stagione di sbarchi quasi azzerati.
Il migrante è dunque capro espiatorio e rappresentazione dei grandi problemi che stanno sconvolgendo l’assetto mondiale e che incidono profondamente sulla formazione delle opinioni: apertura o chiusura? Una globalizzazione quanto meno mal gestita ha segnato un profondo solco tra “noi” e “loro”. Un solco che visto dalla prospettiva internazionale tende tra l’altro a ridursi, producendo progressiva eguaglianza tra i paesi, poiché tra gli effetti della globalizzazione c’è un certo trasferimento di ricchezza dagli (ex) paesi ricchi ad alcuni paesi emergenti. A scapito dei primi, dove invece si produce impoverimento e crescita delle disuguaglianze, che rimettono in discussione le politiche redistributive e gli aiuti internazionali.
Noi e loro, dunque.
I dati più recenti ci dicono che sul territorio italiano, la distanza tra “noi” e “loro” si va riducendo sempre più.
Un dato per tutti, elaborato da Fondazione Leone Moressa su dati Istat racconta un problema comune a tanti lavoratori in Italia: la perdita di posti di lavoro generata dalla pandemia.
I posti persi tra 2019 e 2020 sono quasi mezzo milione (456 mila): più di un lavoro su tre è stato tolto agli stranieri e, tra questi, soprattutto alle donne (24% contro il 10,9% degli uomini).
Molto si è scritto su quanto l’impatto delle conseguenze della pandemia abbia penalizzato le donne in Italia; magra consolazione pensare che siamo tutte “nella stessa barca”.
Vale forse la pena di cominciare a governare la rotta di questa barca, sia attraverso politiche mirate e con l’impiego programmatico e non emergenziale dei fondi messi a disposizione del PNRR, sia con un racconto della presenza straniera che restituisca equilibrio alla realtà e metta in luce quante più comunanze che differenze ci siano tra noi e loro.
Questo approfondimento fa parte dell’e-book: “A 30 anni dallo sbarco della Vlora. Breve viaggio nell’Italia che si è scoperta paese di immigrazione“.
Puoi leggerlo e scaricarlo gratuitamente qui.
In copertina: foto di Josue Isai Ramos Figueroa via Unsplash