“Non vedo i miei figli da settimane ormai. Di solito esco di casa alle 6 di mattina e non torno prima delle 9 di sera. Per non parlare di quando ti chiamano di notte: in quei casi finisce che vado direttamente in ufficio e mi faccio una doccia lì prima di ricominciare la giornata da capo. Ma non si può rimandare: non possiamo lasciare le famiglie con un morto in casa”.
Da quando, sette anni fa, Tallal Khalid ha deciso di avviare un’agenzia di pompe funebri islamica non si è mai trovato in una situazione del genere: “Abbiamo sempre fatto due, o al massimo tre servizi a settimana”. Ma da quando è iniziata l’epidemia di Covid19, il suo telefono non smette di suonare e le richieste sono salite a tre al giorno: “Non c’è più la morte ‘normale’ – aggiunge –, sono quasi tutti casi Covid”.
Khalid vive da 32 anni in un piccolo paese in provincia di Brescia, insieme alla sua famiglia. Originario del Marocco, prima di aprire un’agenzia funebre lavorava come perito assicurativo. Nonostante le difficoltà attuali, Khalid, da sempre impegnato nella comunità musulmana locale, si dice felice e orgoglioso della sua scelta: “Poter dare sepoltura ad una persona è un onore”, dice.
STOP AI RIMPATRI DELLE SALME
A marzo, le foto e i video dei convogli dell’esercito che trasportavano le salme dal cimitero di Bergamo (dove i decessi sono triplicati rispetto alla media degli ultimi anni) ai forni crematori di altre Regioni sono stati pubblicati da tutti i principali media italiani e stranieri, diventando uno dei simboli dell’emergenza in corso.
Ma se è diventato difficile dare sepoltura in tempi rapidi a tutti i morti di coronavirus, per i musulmani le cose sono ancora più complicate: la legge italiana prevede che una persona possa essere sepolta esclusivamente nel Comune di residenza oppure in quello in cui è deceduta. L’Islam, inoltre, proibisce la cremazione e la tumulazione: il corpo deve essere seppellito, con il volto rivolto verso la Mecca. Ma su 8mila Comuni, solo una sessantina hanno un’area cimiteriale dedicata ai fedeli musulmani.
In Italia si stima che le persone di fede musulmana siano circa due milioni. La comunità marocchina è la terza comunità di stranieri residenti, dopo rumeni e albanesi. Dei 420mila cittadini marocchini che vivono in Italia, la maggior parte (93mila), vivono in Lombardia, nelle province più colpite dal coronavirus.
La maggior parte dei cittadini stranieri optava per il rimpatrio della salma. Ora però le frontiere sono chiuse anche per i morti: a inizio marzo, un cargo che trasportava alcune salme dall’Italia a Casablanca è stato respinto dalle autorità marocchine e le salme sono state rimandate indietro.
Il 24 marzo l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia, ha denunciato il caso di una famiglia macedone di Pisogne, in provincia di Brescia, che da dieci giorni era bloccata in casa con il feretro della madre. “La famiglia – racconta Khalid – si era rivolta ad un connazionale che aveva promesso di riuscire a rimpatriare la salma. Poi però questa persona è sparita.” Quando grazie all’Ucoii e alle autorità locali il Comune di Brescia ha dato l’ok alla sepoltura nell’area dedicata del cimitero comunale, Khalid è stato chiamato per il trasporto della bara: “Era tardi, ci ho messo più di un’ora ad arrivare lì, abbiamo lavorato tutta la notte per trasportarla giù dal terzo piano, per le scale, e l’abbiamo portata a Brescia, dove la donna è stata finalmente sepolta. Ma a Brescia sono stati chiari: non faranno altre eccezioni, perché hanno sono solo una decina di posti e vogliono tenerli per i residenti”.
LA MANCANZA DI UN’INTESA
“Ogni volta che muore una persona in un Comune in cui non c’è un’area cimiteriale, è una sofferenza – afferma Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii -. Riceviamo segnalazioni ogni giorno e al momento stiamo trattando con due Comuni che non ci danno risposta da settimane. Non chiediamo niente di straordinario: ci basta semplicemente uno spazio di 5-10 metri quadrati all’interno del cimitero già esistente, uno spazio delimitato anche solo simbolicamente, ma che sia dedicato ai fedeli musulmani. Questa è l’unica condizione alla quale non possiamo rinunciare. Proprio perché l’Italia è un Paese laico vorremmo poter esprimere la nostra religiosità”.
Secondo Lafram, questo non richiede procedure speciali, basta al massimo un’ordinanza comunale: “Capisco le difficoltà per i piccoli Comuni, ma in questa situazione di emergenza almeno i Comuni capoluogo di provincia dovrebbero farsi carico delle loro responsabilità: non si può aggiungere dolore ad altro dolore”.
Alla base delle difficoltà c’è la mancanza di un’intesa tra Stato italiano e la confessione musulmana, intesa che invece esiste con la comunità ebraica e buddista e con le chiese evangeliche, e che regola vari aspetti del rapporto tra lo Stato e i rappresentanti religiosi.
La questione delle sepolture non riguarda solo la Lombardia o le province più colpite dal coronavirus. Anche a Roma, ad esempio, il Centro islamico che fa capo alla Moschea della Capitale, ha segnalato di aver ricevuto un numero di richieste di sepoltura “inusuale, che sta portando lo spazio del cimitero islamico di Roma all’esaurimento e che ci pone davanti ad un problema per il futuro”.
LE BUONE PRATICHE
Per far fronte all’emergenza, l’Ucoii ha pubblicato sul proprio sito un elenco delle aree cimiteriali esistenti e delle agenzie funebri specializzate. E da marzo ha attivato un numero per le segnalazioni “Abbiamo gestito almeno un centinaio di casi nell’ultimo mese, tra cui quello di una persona che da Reggio Calabria ha trovato sepoltura solo a Roma”, spiega Nadia Bouzekri, vicepresidente Ucoii . “E questi sono solo i casi di cui siamo venuti direttamente a conoscenza. Ora la situazione è un po’ più calma: siamo riusciti ad aprire una quindicina di aree cimiteriali in tutta Italia e stiamo lavorando con un’altra decina di Comuni”, anche grazie alla collaborazione del ministero dell’Interno e delle prefetture, come sottolinea più volte Lafram.
Non mancano infatti le buone pratiche, come Milano, dove il 26 marzo il sindaco Giuseppe Sala ha firmato un’ordinanza in cui permette, in deroga alle regole cimiteriali del capoluogo, la sepoltura di tutti i residenti della provincia, o Piacenza, dove la sindaca Patrizia Barbieri si è mossa personalmente per aprire un’area cimiteriale dedicata.
“Siamo tutti insieme in questa situazione – dice Lafram –, e ci tengo particolarmente a ricordare che tra le vittime ci sono anche molti medici, tra cui medici di origine straniera: sono eroi in prima linea per affrontare questa emergenza”.
Khalid, anche lui in prima linea, si è dovuto dotare di protezioni non dissimili da quelle dei medici, essendo spesso obbligato ad entrare in contatto con le salme e con gli obitori degli ospedali. L’emergenza coronavirus ha imposto la sospensione delle ritualità legate alla sepoltura anche per i musulmani: “Non possiamo effettuare il lavaggio rituale della salma: dobbiamo limitarci ad avvolgerla nel kafan (un sudario, Ndr), dopodiché la bara viene sigillata. La preghiera funebre avviene in forma privata e rispettando il distanziamento”.
Come la messa, anche la preghiera collettiva del venerdì è sospesa: “Ancora prima del decreto sul lockdown abbiamo deciso di sospendere tutte le attività collettive: non solo per rispetto ai vari decreti, ma per mostrare il nostro senso civico e di appartenenza”, spiega Lafram. Una restrizione necessaria ma ancora più dolorosa durante il mese di Ramadan, iniziato il 23 aprile: “Sarà un Ramadan rigorosamente in casa: normalmente questo mese si compone di una dimensione privata, quella del digiuno, e una dimensione collettiva, con l’iftar (l’interruzione del digiuno al tramonto, ndr) in compagnia di familiari e vicini e con la preghiera collettiva ogni sera. Questa seconda parte, quest’anno non ci sarà: ci piange il cuore, ma è necessario”. Intanto diversi imam si sono organizzati per guidare la preghiera e vari momenti di riflessione in streaming, “vediamo che sono molto seguiti”.
In copertina: Sepoltura di fedeli musulmani nel cimitero di Azzano San Paolo in provincia di Bergamo, gentile concessione di Wahid Arid.